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Serie A allo scontro con la Figc, la Lega sogna la Premier League. Indice, decreto crescita e plusvalenze, un’altra giornata di fuoco

L'assemblea dei presidenti convocata d'urgenza prima del consiglio federale di domani: allo studio le mosse contro le decisioni prese da Gravina per ottenere l'iscrizione al campionato. Al voto le prossime mosse, si studia una via d'uscita dalla federazione. Sul decreto crescita e diritti tv continua il lavoro della politica, oggi la sentenza sul ricorso in appello del procuratore capo Chinè
gravina lotito

Trent’anni fa, esattamente il 27 maggio 1992. Un giorno nella storia, la data che avrebbe cambiato per sempre la storia del pallone inglese. Fu il giorno dello scisma, della separazione, della scissione. Un taglio netto con la federazione inglese, taglio rivoluzionario. Trent’anni dopo quel pallone di cuoio d’Oltremanica corre alla velocità della luce, scivola in una cascata d’oro, miniera inesauribile di ricchezza. Quel giorno ventidue club fondarono ufficialmente la Premier League dopo essere usciti dalla Football Association e dalla Football League: volevano mani libere per chiudere i contratti di sponsorizzazione e dei diritti televisivi, volevano decidere e contare, da soli. La frattura si contenne con un accordo che comunque mantiene la Premier al di fuori e sopra la Football League sia pur sotto l’egida della federazione. In Italia il vento di rivolta (legge Melandri e rapporti con Figc) spira da mesi (leggi qui).
Una strada obbligata. Lo strappo. Trent’anni dopo, 17 maggio 2022. Oggi. Magari non finirà nelle date da ricordare: non un giorno epocale, eppure proprio oggi potrebbe compiersi il primo passo. Un passo deciso verso il distacco, il taglio, la rivoluzione anche in Italia. Perché dopo mesi di veleni e dispetti, minacce e pressioni, dopo un’apparente tregua durata nemmeno due mesi, la guerra intestina tra serie A e Figc è ripresa. Arrivata a un punto di non ritorno. Al punto già manifestato e anticipato mesi fa (leggi qui): la Lega A che rompe legami e legacci, che si toglie quella che considera una zavorra, che saluta la compagnia, che se ne va per la propria strada. “La baracca la teniamo in piedi noi. Ora basta, a Roma glielo faremo capire”: quella frase di un presidente di A pronunciata a gennaio, è tornata a risuonare forte. Di nuovo. Ritorna al punto, al bivio. Imboccato con tre parole, perché per una dichiarazione di guerra tanto bastano. Almeno così risuona. “Rapporti con Figc”: così c’è scritto nello stringato ordine del giorno dell’assemblea di Lega A, tre parole conseguenti al punto all’ordine del giorno – Licenze Nazionali 2022/2023 – punto sul quale potrebbe consumarsi la prima clamorosa frattura, su cui costruire una nuova via. Perché il neo presidente Lorenzo Casini ha ricevuto il mandato dai suoi presidenti: esplorare altri modelli, studiare un piano, presentare modi e tempi per sancire il distacco dalla Figc. E così, mentre nel primo pomeriggio il presidente federale Gabriele Gravina parlerà di “Laboratorio Calcistico” all’Università di Messina, il giurista e presidente di Lega A Lorenzo Casini relazionerà i presidenti sullo stato dello scontro con la Federcalcio e chiederà lumi su come proseguire (attacco o difesa, diplomazia o rottura?), ai presidenti potrebbe illustrare un nuovo laboratorio calcistico nel quale il peso della serie A potrebbe diventare unico. Presi a sculacciate dal ministro del Mise Giancarlo Giorgetti (la figlia da due mesi frequenta uno stage al Club Italia – leggi qui – presieduto proprio da Gravina, «i presidenti dei club di calcio si lamentano sempre ma non servono richieste estemporanee, serve un piano industriale per trovare delle soluzioni, se un’azienda in crisi si presenta al Ministero noi le chiediamo un piano industriale») i presidenti di A devono aver preso in parola un altro pensiero del ministro: «Oggi il pallone ha una dimensione industriale che è in una competizione globale. Il prodotto calcio italiano deve essere in competizione con la Premier League». È proprio al modello Premier (o a uno simile) che la serie A pensa, con tanti saluti a mutualità, a provvedimenti e norme introdotte in corso d’opera, a minacce e pressioni, a “incomprensibili rigidità”, a proclami e promesse, a misure considerate non idonee ma solo di facciata. Con tanti saluti a Gravina e a questa Figc.
Assemblea e consiglio federale. Il primo passo potrebbe compierlo oggi l’assemblea di serie A, convocata d’urgenza e in videoconferenza dal neo-presidente Casini dopo l’ultimo e infruttuoso colloquio avuto venerdì scorso con Gravina, due giorni dopo l’assemblea dei presidenti di A tenutasi a Roma che all’unanimità aveva votato per esperire un ultimo tentativo d’intesa con la Figc affidando il mandato al suo presidente. Che si è sentito ridire. Un’altra volta. “Niente, indietro non si torna. Vi ho già concesso troppo, non c’è più tempo. Il consiglio federale ha deciso a larghissima maggioranza. Mercoledì approveremo il verbale dell’ultima riunione: l’indice non si tocca. Basta con minacce e dichiarazioni, non mi farò intimidire. Io vado avanti”. Così Gravina, forte dell’appoggio del presidente del Coni Malagò, così come era già successo a fine aprile in un altro colloquio tra i due, così come il presidente federale aveva ripetuto a Giuseppe Marotta. Il punto, sempre quello: l’indice di liquidità introdotto però come criterio per l’ottenimento delle licenze nazionali (se ne parla da mesi, da febbario addirittura, leggi qui), fissato allo 0,5% (il rapporto è tra le attività correnti e le passività correnti) senza indici correttivi, senza i suggerimenti (0,4% secco oppure 0,5% con correttivi) proposti e avanzati dalla commissione di Lega (Marotta, Chiavelli, Marino, Romei e Peri), senza dar ascolto nemmeno allo studio e ai rilievi del professor Dallocchio, presidente del collegio dei revisori dei conti della Lega A. “Ancora non avete capito chi comanda qui”: così il braccio destro di Gravina, Giancarlo Viglione, avrebbe detto alla commissione di A il giorno prima del consiglio federale del 26 aprile. Quel giorno, forte della maggioranza in consiglio, Gravina aveva fatto approvare i nuovi criteri per l’ottenimento delle licenze nazionali, avrebbe fissato l’indice di liquidità allo 0.5%: tre i voti contrari (Casini, Marotta e Lotito), in silenzio il presidente di B Mauro Balata che pur avrebbe visto per la sua Lega (in difficoltà evidente) fissare l’indice addirittura al più severo 0,7% così come per la Lega Pro, altra categoria in piena crisi. Ma il fedelissimo Ghirelli cosa avrebbe potuto dire, se non trincerarsi dietro il solito edulcorato refrain? «Perplessi sull’indice di liquidità, perplessi sui modi e sui tempi. Una rigidità incomprensibile»: così s’era invece espresso ufficialmente Casini. Era il 26 aprile, le mosse della serie A anticipate qui (leggi qui) e precedute da un titolo eloquente: “La Lega minaccia ricorsi e chiude i rubinetti della mutualità”. Oggi fissata l’assemblea “urgente” perché domani c’è il consiglio federale: i presidenti delibereranno le mosse, voteranno e affideranno il mandato ai tre consiglieri. La serie A compatta. Unanime, le distanze tra falchi e colombe sempre più sottili.
Indice e punto di non ritorno. Venti giorni di trattative non sono bastati, studi e modelli tutti accartocciati, la politica da una parte e dall’altra ha provato a ricucire, a mediare, ma nulla. Tutto al punto di prima. Tutto al punto di non ritorno. E così oggi pomeriggio la Lega di serie A dovrà esprimersi sul punto: “Rapporti con Figc”. Che fare? Quale strada prendere? Quali iniziative da adottare? Domani pomeriggio è previsto un consiglio federale, all’ordine del giorno l’approvazione del verbale del 26 aprile, non il tema delle licenze che per Gravina sono fissate. Inchiodate. Non potrebbe tornare indietro, per lui sarebbe un altro passo verso il burrone. Il tempo scorre veloce, entro il 31 maggio i club devono presentare la trimestrale (al 31 marzo) che fotografa lo stato dei conti, che presenta il conto da pagare per ottenere l’iscrizione al prossimo campionato che già bussa alla porta. L’ultima mediazione è fallita, nell’assemblea di oggi sul tavolo ci saranno le iniziative da adottare e votare. Il ricorso per via sportiva (per i legali della Figc non ci sarebbero più i tempi per impugnare la decisione) e per quella ordinaria, l’impugnazione della delibera, di una decisione presa a ridosso della nuova stagione sportiva. Tempi, e modi. E ancora, ancor più dirompente, un’altra decisione, una protesta clamorosa potrebbe spuntare: non presentare la trimestrale, non fornire i dati dei bilanci dei club sui quali poi fissare il conto dei milioni da versare per rispettare l’indice di liquidità allo 0,5%. La pancia dell’assemblea è in subbuglio, in agitazione. Una pancia sempre più grande. Si considera inascoltata, si considera presa in giro – Gravina aveva auspicato uno spirito di collaborazione – si considera il pezzo portante del calcio italiano eppure trattato come una pezza.
Parole al vento. «Auguro a Casini di ricompattare in tempi brevi la Lega Serie A e di esprimere una leadership in grado di rappresentare al meglio, in un’ottica di sistema, gli interessi dei club del massimo campionato. Il calcio italiano ha sfide molto importanti da affrontare, impossibili da vincere senza una Lega di A autorevole e responsabile». Così ai primi di marzo Gravina accolse l’elezione – contrastata con ogni mezzo – di Casini. Due mesi di tregua apparente, di dichiarazioni di facciata, di interlocuzioni tra ciechi e sordi. Un risultato però l’hanno prodotto. Gli undici voti e il consenso che avevano portato Casini sullo scranno della serie A, trascinato dal trio Lotito-De LaurentiisBarone, sono aumentati. Persino l’ala più fedele a Gravina (Cairo e Scaroni soprattutto) pare aver cambiato bandiera, adesso sventola forte su un vento dirompente. Basterebbe considerare la reazione (anche di stampa) a un altro provvedimento voluto dalla Figc in combinazione con l’Aic del vice-presidente vicario federale Calcagno, ottenuto con sponde lobbistiche e forti pressioni politiche (un ruolo importante pare svolto da Appetiti e Cionci) di Gravina (il presidente federale punta a un seggio in Parlamento alle prossime elezioni) su una parte della maggioranza governativa, per rendersene conto. La soglia del “Decreto Crescita” fissata a un milione – una battaglia anticipata (leggi qui) prima che approdasse al voto finale, una battaglia che una settimana fa s’è conclusa dopo una sorta di giallo, tra emendamenti approntati ma non approvati e un voto che alla fine ha scontentato un po’ tutti. Il mondo della politica, che intanto lavora a un ulteriore emendamento: la maggioranza pronta a “limare” quella soglia fissata dal senatore pd Nannicini e passata in Commissione Bilancio, quella soglia che ha prodotto un’ulteriore rivolta tra i presidenti di Lega A che – in base alla media stipendi dei club, 750mila euro – puntava a una soglia di 500mila euro. «Una decisione che ha destato sorpresa. Non è stata data una spiegazione sul perché non siano stati considerati i dati forniti dalla Lega. Ed è fortemente in dubbio che raggiunga il risultato che viene manifestato come un successo». Una posizione critica, come quella sull’indice di liquidità: entrambe le decisioni prese – secondo i presidenti di A – senza aver dato ascolto a studi e istanze, sconfessando quello spirito di collaborazione al quale Gravina aveva invitato e al quale Casini aveva subito risposto positivamente – decisioni strumentali, ideologiche, populistiche. Misure ritenute inutili, punitive, improduttive. Annunci roboanti – come ad esempio quello del professionismo femminile – che poi si rivelano boutade alla luce dei numeri. Mosse da contrastare, sfruttando anche la scia che continua a tenere illuminata la sottosegretaria Valentina Vezzali che tiene aperto il dialogo e mantiene sul tavolo argomenti che la Lega A ritiene più consoni, adatti a risollevare il calcio italiano, dando un’accelerata alla svolta. Il sottosegretario tiene aperti i canali mentre un infastidito Gravina – insieme a Malagò – prova a spezzare quel filo.
Diritti tv e plusvalenze. «Ringrazio la sottosegretaria Vezzali per aver immediatamente compreso la necessità e l’urgenza di intervenire e ringrazio lei e il Governo tutto per averci ascoltato: finalmente la commercializzazione all’estero dei diritti audiovisivi potrà avvenire senza restrizioni o limiti, agevolando l’aumento dei ricavi. Una novità molto importante che allinea l’Italia, e la Lega Serie A, a quanto accade negli altri Paesi del mondo». Così qualche giorno fa Lorenzo Casini s’era espresso dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri del “decreto-legge aiuti” in cui erano state apportate modifiche al tanto discusso “Decreto Melandri”, con particolare riguardo al mercato internazionale dei diritti audiovisivi delle competizioni sportive. Eliminate alcune restrizioni che negli anni avevano fortemente limitato la commercializzazione dei diritti all’estero, come la durata massima triennale o alcuni obblighi procedurali. Grazie a questa misura per leghe professionistiche e organizzatori delle competizioni, più semplice poter negoziare i diritti audiovisivi negli altri Paesi. Una manna per la serie A, una richiesta datata nel tempo e finalmente accolta. Una decisione però al momento solo stoppata: ieri è stata stralciata dal “decreto aiuti” perché ritenuta non aderente. La misura però è presa, rientrerà in un altro decreto ad hoc oppure passerà grazie a un emendamento. Frutterà milioni di euro in più per la serie A, presa però sempre dagli obblighi di mutualità: oggi in assemblea si discuterà di chiudere i rubinetti, di interrompere quel flusso. Un primo passo verso la rottura definitiva? Chissà, intanto oggi potrebbe manifestarsi un’altra rottura, nuove fiamme sul corto circuito della giustizia sportiva. Dinanzi alla Corte federale d’appello (presidente Torsello) si discuterà del ricorso presentato dal procuratore capo federale Giuseppe Chinè contro la sentenza del Tribunale federale nazionale che un mese fa aveva assolto tutti gli imputati (undici club e 59 dirigenti) nel processo sulle “plusvalenze” (leggi qui e qui). Accuse come bolle di sapone, le richieste di pena e l’indagine svolta dalla procura federale considerate carta straccia, appallottolate dai giudici di primo grado, accartocciate in una pagina e mezza di motivazioni. Una sentenza incomprensibile, contraddittoria, illogica, una sentenza da “liberi tutti”: queste alcune delle parole usate (leggi qui) dal procuratore capo Figc Chinè nel ricorso nel quale chiede l’irrogazione delle pene chieste in primo grado. Un attacco in piena regola a un altro organo della giustizia sportiva. Un altro falò s’annuncia (la sentenza prevista in giornata), mentre nelle stesse ore la serie A riunita in assemblea deciderà i nuovi passi di una battaglia che s’annuncia senza esclusioni di colpi. Chissà, magari il 17 maggio 2022 potrebbe pure essere una data da ricordare. Come una frase del generale prussiano Carl von Clausewitz: la pace è solo la continuazione della guerra, ma con altri mezzi.

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