Lotito e la guerra tamponi, ritocca alla Corte federale. La Figc punta sull’infettivologo Galli

Nelle memorie del procuratore Chinè un'intervista al medico indagato per associazione a delinquere. Il giudice Morelli e il lavoro in Cassazione con Fumo

È il giorno del giudizio. Anzi, del nuovo giudizio. Dire però che sarà l’ultimo, quello definitivo, sarebbe un azzardo. Del resto capita, è un po’ come quando ci si accosta al tavolo della roulette di un casinò: perché in fondo è solo questione di numeri, anzi di un numero. Conta solo dove si ferma la pallina, che gira impazzita in un vortice sino a fermarsi, lasciando i giocatori di stucco. E come un vortice la vicenda-tamponi – il “caso Lotito” – rotea da ormai un anno. Scoppiato a fine ottobre del 2020, arrivato al primo grado di giudizio (Tribunale federale nazionale) il 26 marzo, passato poi dinanzi alla Corte federale d’Appello il 7 maggio e arrivato sino al Collegio di Garanzia Coni (decisione del 29 settembre), questa mattina ritorna dinanzi ai giudici della Corte d’Appello Figc. Sette mesi d’inibizione a Claudio Lotito in primo grado, dodici nel secondo e infine il rinvio del Collegio del Coni che, accogliendo cinque punti su sei del ricorso del presidente della Lazio, ha rilanciato la pallina avvelenata nell’altra metà campo “ai fini della nuova valutazione della misura della sanzione”. Cavilli, norme e protocolli, rappresaglie e minacce: va così da un anno. Il caso, la guerra che contrappone Gravina e Lotito, è come un riassunto a puntate (leggi qui). Alla fine è rimasto un foglio, la pallina è diventata un macigno. Su quale numero si fermerà oggi? Tra previsioni e richieste, c’è tutto un mondo: il mondo del pallone italiano però è preso solo da un rapido ma significativo calcolo, attende solo una risposta: la nuova misura della sanzione nei confronti di Lotito supererà o no i dieci mesi? Perché nel primo caso il patron biancoceleste decadrebbe dalla carica di consigliere federale.

Lotito e la guerra tamponi, ritocca alla Corte federale. La Figc punta sull'infettivologo Galli Storiesport

Toccherà al Procuratore capo federale Giuseppe Chiné sostenere le ragioni della Figc dopo la batosta rimediata da Giancarlo Viglione al Coni. Contenute in 17 pagine, le memorie si chiudono così: “…si chiede di irrogare le sanzioni che il Procuratore federale chiederà nel corso della discussione del procedimento. In subordine, di irrogare le sanzioni ritenute di giustizia da codesta onorevole Corte”. Giuseppe Chiné – che alla firma aggiunge la carica di consigliere, quasi a volerne ricordare la veste – chiederà ancora l’inibizione di dodici mesi, oppure si fermerà a una richiesta di misura inferiore, magari dieci mesi, visti i rilievi accolti dal Collegio di Garanzia del Coni? E come e su cosa influirà il giudizio dei cinque giudici? Domande che lasciano il tempo che trovano, perché quello che conta è solo il numero che uscirà dal verdetto: dispositivo atteso in giornata, decisionale minimo tra dieci giorni. Il tempo è un bene prezioso.

Lo sa bene il procuratore capo Giuseppe Chiné che ancora non ha trovato il tempo per incardinare ad esempio la vicenda Juve-Suarez, deflagrata ben prima dei tamponi e approdata nelle aule della giustizia penale al tribunale di Perugia. Però scrive, nelle memorie del caso tamponi, ricorda, ammonisce, avverte solenne. “Il compito della Federazione e dei suoi organi giurisdizionali, in particolar modo della Corte Federale, è di dare al calcio italiano la sua importanza e il suo rilievo, ma altresì di sanzionare le violazioni normative che, in un contesto assai singolare e difficile come quello vissuto, mettono a rischio il regolare svolgimento dei campionati, la salute dei tesserati e in generale la credibilità e il prestigio della Federazione”. Già, la credibilità e il prestigio, scrive Chiné. Che è pur sempre e ancora – nonostante interrogazioni parlamentari, omissioni e incompatibilità negate (leggi qui) – il capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Per dare forza alle tesi della Figc (ritenute inammissibili dal Collegio del Coni per l’80%), indebolite e fiaccate dai rilievi mossi, si appella più volte al “principio di precauzione” e a una serie di circolari ministeriali. Per controbattere però ai giudici del Coni che avevano anche censurato la mancata valutazione dei pareri dei tre esperti (Pregliasco, Rossi e Bondini) chiamati in causa dalla difesa del patron della Lazio, ecco che nelle memorie presentate il 15 ottobre riporta ampi passaggi di un’intervista pubblicata l’1ottobre su “La Gazzetta dello Sport” sul caso “tamponi-Lazio” dall’infettivologo Massimo Galli, primario del reparto di “Malattie infettive” dell’ospedale Sacco di Milano, primario denunciato – notizia del 5 ottobre, dunque dieci giorni dopo la presentazione delle memorie del procuratore federale nonché capo Gabinetto del Mef, Chiné – per associazione a delinquere, accusato Galli insieme ad altri di “aver pilotato dei concorsi pubblici per l’assunzione di docenti ordinari alla Statale di Milano. “Se infrangi regole come queste, imposte per una situazione di improvvisa necessità, commetti un illecito pesante”, diceva Galli nell’intervista e riporta Chiné nelle memorie d’accusa sulle responsabilità ascritte a Lotito.

Lotito e la guerra tamponi, ritocca alla Corte federale. La Figc punta sull'infettivologo Galli Storiesport

La Lazio non può essere accusata di faciloneria o peggio di malafede. Oggi chiunque sa che oltre al negativo e al positivo esiste anche il falso positivo. I casi di falsi positivi, nella società civile, sono stati centinaia di migliaia. Perché ci si ostina a negare l’evidenza? La Lazio andrebbe (giustamente) sanzionata se Immobile e D. Anderson fossero stati impiegati dopo un tampone positivo. Ma non è così: per tutti e due, dopo il tampone positivo (a conferma che si trattava di un falso positivo) i tamponi sono stati negativi ed entrambi hanno superato accurate visite mediche. Perché per la Lazio (e solo per la Lazio) non esiste la categoria del falso positivo? Perché se Pregliasco, Rossi e Bondanini parlano di un falso positivo non gli si dà ascolto? Quando la stessa cosa è successa al Ministro dell’Interno nessuno ha dubitato che il suo fosse appunto un caso di falso positivo”: questo sarà invece uno dei passaggi più significativi della difesa. Anche sul “caso Lamorgese” batterà il professore Vaccarella.

A giudicare sarà il nuovo collegio a Sezioni Unite della Corte Federale d’Appello. Formatosi la scorsa settimana (leggi qui), ha come relatore la dottoressa Francesca Morelli, giudice di corte federale da appena cinque mesi eppure già con il pallone più scottante tra le mani. È un collegio tutto nuovo, come prescrivono le norme. Quello precedente era composto dal presidente Mario Luigi Torsello, da Mauro Mazzoni, Salvatore Mezzacapo, Carlo Sica e dal relatore Maurizio Fumo. Nel nuovo collegio compaiono invece Francesco Cardarelli, Salvatore Lombardo, Marco Lipari, Claudio Franchini e il magistrato in pensione Francesca Morelli che farà da relatore: tra i tanti giudici delle quattro Sezioni ci Corte federale D’Appello, la palla è passata proprio a lei. Una palla come fosse un testimone da raccogliere, un filo che porta al passato lavorativo, da prestigioso ed eminente togato: singolarmente e curiosamente si ritrovano nel passato i compiti da giudice relatore in Cassazione, questioni assegnate proprio dal presidente Maurizio Fumo, il relatore del primo giuzidio in Corte federale ed estensore della sentenza clamorosamente sconfessata dai giudici del Collegio di Garanzia del Coni. Tra le varie sentenze di Cassazione, fece scalpore e notizia – fu definita addirittura storica – la numero 18248 del 2 maggio 2016 adottata dalla Quinta Sezione penale di Cassazione, presidente Fumo e relatore consigliere Francesca Morelli. “Rubare per fame non è reato”, stabilì in sostanza quella sentenza che avrebbe poi fatto giurisprudenza. L’oggetto del furto era una confezione di wrustel dal valore di 4 euro, il furto lo aveva commesso un giovane senza fissa dimora. Una dimora: il caso tamponi, il caso Lotito, ne troverà oggi una definitiva?

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