Sono bastati sette giorni. Appena una settimana per trasformare sconcerto, stupore, sorpresa e amarezza in orgoglio, fierezza, soddisfazione, vetrina. Sette giorni appena. Nel pomeriggio Daniele Orsato (assistenti Giallatini e Carbone, in sala Var invece Irrati e Valeri) darà il fischio d’inizio al Mondiale in Qatar. «È un motivo d’orgoglio per tutto il movimento calcistico italiano, dalla Federazione, alle Leghe, a tutte le componenti: è una designazione che ci rende fieri. I nostri trentamila associati saranno al fianco di Daniele e di tutta la squadra italiana»: così il presidente dell’associazione italiana arbitri Alfredo Trentalange in una nota pubblicata sul sito Aia, melodiosa nota assai diversa nel tenore da quella malmostosa diffusa appena sette giorni fa, per giunta arrivata parecchie ore dopo il clamore generato dalla notizia dell’arresto del pregiudicato procuratore capo dell’Aia, il rumore sinistro delle parole del presidente federale Gabriele Gravina («sono sconcertato. Ho subito chiesto riscontro al presidente Trentalange… la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale») e un valzer di telefonate, dal ministro Abodi al presidente del Coni Malagò, tutti a chiedersi e chiedere: ma è uno scherzo, vero? «L’Aia prende atto con sorpresa e sgomento delle notizie diffuse a mezzo stampa relative all’arresto del procuratore Rosario D’Onofrio…». Tutto vero, invece. Anzi la realtà, goccia dopo goccia, sarebbe diventata uno tsunami (leggi qui e qui). Un maremoto che ha travolto l’intera credibilità del sistema arbitrale, che ha squassato l’intero sistema calcistico («il mondo del calcio è stato saccheggiato da quest’episodio», le parole sono di Gravina): eppure, almeno per il momento, solo i pesci più piccoli riaffiorano da questo tsunami, restituiti senza fiato dalle macerie del day-after mentre il pallone italiano resta un acquario artificiale dentro un salotto dove si boccheggia a bassa voce mentre tutta l’Italia continua a chiedersi: ma come è stato possibile? Sospeso sabato 12 (a tempesta mediatica già scoppiata) in via cautelare il procuratore D’Onofrio a tutela dell’immagine dell’Aia e in attesa “del perfezionamento delle sue dimissioni”: al comunicato 66 dell’Aia cinque giorni dopo sarebbe seguito il 67 col quale Trentalange annunciava la convocazione di un Comitato nazionale straordinario per deliberare “la decadenza” del presidente della sezione di Cinisello Balsamo (la sezione d’appartenenza di D’Onofrio) Giuseppe Esposito perché s’è saputo – sempre dopo però – che un tesserato l’avesse messo al corrente della situazione e che lui non l’avesse comunicata al presidente nazionale e all’intero comitato. Sbattuto in prima pagina, Esposito aspetta.
Tutti convocati. La riunione che delibererà (il comunicato Aia ne parla esplicitamente) sulla decadenza di Esposito e sul commissariamento della sezione di Cinisello Balsamo e sul ritiro del premio assegnato a D’Onofrio (revoca della benemerenza e anche della sua funzione di procuratore capo, per ora in attesa dell’ombrello federale funzioni al vice Albergotti di Arezzo) si terrà stamattina pur se nessuna visita ispettiva sia stata compiuta nella sezione lombarda (anche questo un punto che aggiunge caos al caos e che sottolinea fretta e impreparazione): oggi, nello stesso giorno di Orsato che avvia il Mondiale, nello stesso giorno della Nazionale che, lontana dal Mondiale, giocherà invece un’amichevole contro l’Austria. Tra quei trentamila iscritti che secondo Trentalange affiancheranno orgogliosi la squadra arbitrale italiana in Qatar, ce ne sono tanti che invece e intanto manifestano scontento, stupore, sorpresa. E la fila del malcontento s’ingrossa mentre a sette giorni dallo tsunami le domande continuano a rimbalzare un po’ ovunque: come è stato possibile? Possibile che nessuno sapesse? Possibile che nessuno avesse avvisato, avvertito? Possibile che nessuno abbia coperto? Le domande sono ancora tutte senza risposta mentre nel mondo arbitrale si registrano malumori crescenti. Tra quei trentamila molti s’aspettavano provvedimenti diversi da parte del vertice: un’assunzione di responsabilità, una presa d’atto vibrante, un atto di dignità come le dimissioni dell’intero Comitato, persino parole affilate dal proprio presidente e non l’accettazione senza colpo ferire – anzi con tanto di voto favorevole espresso in consiglio federale – del passaggio sotto l’ombrello federale della giustizia domestica. Inevitabile e tardivo passaggio accolto però quasi fosse un salvacondotto: evitato almeno per ora il commissariamento dell’Aia. «A oggi non ci sono elementi oggettivi per individuare un provvedimento così violento. Se domani dovessero emergere delle responsabilità diverse da quelle individuali di D’Onofrio, penso che Trentalange sarà il primo a fare un passo indietro»: alle parole di Gravina dopo il consiglio federale straordinario non sarebbero però seguite quelle pubbliche di Trentalange.
Il retroscena. Al consiglio federale di martedì scorso gli arbitri c’erano arrivati dopo una notte travagliata, la riunione via zoom tra i componenti del Comitato Nazionale trascorsa lunedì sera animatamente a discutere sulla linea da tenere. O da mantenere. Come fosse la linea del Piave. Al motto di “resistere, resistere, resistere”: è così che sarebbe passata la mozione, sintesi di anime però lacerate e divise. Pare che un paio di componenti del Comitato – Cavaccini e Zappi – fossero per le dimissioni, in difficoltà Zaroli che è del CRA Lombardia, Cavaccini a insistere per una riunione allargata. Alla fine però avrebbe vinto la mozione messa ai voti dal vice-presidente Duccio Baglioni, proposta approvata dal presidente Trentalange ermeticamente chiuso nella propria delusione-amarezza. Il malcontento della base sempre più crescente. Un malcontento accompagnato da fastidio e sconcerto, giovedì scorso. Trentalange poche ore prima aveva inviato una mail ai presidenti di tutte le sezioni invitandoli ad un collegamento da remoto per spiegare l’accaduto e le future iniziative.
Il monologo e il malcontento. Ventisette minuti: il collegamento in serata si sarebbe tradotto però solo in un monologo. Nel corso del quale Trentalange avrebbe letto le comunicazioni, esposto i fatti accaduti e le decisioni prese dal Comitato pregando di metterle a conoscenza di tutti gli iscritti. Avrebbe poi letto la risposta data a Gravina nel corso del consiglio federale, del come e del perché era maturata la nomina di D’Onofrio. Avrebbe poi letto il curriculum presentato dal procuratore capo ribandendo come ogni anno avesse presentato il daspo (l’autocertificazione con la quale arbitri e tesserati comunicano la propria posizione) e come ogni anno avesse ridichiarato la veridicità dei dati riportati nella piattaforma arbitrale (Sinfonia for You). Avrebbe poi rimarcato come in Aia fosse dirigente dal 2009, sempre riconfermato e inserito nella Commissione Disciplina dal 2013, ai tempi della presidenza di Marcello Nicchi deciso a replicare, punto su punto con una lettera. Poi un breve passaggio come fosse una bastevole rassicurazione: le professionalità Aia non saranno disperse, ci saranno dei bandi per entrare nelle commissioni federali di giustizia sportiva Poi. “Poi niente, ci ha salutato e ha chiuso il collegamento. Nessuno ha potuto fare una domanda, nessuno ha potuto chiedere nulla”: il laconico commento di più di un presidente di sezione è diventato nel corso di questi giorni un manifesto. Insurrezionale non ancora, certo però testimonianza di crescente malcontento, sconcerto, sgomento. Mentre l’Aia si barrica, mentre la Figc congela, mentre il ministro dello sport attende, mentre tutta Italia continua ancora a chiedersi senza forse nemmeno più sorprendersi, sempre più convinta che dopo questo tsunami il mare tornerà a lambire l’ovattato sistema calcistico e arbitrale: nella rete cadono solo e sempre i pesci piccoli.
Ricordi e domande. Le domande, tra associati e non, però aumentano. Ad esempio alcune scaturiscono dopo la pubblicazione – ma circolavano da mesi – delle conversazioni tra il procuratore capo Aia D’Onofrio e il dimesso assistente arbitrale Robert Avalos, audio nei quali D’Onofrio fa il nome del presidente della CON (Commissione Osservatori Nazionali) Stella e di un altro componente Can mentre emerge ora come il mental coach degli arbitri Alessandra Monasta fino a pochi mesi fa fosse anche socio del designatore Rocchi nei corsi di formazione alle aziende. Tornando a D’Onofrio. «Allora Robert, faccio una cosa che non dovrei fare: chiamo Stella dai. Ora chiamo Stella, poi ti richiamo». E ancora, sempre al telefono: «Se Stella mi raccontasse una bugia, io dovrei deferirlo. Quindi lui non mi potrebbe mai raccontare una bugia». Se millantasse o meno non si sa, certo è che la strategia-scure dei deferimenti fosse il mantra di D’Onofrio: oltre mille e cinquecento i deferimenti in un anno e mezzo di carica. Tutti passati al vaglio prima del primo grado e poi dell’appello della giustizia domestica, tanti fino al Collegio di Garanzia del Coni, l’altissima percentuale delle condanne sarebbe anche questo un caso da studiare attentamente. Anche qui tanti si chiedono: possibile che nessuno sapesse e possibile che dopo esser venuti a conoscenza (la questione era arrivata il 28 ottobre alla Commissione federale di Garanzia) nessuno avesse preso provvedimenti nemmeno cautelari, provvedimenti presi solo due giorni dopo il nuovo arresto di D’Onofrio, spiattellato dai media? Riaffiorano a galla momenti solenni, come ad esempio le foto che testimoniano di come D’Onofrio – costretto ai domiciliari – svolgesse la funzione da casa in collegamento video nelle riunioni di sezione come in quelle della procura arbitrale, sostituito a volte in presenza dal vice Matteo Grassi, avvocato e cerimoniere del “Grade Oriente d’Italia”, la più importante loggia massonica italiana. Ad alcuni appuntamenti arrivava scortato dai carabinieri, come quando gli fu consegnato a luglio 2022 il premio “Concetto Lo Bello”, evento sugellato da una foto col componente del Comitato Katia Senesi e sullo sfondo il vice-presidente Aia Duccio Baglioni. Entrambi presenti anche alla prima riunione della procura arbitrale della stagione, evento tenutosi a Montesilvano. Quel giorno non troppo lontano nel tempo, Rosario D’Onofrio disse solenne: «È importante che tutti noi sposiamo l’ottica della squadra per affrontare e superare le difficoltà affinché possiamo uniformarci nella forma e nella mentalità». Ritornano incombenti le domande cui dare risposta: come è diventato procuratore arbitrale? In base a quali requisiti? Aveva precedenti almeno con la giustizia sportiva o quel pugno sferrato in divisa al presidente onorario di una squadra dilettantistica nel 2007 era stato solo un abbaglio? Aveva un punteggio di 300, requisito necessario pare per ottenere la qualifica di “arbitro benemerito”? Il riconoscimento sancito pare a marzo 2021, un mese dopo l’avvenuta elezione di Trentalange, un’elezione vissuta come un voltare pagina, l’inizio di un nuovo corso.
Le parole. «La condivisione è un valore fondamentale e noi dobbiamo provare a creare uno stile nuovo, un modo diverso di metterci insieme, di parlare, studiare un linguaggio diverso. Condivisione è imparare a lavorare di squadra, dove l’autorità sia dettata dall’autorevolezza morale, dall’impegno, dai valori». Questo fu il messaggio che rivolse a tutti gli iscritti Aia. Da quel giorno è passato un anno e mezzo, da Rimborsopoli 1 e 2, dalle chat e voti ritoccati ad una serie di inciampi sul Var, i “cold case” sono diventati un minuscolo asterisco davanti al cospetto del caso D’Onofrio. Poche ore dopo il consiglio federale che avrebbe commissariato la giustizia sportiva, il neo ministro Abodi avrebbe detto così. «Mi aspettavo la tempestività che si è determinata in un consiglio straordinario annunciato nel giro di 24 ore. Mi aspetto l’ascolto di chi avrà necessità e la voglia di parlare. Si deve sentire libero di poter parlare, perché il nostro mondo deve abbandonare le zone grigie. Dobbiamo recuperare la credibilità e riaffermare la reputazione che passa attraverso la trasparenza, la sincerità e anche la tempistica». Trasparenza, sincerità, tempistica. Già. D’Onofrio in carcere a Milano non ha risposto alle domande del Gip. La nuova inchiesta porterà a un nuovo processo, un altro capitolo alla precedente condanna (due anni e otto mesi) confermata sino in Cassazione alla quale D’Onofrio s’era rivolto chiedendo le attenuanti, il suo legale aveva specificato che l’assistito aveva devoluto fondi ad una onlus del territorio testimoniando così “del percorso riabilitativo intrapreso”. Intanto il procuratore capo Figc Giuseppe Chinè ha ricevuto dalla Dda di Milano le mille e più pagine dell’inchiesta; da queste pagine potrebbero uscire nuove rivelazioni che potrebbero far luce sulle condotte di D’Onofrio ma anche su responsabilità e omissioni nella catena sportiva, quella domestica certo ma chissà, forse anche in quella federale. Intanto nel dibattito su responsabilità e omissioni e alla richiesta di provvedimenti continuano a iscriversi in tanti. In un post su social chiede il ministro Matteo Salvini: “Chi lo ha nominato? Chi non ha controllato? Qualcuno pagherà per questo?”. E se lo chiede l’ex direttore generale/segretario Figc Antonello Valentini costretto a chiarire in due lettere – caso più unico che raro – inviate e pubblicate per due giorni di fila su “Il Corriere dello Sport” il proprio pensiero. La prima lettera – nella quale sottolineava come anche Trentalange dovesse farsi un esame di coscienza pur se non avesse avuto responsabilità dirette – si chiudeva con un passaggio su Gravina. “Non ho mai chiesto a Gravina di fare un passo indietro, non mi ero spiegato bene nella prima lettera”, questo invece il succo della seconda.
La catena. Intanto parecchi arbitri e tesserati deferiti dal “giustiziere D’Onofrio e poi condannati, potrebbero tornare all’assalto. Chiedendo la revisione dei processi, come stabilito nell’articolo 63 del codice di giustizia Coni. Ci sarebbe anche un’altra strada, come quella di un intervento motu proprio del presidente federale Gravina che in base all’art. 41 del codice di giustizia federale potrebbe varare un provvedimento di amnistia per tutti gli arbitri e tesserati Aia ingiustamente inquisiti e sanzionati. A testa bassa è inatnto già andato Giacomelli che con dichiarazioni pesanti ha messo in moto un altro mezzo-terremoto. Dal 7 novembre però non è più assistito dall’avvocato Giorgio Spallone che l’aveva difeso nel ricorso (rigettato) al Collegio del Coni a fine ottobre. «Logica conseguenza della decisione di portata epocale assunta dal consiglio federale di abolire la giustizia domestica Aia potrebbe essere quella dell’amnistia per tutti gli arbitri e tesserati Aia ingiustamente inquisiti e sanzionati. Un provvedimento elaborato col massimo approfondimento giuridico in considerazione degli effetti accessori che produrrebbe per ogni destinatario. L’amnistia, prevista dall’ordinamento sportivo quale provvedimento eccezionale di clemenza, oggi si tradurrebbe in autentico atto di giustizia verso molti e contribuirebbe a restituire al mondo del calcio quella credibilità gravemente compromessa da fatti e comportamenti di gravità inaudita soltanto ora venuti a conoscenza della comunità di tifosi ed appassionati dello sport». Così l’avvocato Spallone. Tra voci e richieste, oggi pomeriggio Orsato darà il via al Mondiale, un motivo di orgoglio per il mondo dell’Aia e del pallone italiano che continua a rimbalzare sbilenco, riservando un’altra indiscrezione: e se a fine stagione toccasse proprio a Orsato traghettare l’Aia verso nuove elezioni?