Arbitri, Trentalange a processo il 13 febbraio. Salta il patteggiamento: Chinè aveva proposto 3 mesi per l’ex capo Aia

Il giudizio davanti al Tribunale federale nazionale presieduto da Sica. I sette capi d'accusa della procura FIgc dopo l'esplosione del caso D'Oonfrio. La difesa dell'ex capo dell'Aia affila le armi
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Trentalange a processo, pronto a difendersi come imputato dalle accuse mossegli dalla Figc dopo la slavina partita a metà novembre con l’arresto per narcotraffico del procuratore Aia Rosario D’Onofrio e che poi, come una valanga (tutti i passaggi della vicenda qui, qui, qui, qui e qui, qui, qui, qui) avrebbe investito e inghiottito i vertici dell’associazione italiana arbitri costringendo il presidente alle dimissioni il 18 dicembre con tanto di saluto di commiato nel consiglio federale del giorno dopo (leggi qui):  la resa dopo il commissariamento della giustizia sportiva, decisione assunta nel precedente consiglio federale di novembre su iniziativa del presidente Gabriele Gravina non senza però rilevanti distinguo, tra cui quelli della serie A con Lorenzo Casini e dell’ex presidente federale Giancarlo Abete (leggi qui), dimissioni date da Trentalange dopo vari colloqui telefonici con Gravina per evitare il commissariamento dell’Aia.

Il dimissionario (dimissionato) presidente dell’Aia dovrà quindi adesso difendersi dalle accuse mosse dal procuratore federale Giuseppe Chinè – sono ben 7 i punti di accusa contenuti nel deferimento depositato il 20 gennaio, nello stesso giorno cioè in cui chiedeva, ottenendola, la revocazione del processo sulle plusvalenze della Juventus – lunedì 13 febbraio (ore 11): è questa la data fissata dal presidente del Tribunale federale Nazionale Carlo Sica per il procedimento (è il primo grado di giudizio in ambito sportivo) che si terrà in video-conferenza.

Patteggiamento rifiutato. Al processo si arriva naturalmente dopo l’atto di deposito della chiusura indagini (nell’elenco di Chinè figurano una serie di audizioni tra cui quelle di Nicchi e del segretario generale Figc Brunelli, e poi i faldoni dell’inchiesta della Dda di Milano e della Procura della Repubblica meneghina, i procedimenti penali nei confronti di D’Onofrio, gli atti del Tribunale di Sorveglianza, registrazioni audio e relazioni) e dopo un tentativo di patteggiamento (il patteggiamento può arrivare prima del deferimento in base all’ articolo 126 Codice giustizia sportivo Figc e lo sconto di solito è del 50% sulla richiesta della Procura federale mentre se il patteggiamento arriva dopo il deferimento si entra nel campo d’azione previsto dall’articolo 127 del codice di giustizia federale e in questo caso di solito il “taglio” sulla pena è di un terzo rispetto alla richiesta che la Procura federale propone nel corso del dibattimento) che però non ha dato esiti. Sorpreso e amareggiato, Alfredo Trentalange (pare puntasse ad un provvedimento simile ad un’ammonizione con diffida, tanto per restare in tema di referti arbitrali e giudice sportivo), difeso dagli avvocati Bernardo Mattarella, Paolo Gallinelli e  Avilio Presutti, aveva ascoltato dalla Procura federale la misura sanzionatoria che sarebbe arrivata con il patteggiamento: un’inibizione di tre mesi. Una misura ritenuta però inaccettabile, incongrua e iniqua per l’ex presidente dell’Aia che, respingendo le accuse, ha rifiutato il patteggiamento aprendo sì la strada al processo sportivo ma mantenendo però intatta e inalterata la sua legittima facoltà di difesa. Punta al pieno proscioglimento (le nuove elezioni non si terranno prima di aprile) in un processo che si annuncia carico di colpi e di fendenti, da una parte e dall’altra. Trentalange aveva chiesto di essere ascoltato dal procuratore federale a metà dicembre: assistito dai suoi avvocati, aveva provato a difendersi da tutte le accuse mosse dalla Procura federale che, dopo l’arresto di Rosario D’Onofrio, aveva avviato indagini (facendosi recapitare gli atti, i documenti e le sentenze della Procura della Repubblica di Milano, D’Onofrio era già un pregiudicato prima dell’arresto di novembre 2022), per accertare se vi fossero state colpe, omissioni, responsabilità, commistioni e violazioni da parte di Trentalange e del vertice del Comitato Nazionale nella nomina di D’Onofrio, nel tenere “nascosta” la sua posizione nei confronti della giustizia e nei metodi della giustizia sportiva (leggi qui). Dopo la velocissima chiusura delle indagini (deposito conclusione il 7 dicembre, le firme del procuratore capo Chinè e dell’aggiunto Giorgio Ricciardi) c’era stato l’interrogatorio-audizione del 16 dicembre su richiesta della difesa (50 minuti, al termine i difensori di Trentalange avevano ribadito «che il nostro assistito ha raccontato la verità. Soddisfatti? La verità porta sempre sosddisfazione»). Chinè e la procura intanto hanno continuato ad indagare (indagini su altre vicende relative a decisioni e nomine varate dal Comitato Nazionale) mentre sulla vicenda Trentalange sarebbe calata una sorta di cortina fumogena. Dissolta dal deferimento (20 gennaio) e adesso dalla data di fissazione del giudizio (13 febbraio).

 

I capi d’accusa della Procura. Trentalange deferito perchè… “ha omesso di assumere qualsiasi iniziativa, anche la più minimale, per accertare i reali requisiti professionali e di moralità del sig. Rosario D’Onofrio, con cui Trentalange aveva un rapporto personale consolidato di vecchia data, prima della proposta, fatta dallo stesso Trentalange, e conseguente nomina da parte del Comitato Nazionale AIA (nel marzo 2021), a Procuratore arbitrale dell’A.I.A., mentre il nominato era detenuto agli arresti domiciliari, perché condannato per gravissimi reati concernenti la detenzione di sostanze stupefacenti”. Secondo punto. “Per aver contattato telefonicamente il Vice Presidente della Commissione Disciplinare Nazionale, avv. Andrea Sandroni, che aveva riscontrato negligenza e inadeguatezza professionale in capo a D’Onofrio quale componente della predetta Commissione, chiedendogli di non assumere nuove iniziative contro Rosario D’Onofrio, e così facendo – per proteggere D’Onofrio, – interferiva con l’attività, le prerogative, l’autonomia e l’indipendenza di un Organo di giustizia sportiva”. Terzo punto: “Per aver omesso di assumere qualsiasi iniziativa, anche la più minimale, per controllare il possesso dei requisiti professionali e di moralità necessari per l’attribuzione al sig. Rosario D’Onofrio di importanti onorificenze e premi (arbitro benemerito e premio Concetto Lo Bello), nel mentre D’Onofrio era detenuto agli arresti domiciliari in quanto condannato per gravissimi reati concernenti la detenzione di sostanze stupefacenti”.

processo

Quarto punto. “Per aver omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa, anche la più minimale, diretta ad accertare e conseguentemente intervenire affinché il sig. Rosario D’Onofrio garantisse un contegno diligente e una presenza regolare presso l’Ufficio, come richiesto dal suo ruolo di Procuratore Nazionale AIA, tenuto anche conto della rilevante mole di lavoro (1700 fascicoli l’anno) pendente presso il citato Ufficio”. Quinto punto. “Per non aver adottato modelli organizzativi idonei ad assicurare uno standard minimo di trasparenza e di correttezza amministrativa, finalizzati all’esecuzione presso l’AIA di un’attività di controllo sui rimborsi delle spese anticipate dai soggetti facenti parte degli Organi della Giustizia sportiva AIA, comportamento che ha agevolato l’attività illecita di Rosario D’Onofrio, Procuratore Nazionale AIA, il quale – per l’esercizio delle sue funzione dal mese di marzo 2021 al mese di agosto 2022 – ha presentato richieste di rimborso spese non veridiche di rilevante entità alla FIGC e all’AIA stessa”. Sesto punto. “Per aver comunicato e distribuito durante il Comitato Nazionale AIA riunitosi a Caltanissetta il 12 novembre 2022 un documento (notizia poi riportata dalla stampa nazionale) recante apparentemente le dimissioni dall’AIA di Rosario D’Onofrio, senza avere previamente compiuto la benché minima verifica finalizzata ad accertare attendibilità e veridicità del documento e del suo contenuto nonostante vi fossero plurime circostanze che deponevano per la non veridicità del documento stesso”. Settimo e ultimo capo d’accusa contenuto nel deferimento. “Per aver, nel corso del Consiglio Federale del 15 novembre 2022, nel quale si discuteva il caso “D’Onofrio”, reso dichiarazioni non veridiche, in ordine alla avvenuta acquisizione di un curriculum di Rosario D’Onofrio prima della sua nomina a Procuratore AIA, ai titoli di studio e professionali posseduti da quest’ultimo e alle presunte, ma inesistenti, autocertificazioni rese dal medesimo”. Per quanto riguarda le dichiarazioni rese nel consiglio federale del 15 novembre scorso, si può leggere (qui) quanto aveva dichiarato Trentalange così come Abete, Casini per la Lega A e il consigliere federale Stella Frascà avevano insistito sulla qualità e le modalità dei controlli delle nomine all’interno della Figc. Lunedì 13 febbraio il processo davanti al Tribunale Federale Nazionale presieduto da Carlo Sica: il giudizio si annuncia infuocato. Il collegio difensivo sta affilando le armi, l’avvocato Mattarella in particolare. In passato ha già sfidato la Figc, ad esempio nel giudizio sull’indice di liquidità, vincendo (un’altra roboante vittoria fu quella di Presutti nel caso tamponi-Lazio-Lotito). Il figlio del presidente della Repubblica confida nel bis. E Trentalange di “vendicare” quella che considera una pugnalata alle spalle.

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