“Se le formiche si mettono d’accordo possono spostare un elefante”. Sono passati appena nove mesi: adesso quel proverbio anonimo africano che introduceva il suo programma elettorale risuona amaro. Come una risacca, come una beffa, come una campana a morte. Perché l’elefante è rimasto al proprio posto, anzi ha ingrossato le fila del proprio campo. Perché tutte o quasi, persino le formiche del suo orto hanno trasmigrato e si sono messe d’accordo: hanno deciso di smuovere proprio lui. Adesso, adesso Cosimo Sibilia pare come una libellula: senza ali e senza luce, al termine del ciclo vitale. Persa nettamente a febbraio la guerra contro il poi rieletto Gabriele Gravina per la poltrona di presidente Figc, sta per essere spazzato via anche da quella della Lega Nazionale Dilettanti, riconquistata – da candidato unico ma non senza ostacoli, ricorsi e veleni – a inizio anno. Il vento è cambiato, soffia ora impetuoso, le voci aumentano mentre s’avvicina il suono della sirena. È sempre più all’angolo, intontito, intorpidito, incastrato. Il gong è previsto a breve, brevissimo. Entro la fine del mese, termine inderogabile per l’approvazione del bilancio d’esercizio della Lega che è la base larga e malandata (oltre un milione di tesserati, dodicimila società) della piramide calcistica italiana. Un anno fa il bilancio fu approvato all’unanimità nel salone d’Onore del Coni, proprio a fine ottobre: non c’è ancora la comunicazione ufficiale per la seduta di quest’anno, ma oltre gli inizi di novembre non si potrà andare, anche chiedendo una deroga, pure profittando di una proroga. Da statuto, il bilancio è soggetto all’approvazione del Consiglio direttivo composto dal Comitato di presidenza, dai presidenti dei Comitati regionali della Lnd e dalle Divisioni (anche quella del calcio a 5, dove c’è Luca Bergamini, assai vicino a Malagò): l’opposizione al presidente in questi ultimi mesi è diventata ormai netta, larga. Un’indiscutibile maggioranza che soffia sul vento di tempesta, un’onda pronta a spazzare gli ultimi bricioli di sabbia: è una situazione precaria, ormai senza più controllo e presente, figurarsi futuro. È una larga maggioranza che gioca a scacchi, pronta a dare scacco al re. Prepara l’ultima mossa, tra mozioni e punti all’ordine del giorno. La resa dei conti.
La mossa, l’alfiere, il cavallo. Bellicosa e agguerrita, ha intenzione di non approvare il bilancio d’esercizio, il consuntivo d’anno di una Lega in grande sofferenza, dilaniata da guerre intestine, appesantita da un anno e mezzo di pandemia che ha prodotto perdite sanguinose e accentuato lo stato di crisi: una decisione clamorosa ma che ormai pare presa. Votare no al bilancio. Sfiducerebbe il vertice, costringerebbe Sibilia a farsi definitivamente da parte, a lasciare la poltrona, a rimettere il mandato. Tra il presidente e i presidenti regionali e la base un solco sempre più grande, allargatosi sino a diventare un burrone, lì dove tutto è precipitato: il costo sostenuto per pagare l’assicurazione dei tesserati nonostante il blocco dei campionati dovuto alla pandemia e poi il contratto stipulato con la Nike per l’acquisto e la fornitura dei palloni della Lega lasciando la Molten, passaggio oggetto ora di un contenzioso legale. Le ultime gocce che hanno rovesciato il vaso. Due tra i tanti punti che saranno oggetto di discussione, di scontro e resa dei conti in sede di bilancio. Nel disegno politico-istituzionale, oltre alle responsabilità e agli errori, oltre ai registi dell’operazione s’intravede anche il profilo del reggente, del commissario, della personalità che dovrebbe poi traghettare il variegato mondo dilettantistico a nuove elezioni, elezioni da indire al più presto. Quel profilo pare quasi un identikit, così tanto accurato da portare fino alla porta di Giancarlo Abete. Ex parlamentare (di lungo corso) democristiano, due volte vice presidente e due volte presidente federale, già commissario della Lega A, già vice-presidente Uefa, già presidente della Lega Pro e poi consigliere federale sempre in quota Lega Pro, fratello dell’ex presidente (Luigi) di Confindustria e presidente della Bnl fino allo scorso aprile, Giancarlo Abete è il classico uomo per tutte le stagioni, è il nome che metterebbe tutti (o quasi) d’accordo. Per il ruolo di traghettatore e poi magari chissà, anche come candidato forte, fortissimo e quasi unico, alle nuove elezioni della Lnd. Da buon democristiano, da navigato uomo di pallone, avrebbe risposto, “non dico di sì ma nemmeno dico di no, vediamo, aspettiamo, valutiamo” a chi ha già bussato alla porta. Come un cerchio che si chiude, vecchie alleanze e nuovi patti che si stringono sotto l’egida della presidenza Coni (Malagò), grazie al lavorìo interno alla Lega di chi la conosce come nessuno (Tavecchio presidente per 15 anni e che quattro anni fa nel giorno del suo disarcionamento da via Allegri l’aveva giurata a Sibilia) ma soprattutto sotto la regia della presidenza Figc: Gravina ci lavora da mesi, è da mesi che prova a estromettere il suo ex vice-presidente vicario che fino allo stremo ha provato a resistere e a replicare, che per mesi ha sbandierato quel patto tradito. Farlo fuori e mettere al suo posto il suo mentore, il suo consigliere, proprio nel momento più delicato della sua presidenza che si gioca tutto sulle riforme che per ora non trovano proseliti (leggi qui) per ottenere credito e soprattutto crediti, soldi e aiuti dal Governo che proprio venerdì scorso ancora una volta ha risposto picche, sonore picche a quel piano Fenice, già carta straccia ad agosto (leggi qui), Governo irritato per un’altra indebita e sfacciata intromissione (leggi qui). E poi Gravina deve molto, se non proprio tutto, a Giancarlo Abete. Siamo alla fine del 2021, eppure pare di essere tornati indietro, sino all’inizio del 2016. Quando tutto iniziò. Gli attori, sempre gli stessi.
La nemesi e il passato che ritorna. Gennaio 2016. Gabriele Gravina diventa presidente della Lega Pro, l’elezione grazie all’asse di ferro stabilito con Giancarlo Abete, consigliere federale in quota Lega Pro che da presidente Figc anni prima aveva nominato Gravina capo delegazione della nazionale under 21: un’amicizia datata nel tempo, sin dai primi anni ’90, quando Gravina era presidente del Castel di Sangro e Abete presidente della serie C. Un patto, un asse, un preavviso di sfratto per chi comandava all’epoca in via Allegri. Cioè il presidente federale Tavecchio abituato a trovare sponda sull’Arno nel ragioniere Mario Macalli, e il consigliere (anche federale) Claudio Lotito che puntava su Raffaele Pagnozzi per lo scranno che ha sede a Firenze. Tre consiglieri federali e il 17% di quota elettorale: numeri decisivi per le elezioni Figc in programma giusto un anno dopo, parole inequivocabili. «Da oggi la Lega Pro non è più in maggioranza», disse Abete quel giorno. E Gravina, di rimando: «Sono pronto a collaborare, ma non ho paura della guerra. Lotito? Abbiamo culture diverse, a lui piace sottomettere, a me non piace essere sottomesso». Con la Lega A e la Lega B nel caos, Tavecchio vedeva così decisamente a rischio la propria rielezione, urne aperte a marzo 2017. Per uscirne vincenti, servivano nuovi appoggi, nuove sponde. Due mesi prima, il 28 gennaio del 2017, Cosimo Sibilia diventava intanto il nuovo presidente della Lega Nazionale Dilettanti. Arrivava nella sede di piazzale Flaminio, sigillo dell’alleanza tra Tavecchio e Malagò, con il beneplacito del ministro dello Sport, Luca Lotti. Senatore di Forza Italia, presidente del Coni Campania, una solida e salda amicizia col presidente del Coni benedetta anche dai buoni uffici di Gianni Letta, Sibilia prendeva così il posto del dimissionato (per le famose frasi sessiste, come dimenticare quel “… dare soldi a queste quattro lesbiche…”) Felice Belloli sostituito poi per un anno dal commissario Antonio Cosentino, defenestrato da Tavecchio proprio mentre il calabrese assaporava la candidatura presidenziale. Nata nei corridoi del Coni. Tavecchio, che da presidente Figc manteneva però le chiavi delle casseforti “Lnd servizi” e “Lnd Immobiliare”, caldeggiò decisamente l’elezione di Sibilia ai presidenti dei Comitati Regionali, tanto da ottenere l’unanimità. Due mesi dopo, fu proprio grazie ai voti della Lega Dilettanti che il ragioniere ed ex sindaco Dc di Ponte Lambro si risistemò, sia pur con bronchite e un po’ azzoppato, sullo scranno di via Allegri. Fu decisiva la Lega di Sibilia, decisivo Sibilia nel convincere proprio nella notte della vigilia il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi a votare per il mantenimento dello status quo. Tavecchio presidente, Sibilia vice e il direttore generale Figc Michele Uva al posto di Abete come vice-presidente Uefa. A far saltare tutto per aria, appena otto mesi dopo, sarebbe però arrivata la clamorosa, dolorosa, velenosa eliminazione della nazionale allenata da Gianpiero Ventura: niente Mondiali e Tavecchio costretto alle dimissioni al termine di un infuocato consiglio federale. Era fine novembre. Era il 20 novembre. «Tutta colpa dello sciacallaggio politico – tuonò il presidente Figc – ho preso atto del mutato atteggiamento di alcuni consiglieri». E poi, ancor più deciso e affilato nel rivoltare quel coltello che l’aveva tradito, pugnalato alle spalle. «Mi ha fatto fuori la politica, quante pressioni inimmaginabili sui “miei” Dilettanti». Il suo vice accusato di essere stato il pugnalatore, il fresco presidente della Lnd, Sibilia: «Sciacallaggio e pressioni? Non so a cosa si riferisse. C’è stata una componente autorevole che ha pensato di non fare più parte della maggioranza e noi ne abbiamo preso atto. Ringraziamo Tavecchio per quello che ha fatto, ora il calcio ha bisogno di ripartire e cominciare un nuovo percorso». Abete: «Il presidente Tavecchio ha preso atto che alcune componenti, che in passato avevano manifestato il loro appoggio, avevano difficoltà nel rinnovare questo tipo di consenso». E Gravina: «Prendo atto delle dimissioni. Ora però serve un progetto rivoluzionario e innovativo». Quel progetto rivoluzionario e innovativo si sarebbe tramutato poi in un patto, in un’alleanza, in una selva d’intrecci e accordi che alla fine avrebbero scatenato una guerra. Le armi ancora sul campo. Tre anni dopo quel patto stretto nel 2018, la fine del commissariamento, il giogo di Malagò che pareva scongiurato, superato, vinto. Un patto verbale? Un impegno morale? Una scrittura privata? «Una carta scritta, ce l’ha in mano un avvocato, il consulente principe dell’attuale federazione», avrebbe rivelato ad inizio di quest’anno senza più tenersi il figlio dell’ex patron dell’Avellino, quello che avrebbe voluto acquistare “l’amalgama” al mercato calciatori. Riferimento diretto a Giancarlo Viglione. L’amico. Anzi, l’ex amico, l’ex delfino diventato l’amico del sopraggiunto nemico, l’attuale braccio – l’altro è il procuratore capo Giuseppe Chinè – di Gravina. Niente amalgama, nei Palazzi del potere calcistico. «Tradito? Ho superato l’età dell’innocenza, mi sento deluso solo da una persona. Da Abete: era lui il garante dell’accordo, se non ci fosse stata la sua firma non avrei aderito». Aveva il 63% dei voti tre anni fa, vennero a patti (leggi qui). Siglati da Gravina, presidente uscente della Lega Pro, da Damiano Tommasi, presidente Aic, da Nicchi presidente Aia al terzo mandato, da Renzo Ulivieri presidente dell’Associazioni allenatori e da Abete. Doveva essere lui ancora una volta il presidente federale, però quella norma sul terzo mandato avrebbe prodotto l’inghippo, un ostacolo insormontabile. Un cavillo: due mandati ma già tre volte eletto, Giancarlo Abete. Niente da fare. E allora, ecco il nuovo piano: comincia Gravina, poi al nuovo giro la poltrona Figc passerà a Sibilia. Il Covid 19 avrebbe invece bloccato, congelato tutto, avrebbe invece fatto saltare i piani. Avrebbe completato l’opera di lacerazione interna. Ricorsi e colpi bassi per accaparrarsi voti, le deleghe, le percentuali delle componenti. Manovre cominciate dalla base di quella piramide, dalla Lega Nazionale Dilettanti, serbatoio e calderone assieme. Elezioni rinviate di un anno, all’inizio del 2021. Sulla scena sempre gli stessi attori, persino Tavecchio riemerso dall’oblio e di nuovo in sella, al comando del potente Comitato Lombardia, l’ultimo segnale di guerra verso l’ex delfino Sibilia, un segnale invece di alleanza con Gravina, l’ex nemico diventato ponte levatoio, al suo fianco per fare piazza pulita in via Allegri, per liberarsi finanche di Lotito: anche quel legame tra il ragioniere lombardo e il patron laziale ormai in frantumi. Lotito unico a spendersi per Sibilia in campagna elettorale proprio mentre Gravina offriva ad Abete la poltrona di consigliere indipendente della Lega Calcio (nomina saltata, in estate tentato il blitz con la proposta candidatura dell’ex capo (leggi qui) della Polizia Gianni De Gennaro, la carica però è ancora vacante visto lo stallo) guidata da Paolo Del Pino, spinto in via Rosellini a Milano proprio da Lotito e invece anche lui ormai adesso decisamente a giocare nell’altra metà campo. La poltrona di vice-presidente Figc plastica conferma di un puzzle non ancora completatosi. Il risiko è ancora in atto. Partito dalle urne del 22 febbraio, si chiuderà entro la fine dell’anno.
L’ultimo anno. Un anno tormentato, inaugurato da ricorsi e cambi di campo che sta per chiudersi. Con l’addio a Sibilia. Il serbatoio di voti e consensi s’è inesorabilmente svuotato, frutto di una gestione discussa, ritenuta insoddisfacente dai comitati regionali, frutto anche di una lunga operazione di sfiancamento condotta ai fianchi da Gravina. L’iniziale base elettorale s’era erosa ancor prima di entrare da contendente all’hotel Astoria a Roma, quel 22 febbraio, il giorno nel quale “le formiche avrebbero dovuto mettersi d’accordo per smuovere l’elefante”. L’Emilia Romagna e la Lombardia dell’ex alleato Carlo Tavecchio s’erano già sfilate, astenendosi nel giorno dell’elezione alla Lnd, mentre dall’altra parte in Piemonte l’attacco al presidente Mossino veniva rispedito al mittente dopo un’incauta mossa di Sibilia che aveva allertato il procuratore interregionale (Di Lello) anche se la vicenda sarebbe dovuta passare attraverso la Procura federale (Chinè): comunque la forza elettorale ridotta dal 34% al 30%. Una base ancor più erosa al termine dello spoglio delle schede, l’impietoso verdetto ufficializzato dal sempiterno Franco Carraro designato, manco fosse un vigile urbano, a dirigere il traffico da presidente dell’Assemblea elettorale: 73,45% per Gravina, un misero 26,25% (leggi qui), segno inequivocabile di altri tradimenti nel segreto dell’urna. In primavera, mentre Sibilia abbandonava la galassia di Forza Italia entrando in “Coraggio Italia”, il presidente Gravina inaugurava invece il tour post-elettorale partendo dalla Sardegna. Tra una visita e l’altra ai Comitati regionali, tra l’ascolto delle istanze e le promesse d’aiuto, parecchi e significativi sondaggi attrattivi. I Dilettanti, più di chiunque, hanno sofferto e soffrono la crisi. Non solo per colpa del virus. Partito dalla Sardegna, il presidente federale ha coperto in cinque mesi quasi tutto il territorio, l’ultima visita in ordine cronologico ai Comitati autonomi di Bolzano e del Trentino. Basterebbe cliccare sul sito della Figc (vedi qui) per fare il conto aggiornato dei chilometri percorsi, territori battuti palmo a palmo nel campo del nemico. Come in un vorticoso e vertiginoso gioco di Risiko, molti territori invece hanno cambiato bandiera. Attraversati da lotte intestine, accomunati da inchieste e vicende scomode, passate poi al vaglio dei vari gradi di giustizia sportiva federale e Coni. L’elenco sarebbe assai lungo, basterebbe a mo’ di esempio guardare in casa del Comitato Lazio del rieletto presidente Melchiorre Zarelli e al caso del milione sparito (leggi qui), approfondire magari le evoluzioni familiari del Comitato Campania, proprio il territorio domestico incendiatosi per una vicenda legata a gravi e accertate irregolarità nell’iscrizione ai campionati e non solo (leggi qui) con Carmine Zigarelli in “salvo” grazie al patteggiamento pecuniario (approvato da Gravina) dopo il deferimento (il procuratore Mormando aveva chiesto 12 mesi di inibizione): il presidente a cui proprio Sibilia aveva affidato la chiave del Comitato (la scorsa settimana gli 007 della Procura hanno ascoltato il segretario su un’altra vicenda che rischia di avere strascichi giudiziari) e adesso presidente (e mezzo comitato?) sulla sponda sicura di Gravina. Lì dove è approdato ad esempio anche Vito Tisci, presidente Lnd Puglia e riconfermato presidente del Settore Giovanile e Scolastico della Figc, Figc rivoltata da una serie di nomine e bocciature in chiave giustizia (leggi qui): magari è colpa dei troppi impegni se proprio la Lnd Puglia solo il 15 di ottobre – a campionati abbondantemente iniziati – ha ufficializzato le modalità di svolgimento dei playoff e dei playout dei campionati regionali. Tisci riconfermato da Gravina presidente del Settore giovanile nonostante Sibilia – al presidente della Lnd da consuetudine tocca il gradimento – avesse segnalato il nome dell’attuale vice-presidente Lnd Ettore Pellizzari, candidatura cassata però da Gravina. Ci sarebbe poi da aprire una parentesi in Umbria, lì dove il presidente Luigi Repace è al sesto mandato: un percorso macchiato da una pesante inibizione col tempo diventata più lieve. Nel copioso elenco di passaggi di campo manca ancora qualche casella (mentre in Sicilia si “discute” delle spese sostenute per la nuova sede), ad esempio quella della Basilicata, terra d’origine del coordinatore delle segreterie degli organi di giustizia federale, Giancarlo Viglione. Ad agosto era mancato il presidente Pietro Rinaldi, attualmente regge le sorti il suo vice, Emilio Fittipaldi. Bisognerebbe andare a nuove elezioni ma tutto è ancora bloccato, sospeso, congelato. Da più di novanta giorni (di regola ne trascorrono dieci) sono attese le motivazioni al decisionale (13 luglio) emesso dal Collegio di Garanzia del Coni sul ricorso presentato dall’avvocato Angelo Esposito in merito a presunte irregolarità (“per alzata di mano?”) nelle elezioni del gennaio 2021 che avevano confermato Rinaldi. Presidente della Lnd Basilicata che però non aveva potuto evitare a maggio il deferimento per “non avere corrisposto alle società i premi di valorizzazione dei giovani calciatori”, vicenda chiusasi con il patteggiamento (3000 euro di multa) raggiunto d’intesa con la Procura federale. L’avvocato Esposito è intenzionato a ricandidarsi mentre pare continui il lavoro dietro le quinte del lucano Viglione: potrebbe essere Leonardo Todaro il candidato, ma potrebbe essere pure l’ingegnere Egidio Comodo, marito della dottoressa Antonia Fiordelisi, componente della Corte federale d’Appello. Nel computo delle Regioni, Gravina ha ormai superato oltre il 50% del controllo: l’isolotto di Sibilia pare ormai composto da Sicilia, Marche, Liguria, Toscana (dove pesa molto Francesco Franchi, figlio del compianto Artemio), Liguria, Veneto e il comitato autonomo del Trentino. Una situazione evidente e stridente, riprodotta plasticamente e fedelmente fotografata nel corso della storica visita – la prima visita di un ministro – nella sede della Lega Nazionale Dilettanti a Roma, a piazzale Flaminio. Dieci giorni fa il titolare del dicastero del “Lavoro e Politiche Sociali” Andrea Orlando aveva trovato l’accoglienza di un entusiasta Cosimo Sibilia per un incontro il cui obiettivo principale era “rappresentare le preoccupazioni del mondo sportivo dilettantistico per l’impatto, anche economico, della riforma del lavoro sportivo sul ruolo delle società che, per la quasi totalità, sono associazioni non riconosciute e che basano la propria attività sull’impegno di volontari”. Ad ascoltare, solo sette dei venti presidenti dei Comitati Regionali. Tutto il Consiglio direttivo invece, il 30 agosto, aveva ascoltato le proposte di riforma e le promesse di sostegno di Gravina in un incontro (presente anche Malagò) tenutosi nel Salone d’Onore del Coni: in quell’occasione, oltre agli strali diretti all’Aia di Trentalange per il caso Bergamo (leggi qui), il presidente federale aveva annunciato l’avvio di un audit (controllo e verifica) del conto economico, dei contenziosi, e delle procedure di spesa dei vari Comitati regionali. Un annuncio solenne, la promessa di regolare definitivamente i conti. Lì nel Salone d’Onore del Coni, lì dove andrà in scena l’ultimo ring della sfida. La discussione sull’approvazione del bilancio, la conta dei voti, la resa dei conti: la mancata approvazione porterà all’inevitabile commissariamento. All’addio a Sibilia. E all’arrivo del sempreverde Abete. E poi perché sorprendersi? Natale ormai è alle porte.