Ha scelto il martirio o di inseguire l’esempio biblico di Sansone, noto per quell’urlo “muoia Sansone con tutti i filistei”? È la domanda che tutti gli associati Aia e non solo hanno cominciato a porsi da ieri sera, seguita a un’altra: ma cosa ha davvero in mente Alfredino? Alfredino sta per Alfredo Trentalange, il presidente dell’associazione italiana arbitri la cui formazione religiosa (salesiana) è assai nota così come dichiarata l’assoluta devozione a Maria, la mamma di Gesù. Che si aspetti un miracolo? L’ultima domanda ha accompagnato i pensieri dell’oscura notte al termine di una giornata devastante, anche questa dilatatasi tra stupore, sconcerto, rabbia, irritazione e imbarazzo, un po’ le stesse definizioni umorali utilizzate dai vertici del sistema sportivo italiano (Abodi, Malagò, Gravina) esattamente un mese fa, allo scoppio mediatico della “bomba” D’Onofrio (tutti i passaggi della vicenda dell’ultimo mese qui, qui, qui, qui e qui).
Un passo indietro. Cosa ha in mente Trentalange, cosa ha in mano Trentalange? Le due domande hanno continuato a rimbalzare anche al risveglio, diviso equamente tra incubo e realtà. «Ho preso atto con stupore e amarezza del contenuto della comunicazione inerente la chiusura dell’istruttoria della Procura Federale relativamente al caso D’Onofrio anche se è bene precisare che non si tratta di un deferimento a mio carico. In tal senso ho chiesto di essere sentito con estrema sollecitudine dal Procuratore, Dott. Giuseppe Chinè, non solo a mia tutela ma soprattutto nell’interesse di tutta l’Associazione Italiana Arbitri. Tengo a chiarire che non ho nessuna intenzione di dimettermi». Così Trentalange nella nota ufficiale pubblicata sul sito dell’Aia nel tardo pomeriggio di ieri, sei ore dopo il clamore generato da un’altra e ben più lunga nota, quella consegnata mediaticamente dall’Ansa che conteneva le conclusioni della Procura Figc, spesso schiva nel “comunicare” le proprie decisioni, specie quando si tratta di una “semplice” chiusura indagini. Violazioni, omissioni, commissioni, coperture, bugie: un quadro accusatorio pesante – tra le righe si può dire infamante e imbarazzante? – una serie di elementi probatori almeno in apparenza disarmanti: dentro l’avviso di chiusura indagini quell’accusa rivolta al capo degli arbitri di aver violato più volte l’articolo 4 (comma 1) del codice di giustizia sportiva non poteva non consegnare allo stupore e all’imbarazzo, non poteva non portare – pur non essendo ancora un deferimento – alle immediate dimissioni del presidente Aia, alla decadenza dell’intero Comitato Nazionale, al commissariamento prima del consiglio federale fissato (da giorni, non da ieri) al 19 dicembre. E invece le dimissioni non sono arrivate, come non erano arrivate subito dopo l’esplosione della bomba D’Onofrio e non erano arrivate nemmeno qualche giorno dopo, quando nell’agitato consiglio federale convocato d’urgenza Gravina aveva commissariato la giustizia domestica e poi detto, contrito: «Capisco l’amarezza di Trentalange. È stato democraticamente eletto ed è legittimato a tenere il ruolo. Oggi non ci sono elementi oggettivi per un provvedimento così violento come il commissariamento, ma se domani dovessero emergere altri elementi sarà Trentalange per primo a fare un passo indietro». La serie A quel giorno aveva chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta: richiesta bocciata dalla maggioranza del consiglio federale. Anche Trentalange aveva votato a favore del commissariamento della giustizia domestica ma infine ribadito, quasi sillabando: «Non mi dimetto». Resistere, resistere: la linea del Piave tenuta nella call convocata la sera prima, i componenti del Comitato Nazionale a discutere, pare con il vice Baglioni, Zaroli (Cra Lombardia) e la maggioranza a voler andare avanti mentre pare che Zappi e Cavaccini esponessero altre e diverse ragioni.
L’accelerazione. Il 27 novembre, dopo essere stato tra i relatori del convegno organizzato dalla Juventus sulle seconde squadre, Gravina aveva incrociato Trentalange a Torino nel corso della manifestazione “Campioni del Cuore”: breve e algido saluto istituzionale e nulla più. Sette giorni dopo parole affilate le avrebbe però pronunciate Abodi: il ministro, Malagò e il presidente Figc erano tutti nel salone delle Feste del Coni alla presentazione dell’opera (Codice di giustizia sportivo) del consulente giuridico federale Giancarlo Viglione. «Il caso D’Onofrio riguarda una categoria che ho sempre rispettato e difeso e di fronte alla quale sono pronto a qualsiasi sacrificio personale perché possa essere ribadita e preservata la sua integrità morale. Quindi sono sorpreso che di fronte a fatti come questi nessuno abbia sentito il bisogno di dire: “sono a disposizione”, perché questo va molto al di là delle decisioni che vanno prese, dà il senso della responsabilizzazione, che a volte non è tanto quella di aver commesso il fatto, ma quella di non aver compreso il fatto». Parole affilatissime che però non avrebbero spezzato la linea del Piave (sarebbe meglio dire del Po e dell’Arno), cioè quella di Trentalange e del comitato: resistere, resistere. Sempre nel salone del Coni, Malagò: «La peculiarità e le caratteristiche della giustizia sportiva sono la velocità, altrimenti è sempre perdente anche quando emette sentenze perfette». Gravina: «Ho sempre voluto dare centralità alla giustizia sportiva nel mondo endofederale. La giustizia sportiva è un caposaldo dell’ordinamento sportivo e un pilastro fondamentale di equilibrio nel nostro mondo perché rappresenta una verifica e garantisce il rispetto delle regole». Dopo la passerella davanti a microfoni e riflettori, Abodi e Gravina avevano però parlato a lungo in un colloquio riservato, oltre trenta minuti affrontando vari temi calcistici (Juve, provvedimenti fiscali), tra cui pure l’intricato, imbarazzante e asfissiante nodo arbitrale. Che il Coni ma soprattutto il ministro si aspettino decisioni radicali e veloci dalla Federcalcio è chiaro da tempo, illuminanti proprio le parole di Gravina al termine del consiglio federale che aveva deciso il commissariamento della giustizia domestica. «Portare la giustizia arbitrale sotto il controllo della Federazione è stata una prima risposta, presa di comune accordo con Malagò e Abodi».
Le denunce e le responsabilità. Magari anche così può spiegarsi l’improvvisa accelerazione nelle indagini federali proprio nei giorni in cui si accumulano faldoni e migliaia di pagine, visto ad esempio il caso Juventus e adesso pure il caso Portanova. Migliaia e migliaia di pagine da sfogliare per Chinè e gli investigatori della Procura, la chiusura indagini sulla vicenda D’Onofrio chiusa a tempi di record ascoltando testimoni, leggendo tra il migliaio di pagine della Dda di Milano e numerosi atti interni dell’Aia e della giustizia domestica. Tutto in nemmeno un mese. «Questa vicenda con questa dimensione è sicuramente su un altro pianeta, le avvisaglie sono state colte da noi con una denuncia molto chiara a luglio. Le indagini si sono concluse con un deferimento di D’Onofrio e l’udienza ci sarebbe stata il 25 novembre, quindi noi non abbiamo fatto sconti. Le avvisaglie vanno colte, la Federazione le ha sapute cogliere, e sono scaturite in un deferimento di un procuratore dell’AIA, un atto devastante e di una gravità unica e noi lo abbiamo fatto». Lo ripete da un mese il presidente Gravina: è bene sottolineare però come i fatti che hanno portato all’inchiesta federale e al deferimento di D’Onofrio fossero circoscritti alla vicenda degli audio con l’assistente arbitrale Avalos. Che il procuratore Aia D’Onofrio fosse un pregiudicato per narcotraffico, che agli arresti e poi ai domiciliari avesse continuato a inquisire arbitri e associati e poi tutta la valanga conseguente di rivelazioni, premi, attribuzioni, omissioni, omertà e coperture, è venuta giù solo dopo, solo dopo il nuovo arresto del 12 novembre. Solo dopo anche la Figc ha cominciato a indagare sul resto aprendo un vaso di Pandora che non s’è ancora del tutto svuotato. Solo dentro l’Aia si sapevano certe cose? O anche altrove?
Il commissariamento e lo stallo. L’avviso conclusioni indagini come un avviso di sfratto immediato: Trentalange, devi lasciare prima del consiglio federale del 19. Forse sarebbe un modo per chiudere senza troppi altri fragorosi frastuoni la vicenda prima dell’ultima riunione federale in via Allegri. Forse. Però Trentalange non ci sta e pare non sentirci, ha chiesto di essere ascoltato da Chinè, ci sono quindici giorni di tempo per farlo, prima cioè di arrivare all’atto di deferimento vero e proprio. Cosa dirà il presidente dell’Aia al procuratore capo Figc? Si difenderà soltanto, oppure attaccherà? Che documenti ha in mano? Le domande rimbalzano, mentre Trentalange cerca aiuti sull’altra sponda del Tevere, mentre si affida ad un pool di avvocati (Mattarella, Presutti e Gallinelli), mentre sul campo di battaglia si accumulano fatti, atti, documenti, rivelazioni. Quei passaggi contenuti nell’avviso di conclusioni indagini sono punti d’accusa pesanti assai. Tra i poteri del presidente federale c’è anche quello di poter commissariare l’Aia in qualsiasi momento, anche senza un provvedimento di condanna o finanche di deferimento. Con il commissariamento decadrebbe tutto il Comitato Nazionale, resterebbe in carica solo chi ha incarichi tecnici associativi. Commissariando la giustizia domestica, Gravina aveva fissato nel 15 dicembre il limite temporale per le modifiche regolamentari e avvertito che, in mancanza, sarebbe intervenuto un commissario (il vice-segretario Figc Antonio Di Sebastiano) per la riscrittura del testo. Per l’adeguamento però l’Aia avrebbe dovuto convocare un Consiglio centrale allargato, cui partecipano i componenti del Comitato nazionale, i presidenti dei CRA, i membri dell’ufficio legale, i capi delle diverse commissioni Can: è un passaggio obbligato quando ci sono delle modifiche statutarie. Questo consiglio allargato però pare non sia stato ancora convocato; inoltre nei comitati regionali non sono state organizzate le consulte, in agenda ci sono solo le date delle cene di fine anno. Segnali strani, quantomeno. Segnale assai diverso è invece quel punto presente nell’ordine del giorno del consiglio federale del 19, un segnale sinistro: “situazione Associazione Italiana Arbitri, provvedimenti conseguenti”. L’unico provvedimento possibile, a questo punto, è il commissariamento. Altrimenti Gravina andrebbe in serissima difficoltà, anche lui bersaglio di Abodi che si aspetta segnali decisi. Il segnale sinistro poi si somma a voci, indiscrezioni, fughe in avanti. Se Trentalange non si dimette prima del 19, che succederà il 19 in via Allegri? Se non arrivasse il commissariamento da parte di Gravina, si pronuncerebbero ancora solo parole come sconcerto e stupore? L’attesa cresce, come il ventaglio di candidati che dovrebbero poi traghettare l’Aia verso nuove elezioni. C’è chi accosta la data del 19 dicembre al termine dell’esperienza Mondiale di Orsato, fischietto in carriera che potrebbe pure decidere di continuare ancora per una stagione. Oppure quello del designatore Rocchi, espressione di questo Comitato eppure pare che la nomina fosse stata caldeggiata all’epoca proprio da Gravina. E c’è quello di Rizzoli, ieri sera era rimbalzata una voce espressa da chi ha assai ascolto dalla presidenza federale: la voce dava per certo l’improvviso ritorno in Italia di Rizzoli, imbarcatosi sul primo aereo in volo dal Qatar. Eppure in serata sul profilo social di Rizzoli comparivano le immagini della sfida tra Argentina e Olanda, seguita dal vivo in tribuna.
Le accuse. L’accusatore degli arbitri che falsificavano i rimborsi accusato di aver falsificato pure lui i rimborsi delle spese viaggio. La mail partita dall’account del fratello del procuratore dell’Aia (il fratello nel settore tecnico dell’Aia ma pare adesso non più) con le dimissioni in data precedente all’arresto, la firma giudicata sospetta e insolita (Rosario D’Onofrio e non D’Onofrio Rosario), la circostanza (da appurare) emersa nel corso dell’audizione di testimoni che un giorno il presidente della sezione di Cinisello in visita a casa di D’Onofrio fosse stato chiuso da questi in bagno perché “visitato da uomini dei Servizi” (pare fossero i carabinieri che dovevano appurare l’osservanza dei domiciliari): tutti elementi contenuti nell’atto di chiusura indagini della procura Figc. Atti che inchiodano a gravi responsabilità e violazioni il presidente degli arbitri Trentalange. Accusato di violazioni, omissioni, commissioni, coperture. Trenta giorni di tempo per arrivare al deferimento, l’accusa è aver violato l’articolo 4 comma 1 del codice di giustizia sportivo.
Il rosario di accuse. Secondo l’accusa Trentalange aveva “la diretta responsabilità delle nomine dei vertici degli organi di giustizia Aia” ed ha poi “omesso di assumere qualsiasi iniziativa, anche la più minimale, volta e finalizzata ad accertare i reali requisiti professionali e di moralità del sig. Rosario D’Onofrio prima della proposta, fatta dallo stesso Trentalange, e conseguente nomina da parte del Comitato Nazionale Aia (nel marzo 2021), a Procuratore arbitrale dell’Aia, comportamento omissivo, seguito da quello commissivo di proposta, che ha determinato la nomina del D’Onofrio – con cui il Trentalange aveva un rapporto personale consolidato di vecchia data (era stato infatti lui a segnalarlo al Presidente Nicchi al fine della nomina a componente della Commissione Disciplinare Nazionale il 7 marzo 2009, primo incarico avuto dal D’Onofrio in un Organo di giustizia sportiva) – ad una carica di vertice di un importante Organo di giustizia domestica Aia (Procuratore nazionale Aia) mentre il nominato era detenuto agli arresti domiciliari presso la sua abitazione di Garbagnate Milanese perché condannato alla pena definitiva di anni 2 e 8 mesi di reclusione ed alla multa di 6.000 euro per gravissimi reati concernenti la detenzione di circa 44 Kg. di sostanze stupefacenti”. La Procura Figc lo accusa anche di “aver contattato telefonicamente il vicepresidente della Commissione Disciplinare Nazionale Andrea Santoni, il quale, riscontrando negligenza ed inadeguatezza professionale in capo al D’Onofrio quale componente della predetta Commissione, aveva invitato quest’ultimo per iscritto a tenere comportamenti più consoni alle funzioni svolte, chiedendogli di non assumere nuove iniziative contro Rosario D’Onofrio, e così facendo – per proteggere il D’Onofrio, al quale era evidentemente legato da consolidato rapporto personale – interferiva con l’attività, le prerogative, l’autonomia e l’indipendenza di un Organo di giustizia sportiva”. E ancora, Trentalange avrebbe “omesso di assumere qualsiasi iniziativa, anche la più minimale, volta e finalizzata a controllare il possesso dei requisiti professionali e di moralità necessari per l’attribuzione al sig. Rosario D’Onofrio di importanti onorificenze e premi (arbitro benemerito e premio Concetto Lo Bello), nel mentre il D’Onofrio era detenuto agli arresti domiciliari e conseguentemente proponendo e facendo attribuire al D’Onofrio onorificenze e premi in campo sportivo-arbitrale incompatibili con il suo status di detenuto e, più in generale, con i suoi gravi precedenti penali”.
Nessuna iniziativa anche per “accertare e conseguentemente intervenire affinché il sig. Rosario D’Onofrio, che nel corso dello svolgimento dell’incarico di Procuratore dell’Aia (dal marzo 2021 al 10 novembre 2022, data del secondo arresto), ha partecipato solo a pochissime riunioni in presenza (17 giugno 2021, 1 aprile 2022, 5 settembre 2022) presso la sede della Procura Aia di Roma” e sarebbero mancati anche “direttive, ordini di servizio o protocolli operativi che potessero assicurare standard di trasparenza e di correttezza amministrativa, volta e finalizzata all’esecuzione presso l’Aia di un’attività di controllo sui rimborsi delle spese (…), comportamento che ha agevolato l’attività illecita di Rosario D’Onofrio, il quale – per l’esercizio delle sue funzioni dal mese di marzo 2021 al mese di agosto 2022 – ha presentato richieste di rimborso spese allegando biglietti ferroviari falsificati, e mai emessi dalla società di gestione dei servizi di trasporto, creando un danno economico di rilevante entità alla Figc ed all’Aia”. Trentalange colpevole per la procura Figc “di avere comunicato e distribuito durante il Comitato Nazionale Aia riunitosi a Caltanissetta il 12 novembre 2022 un documento (notizia poi riportata dalla stampa nazionale) recante apparentemente le dimissioni dall’Aia di Rosario D’Onofrio, datato 9 novembre 2022 e firmato “Rosario D’Onofrio”, documento inviato dall’account di posta elettronica in uso al fratello del Procuratore, senza avere previamente compiuto la benché minima verifica volta e finalizzata ad accertare attendibilità e veridicità del documento e del suo contenuto”, visto che D’Onofrio “nella data dell’invio del documento da parte del di lui fratello era già detenuto in carcere”; “nella data di apparente firma del documento (9 novembre 2022) si trovava a Roma, presso la sede dell’Aia per svolgere le sue funzioni di Procuratore ed ivi non aveva manifestato ad alcuno la volontà di dimettersi”; “la firma apposta in calce al documento, affatto diversa per forma e per fattura, da quelle apposte su altri documenti”. Trentalange accusato ancora di “avere reso dichiarazioni non veridiche” nel corso del Consiglio Federale del 15 novembre “in ordine alla avvenuta acquisizione di un curriculum di Rosario D’Onofrio prima della sua nomina a Procuratore Aia, ai titoli di studio e professionali posseduti da quest’ultimo ed alle presunte, ma inesistenti, autocertificazioni rese dal medesimo”. Restano nove giorni prima del Consiglio federale. Ci si arriverà ancora solo con stupore e sconcerto? E si scioglierà finalmente almeno una domanda: solo all’interno dell’Aia si sapeva della doppia/tripla/quadrupla vita di Rosario D’Onofrio?