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D’Onofrio, Aia e giustizia domestica: il pregiudicato procuratore che punì l’arbitro carabiniere per un referto

Sette mesi di stop a Graziano, fischietto della Can 5. Prima del suo arresto, l'ex capo della procura arbitrale ha chiesto 14 mesi. La denuncia, l'inchiesta, i silenzi della Commissione e il metodo
D'Onofrio, ex procuratore Aia

Uno, nessuno e centomila. È uno dei tanti capolavori di Luigi Pirandello. Uno, nessuno e centomila: almeno il titolo dell’opera letteraria potrebbe accostarsi alla figura di Rosario D’Onofrio. Chi era, chi è? Il procuratore capo dell’Aia che inquisiva gli arbitri e i tesserati dell’associazione, ignara del fatto che fosse agli arresti domiciliari, condannato sino in Cassazione a due anni e otto mesi di reclusione perché coinvolto in un traffico internazionale di droga. Non era per dire nemmeno avvocato ma non era neppure un medico, la laurea in medicina non l’aveva mai conseguita: anche l’Esercito italiano avrebbe scoperto – sempre dopo – che dunque non poteva fare l’ufficiale medico eppure pur dopo esser stato sospeso avrebbe continuato a indossare la mimetica, arrestato così a bordo della propria auto mentre trasportava 44 chili di marijuana. “Un pestatore” tanto da essere chiamato Rambo, così almeno veniva definito in una conversazione tra due spacciatori. Arrestato un’altra volta il 10 novembre del 2022 perché coinvolto in un altro giro di narcotraffico internazionale: da quel giorno un fiume di verità a puntate (leggi qui, qui e qui) che però non ha travolto nessuno se non il solo D’Onofrio, uno tsunami devastante sì ma una serie di domande ancora tutte senza risposta e senza concreti provvedimenti. Ancora si galleggia. Il procuratore Figc Chinè esamina gli atti della Dda di Milano. La serie A chiede invano una commissione d’inchiesta federale. La Federcalcio dopo aver commissariato la giustizia domestica osserva nervosa. L’Aia sostanzialmente commissariata frulla in un tourbillon vorticoso di accuse, sospetti, veleni, inciampi e dietrofront. Il Gip di Milano ha però respinto la richiesta dei domiciliari formulata dal difensore di D’Onofrio mentre il difensore in ambito sportivo (in precedenza difensore dell’arbitro Giacomelli, grande accusatore di D’Onofrio, dei suoi metodi e dei metodi della giustizia domestica, «è il braccio armato» ha detto in un’intervista) ha chiesto alla Commissione federale di Garanzia di estinguere il procedimento (vicenda Avalos) chiedendo l’applicazione di una norma del regolamento di disciplina (l’art. 8 comma 4), per cui il procedimento può concludersi in caso di dimissioni precedenti all’avvio del processo. D’Onofrio dovrebbe rispondere “della violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità e dell’obbligo di osservanza delle disposizioni federali in ogni atto o rapporto”. Ci sarà o no il processo sportivo (in attesa di quello penale) per uno che non è più nel sistema sportivo? Ci saranno revisioni a tanti di quei procedimenti (1700 in un anno e mezzo) firmati d’Onofrio? Ancora non si sa. “Così è se vi pare”, oppure anche “Il giuoco delle parti” o ancor meglio “Il piacere dell’onestà”: sono i titoli di altre tre opere di Pirandello. È proprio dalla sua Sicilia che arriva lo spaccato di una vicenda che riassume il profilo del procuratore Aia D’Onofrio, che racconta dei suoi metodi, che descrive come la giustizia domestica (così è definita quella arbitrale) si muova dentro un recinto assai particolare. Omissioni, omertà, inerzia, intrecci e commistioni come a volteggiare nell’aria: è una vicenda inverosimile eppure reale. Reale e recentissima, tanto che sanguina ancora tra rabbia, imbarazzo e sconcerto.

La vicenda. 18 maggio 2022, la sfida playoff di serie B calcio a 5 tra Eur Massimo e Città di Anzio è diretta da Tullio Graziano della sezione di Palermo. È un arbitro esperto (ha iniziato nel ’96), dirige partite di serie A e viaggia col vento in poppa verso l’approdo alla “Can 5 Elite”: è il quarto in graduatoria, le promozioni sono attese a fine stagione. La sfida a eliminazione diretta riceve quella che, con termine tecnico, viene chiamata la co-visionatura. È presente cioè l’organo tecnico, in questo caso Antonio Mazza che è il vice-responsabile della Commissione Can 5, in tribuna con lui c’è l’osservatore arbitrale Alessandro Scorsino. La terna con Graziano è completata da un altro arbitro (Zuzolo di Caserta) e da un cronometrista, Ottaviani di Trieste. La partita è vibrante, accesa. Graziano estrae per cinque volte il rosso, fuori 5 giocatori dell’Eur che comunque vince 6-5. Proteste e ingiurie per tutta la gara. Al termine, davanti agli spogliatoi, si presenta una persona che si qualifica come dirigente dell’Eur, indossa una felpa nera col logo del club. Prima invoca clemenza nei provvedimenti da segnalare al giudice sportivo, poi inveisce contro l’arbitro e il resto della terna, sottolinea come il club sia contro il sistema federale, che non dia troppo conto ai risultati, anche perché la società sarebbe nata per altri motivi, e qui pare riferisca che i motivi siano legati ad operazioni che sarebbero penalmente rilevanti. Queste almeno sono le frasi che poi finiranno anche in una denuncia presentata a luglio dall’arbitro Graziano, trasmessa da Palermo e arrivata sino a Roma, sino alla Procura della Repubblica. Nella vita di tutti i giorni e da vent’anni Tullio Graziano fa il carabiniere a Palermo e l’Aia in un articolo sul proprio sito nel 2015 ne ricorda l’impegno contro la malavita e la mafia, Graziano anche arbitro di una sfida “Calcio alla mafia” in memoria di un maresciallo. Quelle frasi non sono solo un affronto e un insulto, ma anche una possibile notizia di reato. Il dirigente (o presunto tale) non è in distinta, l’arbitro non riesce a identificarlo perché scappa. Quelle frasi le ascolta Graziano, le ascoltano gli altri due arbitri, forse le capta il commissario di campo inviato dalla Divisione della federazione. A fine gara la terna incontra l’organo tecnico e l’osservatore arbitrale per le solite comunicazioni di fine gara previste dalla procedura arbitrale. Entrambi fanno le congratulazioni all’arbitro, autore di “una gara perfetta, senza sbavature, una prestazione ineccepibile”. Lo dicono le parole, lo dice il voto dato, confermato e inserito in piattaforma: è 8,70 per Mazza, è 8,70 per Scorsino. È il voto più alto che possa ricevere un arbitro. Graziano subito riferisce al vice della Commissione Can 5 Antonio Mazza le gravi affermazioni del (presunto) dirigente dell’Eur. Ne riparlano anche prima di congedarsi. C’è Graziano, c’è Mazza e anche gli altri due arbitri. Graziano chiede a Mazza come deve comportarsi, se deve annotare la vicenda allegandola al referto da inviare al giudice sportivo perché ci sarebbe materiale per aprire un’inchiesta il cui compito spetterebbe in fondo agli organi competenti di Aia e Figc. “Non preoccuparti, me la vedo io”: la rassicurazione però diventerà un’amara sorpresa qualche giorno dopo. Perché nelle decisioni del giudice sportivo non ci sarà alcuna menzione dei fatti, né dunque di provvedimenti conseguenti e specifici. Graziano ne chiede conto a Franco Falvo che è il capo della Commissione Can 5, al telefono gli spiega quanto fosse accaduto, cosa gli aveva detto Mazza (Mazza è della sezione di Torino, Falvo di Catanzaro): il capo della Commissione Can 5 gli dice di fare un supplemento aggiuntivo e di inviarlo al giudice sportivo. Graziano esegue, e attende. Nulla. Anzi.

Il deferimento. Il 7 giugno gli arriva una convocazione. Deve raggiungere Catania, tra andata e ritorno sono 500 chilometri in auto a proprie spese (sede e modalità insolite, di solito si è ascoltati nella sezione d’appartenenza e il procuratore, dopo aver raccolto una serie di fascicoli locali, vi arriva rimborsato dall’Aia) perché deve essere interrogato dal procuratore arbitrale. Cioè da Rosario D’Onofrio che ha aperto un fascicolo sulla vicenda. Lo stupore crescente diventa incredulità: l’accusatore Graziano apprende di esser diventato l’accusato. Almeno per il procuratore capo D’Onofrio che l’interroga. Non sul posto, non a Catania. Ma in video-conferenza. Come mai, perché? La risposta sarebbe arrivata certo, ma soltanto a posteriori, solo mesi dopo. Dopo cioè lo tsunami narco-traffico abbattutosi appena due settimane fa: D’Onofrio non poteva muoversi e non poteva andare a Catania, semplicemente perché era ristretto ai domiciliari, condannato in via definitiva per traffico di droga. Nell’interrogatorio D’Onofrio chiede perché abbia compilato e inviato un supplemento di referto arbitrale: Graziano risponde. Spiega quanto successo, chiarisce tempi e modi, riferisce di aver messo subito al corrente il vice della Can 5 e poi il responsabile della Commissione, cioè prima Mazza e poi Falvo. Mazza però nega, nega anche Falvo. In una nota della Procura arbitrale, ecco un passaggio di quanto dichiara Falvo. “Mi è sembrato un comportamento molto originale quello tenuto dall’arbitro Graziano dopo la partita, in quanto non ha ritenuto di comunicare e/o chiedere consiglio sull’accaduto al vice-commissario della Can 5 Antonio Mazza che era l’organo tecnico designato per questa partita e presente all’incontro”. Eppure Graziano riferisce di averglielo comunicato due volte, prima negli spogliatoi e poi prima di salutarsi. Eppure negli spogliatoi e al congedo fuori dagli spogliatoi c’erano anche gli altri due arbitri. Perché non chiederlo anche a loro, perché non ascoltare i due testi che erano con Graziano mentre una persona definitasi dirigente dell’Eur vomitava insulti, lanciava accuse pesanti dipingendo un quadro da denuncia penale? Perché non chiedere conto anche al commissario di campo inviato dalla Divisione della Federcalcio? Perché non mettere a confronto le due versioni? Niente, nessuna domanda, nessuna indagine. Il procuratore-pregiudicato D’Onofrio non entrerà nemmeno per un secondo nel merito della vicenda, non chiederà conto di quelle frasi che aprirebbero scenari da codice penale. A Graziano contesta modi e forma: perché c’era una persona non identificata nei pressi dello spogliatoio? Perché non è stata identificata? Perché ha inviato un supplemento d’indagine? Per D’Onofrio il supplemento d’indagine non serviva, non era stato richiesto. Il pregiudicato-procuratore capo Aia contesta invece a Graziano la violazione del codice etico, l’intempestività del supplemento di referto, l’assoluta veridicità dei fatti riportati. Sì, avete letto bene: l’assoluta veridicità dei fatti, eppure non ha ascoltato i testimoni presenti. Addirittura ritenuti – in sede dibattimentale – ininfluenti. Ininfluenti, già. E ancora: il procuratore-pregiudicato D’Onofrio lascia trasparire come un uomo delle forze dell’ordine si “faccia forza del suo mestiere, della sua divisa”.

Il deferimento e l’estromissione dai quadri. A luglio inoltrato arriva il deferimento per Graziano. Prima del deferimento però, giorni prima arriva un’altra amara sorpresa. Il primo luglio vengono comunicati i nuovi quadri arbitrali. Graziano, quarto in graduatoria, è virtualmente tra i promossi alla Can 5 Elite. Ne devono passare 25 (i due requisiti sono l’età e non oltre 8 visionature dell’organo tecnico), l’approdo pare certo anche perché i voti stanno lì, a testimoniare. E invece il suo nome non c’è, mentre nella nota Aia che definisce la composizione della Can 5 figura il riconfermato responsabile Falvo («ringrazio Trentalange, Baglioni e tutta la Commissione per la fiducia… ai nostri arbitri chiederemo la massima professionalità per essere professionisti in un mondo di dilettanti, solo così potremo dare le risposte che le componenti federali ci ..») come capo della Commissione e c’è sempre Mazza come componente. Graziano, ancora ignaro del deferimento che pende sul suo capo, non riesce a spiegarsi: perché non ci sono nella Can 5 Elite? Per questo avvia un altro costoso ricorso, stavolta al Tribunale federale nazionale, organo della giustizia sportiva federale. Che prima rigetta l’istanza cautelare e poi nel merito respinge le richieste di Graziano, estromesso dalla graduatoria perché “ha superato i limiti di età”, cioè i 41 anni. Nota a margine, dal prossimo anno il limite d’età non ci sarà più. Qualche giorno dopo l’istanza in Figc, dalla sede della Procura Aia in via Campania che è a pochi passi da via Allegri a Roma, arriva il deferimento per Graziano. Il capo d’incolpazione: “Violazione dell’articolo ad. 42 commi 1 e 3, lett. a) Regolamento AIA con il combinato disposto dell’ad. 6.1, comma 1, Punto 3 del Codice Etico e di Comportamento dell’Associazione Italiana Arbitri e ad. 42 commi 1 e 3 lett. i) del Regolamento AIA, per avere: redatto in modo non fedele, superficiale e approssimativo il referto di gara della partita… omettendo di segnalare fatti avvenuti a fine gara… fatti poi segnalati con un supplemento di referto, non richiesto e inviato dopo l’omologazione della gara”.

Le richieste e la nota di polizia giudiziaria. A tre mesi da quella partita Graziano ancora non riesce a darsi pace: io denuncio fatti gravi e la procura Aia mi deferisce perché li ho denunciati senza nemmeno ascoltare i testimoni? Un’altra sua istanza non avrà risposte: offeso ripetutamente sui social e non solo con affermazioni gravi anche da parte di tesserati di altri club, chiede l’autorizzazione per procedere giudiziariamente. Vincolato alla clausola compromissoria, chiede il permesso ad Aia e Figc. Lo fa con una lettera che il presidente della sezione di Palermo invia a Roma. Ci sono novanta giorni di tempo per procedere con querela di parte: i novanta giorni sono passati, nessuna risposta – né positiva né negativa – sono mai arrivate. Il silenzio. Per squarciare il silenzio più grave – quello sulle parole del (presunto) dirigente del club relative alle diverse finalità – Tullio Graziano fa una denuncia nella quale mette tutti nero su bianco: riporta i nomi dei testimoni che con lui hanno ascoltato quegli insulti e quelle accuse, che spiegava come al club non interessassero troppo i risultati e la classifica perché la società sarebbe nata anche per altri motivi e finalità, finalità e motivi tali da far aprire almeno un sospetto, un supplemento d’indagine. Fa presente come la denuncia venga fatta perché nonostante la denuncia verbale avvenuta il giorno della gara all’organo tecnico Antonio Mazza e in forma scritta con supplemento di gara inviato al giudice sportivo, nessuno l’avesse contattato per essere ascoltato ma di essere stato convocato dalla procura arbitrale e interrogato solo perché aveva inviato un supplemento gara con due giorni di ritardo. Nessuno l’aveva ascoltato sul contenuto, né erano stati ascoltati i due arbitri testimoni del fatto. Anche sulla denuncia giudiziaria il procuratore-pregiudicato D’Onofrio avrà da ridire, in sede dibattimentale. Considerata non attendibile anche perché priva di numero di protocollo. Eppure il procuratore – anzi l’ex procuratore Aia – dovrebbe sapere che il numero di protocollo si origina con l’atto di trasmissione allegato all’annotazione. La denuncia partita da Palermo e trasmessa per via gerarchica, fino a Roma. Denuncia che figura negli atti d’appello presentati nel ricorso da Graziano alla Commissione Disciplina d’Appello dell’Aia. Già, perché a settembre, dopo il processo, Graziano è stato squalificato per sette mesi, la notizia comunicata a ottobre. Sette mesi per aver “presentato in ritardo” un supplemento di referto, sette mesi perché nessuno glielo aveva chiesto. Sette mesi di condanna: il procuratore capo D’Onofrio ne aveva chiesti 14 di mesi (con una condanna di 14 mesi un tesserato non può ricoprire cariche in Aia per dieci anni), come i mesi di squalifica che alcuni arbitri hanno ricevuto dopo i “rimborsi gonfiati”. E dire che per quella partita il compenso di Graziano è stato di 31 euro: nel conto le spese per il viaggio a Catania, le spese per i ricorsi Aia e quelli federali. Roba da non crederci.

Il processo e la squalifica. Da non crederci è l’esito del processo davanti alla Commissione Disciplina, cioè il giudizio di primo grado. Il 21 settembre la Commissione è composta dal presidente Mauro Carboni e da Gilberto Mercuri e Ugo Pizzini, l’accusa è condotta dal procuratore capo Rosario D’Onofrio che però è in video-conferenza. È ancora una volta a casa, si scoprirà appena un mese e mezzo dopo perché agli arresti domiciliari. La giustizia domestica, un unicum commissariato solo ora, solo dopo la notizia che il suo capo inquirente fosse un pregiudicato, anche in questo processo dimostrerà come consistenti siano i rilievi di chi pensa sia “una giustizia a sé stante, svincolata da ogni contesto, persino da quelli di natura costituzionale”. In sede dibattimentale la difesa chiede ancora una volta di valutare la denuncia giudiziaria e chiede che siano ascoltati i testimoni. Il procuratore D’Onofrio s’oppone, sostiene siano ininfluenti. La Commissione Disciplina si riunisce, la veloce camera di Consiglio rigetta l’istanza della difesa, accoglie il diniego del pm allineandosi quindi al pensiero di D’Onofrio: ininfluente ascoltare i testimoni, inutile dar peso alla denuncia giudiziaria trasmessa a carabinieri e procura. La difesa chiede che venga ascoltato quantomeno Mazza, il vice della Commissione Can 5, presente alla gara, l’uomo a cui Graziano a fine gara ha riferito l’accaduto e chiesto come muoversi. Anche qui D’Onofrio eccepisce: per lui è richiesta tardiva e inammissibile. E chiede 14 mesi di squalifica: semplicemente perché l’arbitro ha allegato un supplemento di referto, non richiesto. Nessuno, in questi cinque mesi, nessuno nell’Aia né in Figc a chiedersi: ma perché non indagare sui fatti, perché non chiedere agli altri due arbitri, al commissario di campo inviato dalla Divisione, perché non ascoltare il capo e il suo vice della Commissione? Niente. Solo una sentenza. Il verdetto di primo grado comunicato a metà ottobre sarà di sette mesi di squalifica per Graziano. Questa la motivazione: “La condotta dell’associato va catalogata come violativa del dovere di assolvere con tempestività e massima fedeltà al potere referendario e di non aver tenuto, nello svolgimento delle proprie funzioni, un comportamento trasparente e corretto anche in violazione del rispetto del Codice Etico. Ritenendo quindi sanzionabile il comportamento del collega, al fine di commisurare il provvedimento disciplinare alla gravità dei fatti, va tenuta in debita considerazione la sua precedente buona condotta in riferimento all’attività associativa iniziata nel 1996, rilevante ai sensi del punto b) del comma 5 dell’art. 7 Norme di disciplina AIA, da considerarsi quale attenuante da applicare a favore dell’associato”.

L’arresto, gli sviluppi. Al verdetto di primo grado la difesa di Graziano ha fatto ricorso alla Commissione Disciplina d’appello Aia chiedendo il proscioglimento. Il ricorso l’ha presentato anche il procuratore capo dell’Aia, Rosario D’Onofrio. L’ha fatto giusto in tempo, appena dieci giorni prima di essere arrestato perché coinvolto in un traffico di stupefacenti, un’altra volta in carcere dopo la prima volta nel 2020. Prima di essere costretto alle dimissioni, il procuratore-pregiudicato ha firmato la nuova richiesta di condanna, anzi ha ribadito le richieste di primo grado: Graziano va condannato a 14 mesi di squalifica perché no, non doveva fare un supplemento di referto, perché nessuno glielo aveva chiesto, perché i testimoni sono ininfluenti, perché la denuncia giudiziaria non ha numero di protocollo. In fondo cosa importa se uno ti dice, magari nella foga, qualcosa che possa essere penalmente rilevante, mica vuoi perdere tempo per scoprire se è vero oppure no? Lo tsunami dopo il suo arresto e il commissariamento della giustizia domestica forse hanno aperto un piccolo varco, uno squarcio su come siano state aperte inchieste, condotte indagini, emesse sentenze. Forse. Certo il cuore di Graziano si è aperto a un segnale, magari una lucina in attesa del proscioglimento. Le funzioni passeranno entro metà dicembre sotto l’ombrello federale dopo il commissariamento, il procuratore facente funzioni è Albergotti: dopo l’arresto di D’Onofrio pare che l’ufficio della procura Aia abbia deciso di riaprire il caso, di indagare meglio, a fondo. Magari ne uscirà altro materiale per scrivere un libro sulla vita di Rosario D’Onofrio, il procuratore capo dell’Aia che non era medico, non era avvocato e faceva il pm degli arbitri comodamente da casa, agli arresti domiciliari. “Uno, nessuno e centomila”, oppure “Così è se vi pare”, oppure anche “Il giuoco delle parti” o ancor meglio “Il piacere dell’onestà: Pirandello dalla tomba, sorridendo amaro, forse se ne farà una ragione.

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