Si studiano come pugili suonati, spiazzati, sfiancati. Provano a parare i colpi dell’avversario, ad anticiparne le mosse, cercano di restare in piedi prima che risuoni il gong finale. Affannati e pressati, continuano sopra un ring spettrale. Il ring è stato appena devastato da una bomba – un’altra ancora, ma questa è la più potente mai sganciata – che ha letteralmente raso al suolo la credibilità dell’intero sistema calcistico tricolore: il procuratore capo dell’Associazione italiana arbitri, la più delicata costola della Federcalcio, era un pregiudicato condannato a due anni e otto mesi per traffico internazionale di droga. Ristretto ai domiciliari dopo quattro mesi di carcere, svolgeva la funzione inquirente della giustizia arbitrale grazie a permessi ottenuti dal Tribunale di Sorveglianza di Milano che gli consentivano così di raggiungere Roma, di entrare nella sede di via Campania. A due passi da via Allegri, la sede della Figc, altre volte (complice il lockdown) udienze invece in remoto, comodamente da casa. Mille e cinquecento i procedimenti aperti in un anno e mezzo, promosso al ruolo (marzo 2021) dopo la condanna con rito abbreviato e quattro mesi di carcere (settembre 2020), addirittura insignito del premio “Concetto Lo Bello” (luglio 2022) e deferito dalla Figc alla Commissione federale di Garanzia (ottobre 2022) per un’altra questione (vicenda Avalos), procedimento cui s’era appellato (in sintesi consigliava la strategia da seguire «se lei si vuole tutelare deve fare un po’ di caos, lei deve scrivere un esposto alla procura, poi me la vedo io…» ad un assistente che era stato penalizzato dai voti) la discussione prevista il 25 novembre. Quest’ultima data è rimasta appesa, anzi strappata dal calendario. Restano però appese mille altre domande, mentre i protagonisti si strappano le vesti. Nessuno sapeva della doppia/tripla/quadrupla (militare, ufficiale medico militare, pestatore, trafficante di droga, ripulitore di denaro, procuratore arbitrale) vita di Rosario D’Onofrio, non lo sapeva l’Aia, non ne sapeva nulla la Figc. Chissà, se non ci fosse stato il nuovo arresto (giovedì scorso), se non ci fosse stata la notizia di stampa, se non ci fosse stato qualcuno che avesse fatto l’accostamento – ma questo Rosario D’Onofrio è quel Rosario D’Onofrio? – forse Rosario D’Onofrio avrebbe continuato a essere il fustigatore (non a tutto tondo, dicono) delle condotte, dei costumi e dei vizi arbitrali. «Un grimaldello politico», ha detto di lui e di loro Giacomelli, l’arbitro squalificato da D’Onofrio per un rimborso spese di 71 euro e riappiedato prima del ricorso al Collegio di Garanzia Coni per una questione di aggiornamento anagrafico (doppio nome). Pare da ridire eppure la considerazione è spontanea: evidentemente di doppie vite il procuratore D’Onofrio doveva intendersene. “Siamo vittime, ci sentiamo traditi, lo abbiamo saputo dalla stampa”, così in estrema sintesi recita il comunicato Aia. «Sono sconcertato, ho subito chiesto notizie ai vertici dell’Aia dopo la notizia dell’arresto del procuratore capo», così l’adirato presidente della Figc Gabriele Gravina. Tutto il succo della questione è nell’articolo di ieri (leggi qui). Intanto la sabbia continua a scorrere nella clessidra. Il suono del gong si avvicina. Sinistro. Come un fendente che manda definitamente al tappeto. Ko tecnico, così lo definiscono nella boxe.
Gli sviluppi. Infastidito dal comunicato dell’Aia, irritato da una presa di posizione che tarda ad arrivare ma in fondo la più logica e scontata, l’unica via possibile per i vertici arbitrali (le dimissioni), pressato dalle richieste del ministro dello Sport Andrea Abodi, dalle domande del presidente del Coni Giovanni Malagò e da tutte le componenti calcistiche, il presidente Gravina ha convocato per domani un consiglio federale urgente. La tempesta istituzionale, la “bomba D’Onofrio” sarà affrontata con una “riflessione politica”: è questo il termine uscito dalle stanze federali ma il politichese invece assumerà gli aspetti di mascelle serrate dentro la stanza “Paolo Rossi” di via Allegri. Innanzitutto una componente federale proporrà l’obbligo per tutti i dirigenti federali, tesserati e tutti quelli che hanno incarichi, l’obbligo della presentazione del certificato dei carichi pendenti. La proposta sarà approvata all’unanimità. Un segnale ben più deciso sarà però un altro: la Federcalcio avocherà le funzioni della giustizia arbitrale, una “giustizia domestica” che oggi sembra ancor più un paradosso. Tutti i procedimenti arbitrali saranno ricompresi e passeranno al vaglio della procura Figc, solo la serie A pare decisa a votare contro mentre prende corpo un’idea, mettere la giustizia domestica sotto l’ombrello del Coni. In tarda mattinata è arrivata anche la nota sul programma all’ordine del giorno: “Modifiche al regolamento dell’Aia concernenti le competenze della giurisdizione domestica”. Un ombrello pesante, nei fatti già un sostanziale commissariamento. Il primo, in attesa di quello che investa e avvolga l’associazione italiana arbitri. L’Aia siede in consiglio federale, ha in dote il 2% elettorale: il presidente Alfredo Trentalange è atteso a Roma, un plotone di domande pronto a travolgerlo. Come è possibile che non ve ne siate accorti? Come e perché è stato nominato D’Onofrio? Quali requisiti aveva? Queste, insieme ad altre mille domande, per rompere il silenzio assordante nel quale s’è rifugiata l’Aia, assediata e spiazzata. In fuorigioco. Già, ma che gioco adottare? Dimettersi prima del consiglio federale oppure difendersi nel consiglio? Anticipare il (prevedibile) commissariamento con una mossa (le dimissioni) che almeno salverebbe la dignità oppure infilarsi l’elmetto e scendere nell’agone, consapevoli però che ormai il prestigio e l’autonomia sono saltati? Alle domande dovrebbe arrivare una risposta al termine di un consiglio informale del Comitato Nazionale convocato ad horas. C’è chi ha voglia di “resistere, resistere, resistere” e chi vorrebbe gettare la spugna. Trentalange s’è consultato prima col vice Duccio Baglioni – il deus ex machina della macchina arbitrale – poi ha deciso di esporre la questione agli altri componenti del Comitato Nazionale prima di andare in consiglio federale: Carlo Pacifici, Stefano Archinà, Katia Senesi, Nicola Cavaccini, Luca Marconi, Antonio Zappi, Alberto Zaroli: quest’ultimo è della Lombardia, prima legato a Nicchi e poi passato a Trentalange, è il referente dell’area Nord ed espressione dell’associazione Aia Lombardia, quella cioè da cui ha scalato le vette D’Onofrio. Tornando al Comitato. Fare un passo indietro prima del consiglio federale salverebbe l’onore delle armi? O dimettersi prima del consiglio significherebbe far passare l’idea di essere “responsabili” dell’immane, incancellabile disastro? O ancora, diversamente: andare in consiglio e provare a dimostrare di esser stati davvero “traditi”, di aver fatto tutto quanto il possibile? Le domande rimbalzano, inquietano, dividono. Alle domande dovrà però arrivare una sola risposta. Dalla riunione informale una sintesi: sì oppure no. C’è chi sostiene come Trentalange proverà a resistere, magari accettando il commissariamento della giustizia arbitrale. Però spira anche un altro sussurro: Comitato Nazionale pronto a rassegnare le proprie dimissioni. Via tutti. A quel punto il procedimento di commissariamento – comunque provvedimento già sul tavolo di Gravina che istituzionalmente sta aspettando almeno di conoscere le risposte alle domande che si sta ponendo l’Italia intera, poi bisogna attendere i riscontri alla richiesta fatta da Chinè ai magistrati milanesi e capire da quelle carte cosa sia successo, quali le responsabilità e le possibili omissioni – subirebbe così una decisa accelerata. Un commissario, da pescare nell’ambito federale (il giro di telefonate è partito da due giorni e continua), aspettare la fine del campionato di serie A e poi andare a nuove elezioni.
Le mosse e le domande. Gravina ha chiesto conto a Trentalange dell’intero fascicolo D’Onofrio mentre il procuratore capo Figc Giuseppe Chinè ha aperto un’inchiesta e chiesto alla Dda di Milano gli atti dell’inchiesta penale. La nuova, che ha portato al nuovo arresto di D’Onofrio, e gli atti processuali relativi al primo arresto con relativa condanna. Ai fatti della surreale vicenda s’aggiungono poi in queste ore alcuni vecchi ricordi: ad esempio nel 2007 l’allora assistente arbitrale Rosario D’Onofrio sferrò a fine partita un pugno al presidente onorario (sette giorni di prognosi) del Valditara (formazione emiliana d’Eccellenza) che gli chiedeva conto delle decisioni prese sul campo. Nonostante quel cazzotto (del resto nelle intercettazioni emerge che D’Onofrio sia un discreto intimidatore) la carriera sarebbe andata avanti. Fino al vertice della procura Aia. Fino a ricevere la targa del premio “Lo Bello” a luglio di quest’anno: anche qui iniziano ad affiorare immagini, ad esempio su una chat arbitrale c’è chi ricorda il suo arrivo per la premiazione. Pare fosse accompagnato da due carabinieri, magari qualcuno a luglio pensò fossero di scorta a un personaggio importante, magari bersaglio di minacce. Come è diventato procuratore capo Aia? Quali i requisiti? Le domande intanto rimbalzano. Come è noto, nella giustizia domestica arbitrale non esiste una selezione di merito, né i candidati devono esibire curriculum. Pare però che per diventare procuratore capo Aia si debba essere “arbitro benemerito”. E per diventare “arbitro benemerito” è necessario accumulare un punteggio: 300 punti. A marzo del 2021 Rosario D’Onofrio li aveva già tutti raccolti? Le risposte almeno per ora si perdono in un silenzio assordante, rumoroso. La nomina poi è presa dal Comitato Nazionale su proposta del presidente. Dunque Trentalange e il Comitato potrebbero, dovrebbero, rispondere. Magari producendo atti. È almeno quello che si aspetta Gravina. C’è poi un altro particolare che andrebbe approfondito. Rosario D’Onofrio è stato arrestato giovedì dal Gico della Guardia di Finanza di Milano e poi condotto nel carcere di Opera. Da lì, assicurano, non ha avuto contatti con l’esterno. Due giorni dopo, prima che la notizia dell’arresto del procuratore capo Aia diventasse di dominio pubblico, Alfredo Trentalange portava in Comitato Nazionale le dimissioni di Rosario D’Onofrio, dimissioni ma senza manifeste motivazioni. Possibile? Nessuno a chiedere il perché. Per il deferimento Figc sulla vicenda Avalos che comunque in ambito Aia era stato valutato come “indebito, un’ingerenza”, come un fastidio? Oppure per l’arresto di cui l’Aia viene, come da comunicato, a conoscenza solo nella tarda mattinata di sabato? Domande che restano appese, anche queste in attesa di risposte.
L’orizzonte. Intanto la Figc e Gravina si muovono su una strada stretta, l’orizzonte è una fessura sempre più piccola, il commissariamento appare come un provvedimento ineludibile. Una decisione che il presidente della Federcalcio aveva già minacciato di prendere un anno fa, a settembre del 2021, quando esplose – dopo “Rimborsopoli 1 e 2”, dopo i voti aggiustati delle chat e altro ancora – la vicenda della restituzione della tessera a Paolo Bergamo, radiato per Calciopoli. Il provvedimento era stato preso grazie all’abolizione di una norma che prevedeva un definito limite temporale, 4 anni dal ritiro tessera. La vicenda (qui la puntata) provocò un vero e proprio terremoto istituzionale. Nel corso dell’incontro coi comitati della Lnd nel Salone delle feste Coni, Gravina confidò ai presenti come fosse pronto e deciso a togliere il 2% elettorale all’Aia. Irritato perché non era stato messo al corrente di un simile provvedimento. L’Aia è una costola della Figc ma gode di una certa autonomia, almeno su carta. Tra norme, cavilli e codici, è però consentito impugnare una decisione, ad esempio quella dell’abolizione del limite temporale. Così il caso della restituzione della tessera a Bergamo rientrò, annullato nei suoi effetti. Un nuovo caso sarebbe però esploso solo due mesi dopo (leggi qui), stavolta la vicenda riguardava (e riguarda ancora) la sezione Aia di Foggia. L’idillio col nuovo vertice Aia non sarebbe in sostanza mai sbocciato, colpa anche dell’astensione arbitrale nel voto federale. Era l’1 luglio del 2021 quando, fianco a fianco per la presentazione dei nuovi organici arbitrali, Gravina diceva, e Trentalange ascoltava. «L’Aia gode di piena autonomia tecnica ma è comunque parte integrante della Figc». In quei quadri compariva il nome di Rocchi promosso a designatore arbitrale della Can A-B. Rocchi che avrebbe voluto candidarsi a presidente Aia, una candidatura pare ben vista da Gravina. Rocchi che avrebbe fatto un passo indietro però, lasciando spazio a Trentalange nella sfida a Nicchi. Rocchi che a febbraio 2021, dopo l’elezione di Trentalange, sarebbe stato designato come “sviluppatore” del Var dalla Figc. Rocchi che qualche mese dopo sarebbe stato nominato designatore degli arbitri, ruolo che però Trentalange avrebbe voluto affidare a Messina. In quei mesi avrebbe preso sempre più piede la figura di Duccio Baglioni, ex arbitro fiorentino finito pure lui nell’inchiesta di Calciopoli dalla quale però sarebbe uscito, e che poi aveva rotto con Nicchi. Recuperato però in Comitato Nazionale e legato da amicizia al candidato elettorale federale Cosimo Sibilia, avrebbe legato con Trentalange all’epoca responsabile del settore tecnico Aia sino a formare il ticket elettorale. Un anno e mezzo pieno di vicende clamorose, il nuovo corso avrebbe preso sempre più le sembianze di quello vecchio: rancori, dissidi e frizioni interne, divergenze e ingerenze esterne, ad esempio da ricordare la nomina di Giannoccaro come referente Var con le società, scelta pare gradita alla federazione ma decisamente meno per qualche esponente della Commissione Aia. L’incombente e minacciato commissariamento si ripropone adesso: il caso D’Onofrio ha tutti i crismi di una vicenda dirompente. Da sabato è partito un valzer di telefonate, dimissioni o no sull’Aia calerà comunque la scure. Il commissariamento della giustizia arbitrale è soltanto il primo passo. Come possibile commissario si fanno già alcuni nomi, però. In Figc lavora Francesco Meloni, ex segretario Aia nella gestione Nicchi: adesso si occupa di personale, difficile però che possa rispostarsi in via Campania. Si cerca una figura di alto profilo, un traghettatore che regga l’Aia fino al termine della stagione prima di andare di nuovo alle urne. Per le quali potrebbe candidarsi proprio Rocchi, mentre Rizzoli aspetta e valuta. Un nome forse ci sarebbe, per l’Aia di adesso. Come commissario della giustizia sportiva o di tutta l’Aia. Magari l’ex colonnello del GOA Giampaolo Pinna: l’ex della Procura Figc s’era occupato delle vicende più scottanti prima di essere accantonato da Chinè. Forse resterà solo una suggestione. Intanto nell’aria riecheggiano queste parole. «Orsato è la punta di diamante di un settore, quello arbitrale, di cui siamo orgogliosi». Le parole sono di Gravina, le parole del dicembre 2020 quando il fischietto vicentino fu premiato come miglior arbitro del mondo. Sono passati due anni: Gravina potrebbe ripetere quel “siamo orgogliosi” proprio adesso? Per quell’Aia la cui giustizia era nelle mani di un pregiudicato?