La linea del Piave adesso si chiama Decreto Crescita. Il pallone rotola, vola e rimbalza da una trincea all’altra. Si affilano le armi, regge a stento la tregua. Più di facciata che reale. Provano a tenersi con dichiarazioni soft da una parte e dall’altra, eppure arde il fuoco sotto la cenere. Altra legna si accumula, altra benzina si prepara. Tra Gabriele Gravina e la Lega serie A continua lo scontro, prosegue la contrapposizione, a fatica gli sherpa tentano di tenere vivo un dialogo. Un dialogo tra sordi. Ad esempio. La Figc ha fissato l’indice di liquidità allo 0,5% tra i criteri di ammissione al prossimo campionato di serie A, i club non ci stanno. Per contenere la rabbia di molti presidenti, il presidente di Lega Lorenzo Casini manda ancora avanti il presidente del collegio dei revisori dei conti Maurizio Dallocchio che si lascia scappare. «C’è un margine di negoziazione, insieme si può trovare un modello più sostenibile, la Figc non ha interesse a bloccare le iscrizioni, a oggi non so dire quanti club rischierebbero ma la situazione per qualcuno è deficitaria». Gravina terrà il punto? Difficile anche perché per serie B e Lega Pro ha fissato un indice ancora più alto (0,7%) e nelle due leghe la vita di molte società è sull’orlo del baratro mentre su un altro punto inizia proprio oggi un’altra battaglia. Dinanzi al Tribunale federale nazionale si discute del ricorso presentato da Aurelio De Laurentiis sulla multiproprietà. Il proprietario del Napoli si ritrova quasi nella stessa situazione dell’alleato Lotito di un anno fa con la Salernitana: è in serie B e può ancora detenere le quote (ce le ha il figlio) ma deve cedere comunque entro il 2024. De Laurentiis contesta merito e tempistica, l’avvocato Mattia Grassani ha affilato le armi, si limita a osservare: «L’obiettivo è tornare allo status quo antecedente e dunque la possibilità per il medesimo soggetto di controllare due società purchè non appartenenti alla stessa categoria, a tempo indeterminato». Difficile che il tribunale federale possa bocciare una norma approvata appena un anno fa dal consiglio federale: del resto un passo indietro provocherebbe un’ulteriore azione di Lotito (e Mezzaroma) che da tempo ha messo in piedi una causa contro la Figc. Intanto il tribunale federale presieduto da Carlo Sica (lo stesso che ha sbriciolato le accuse in primo grado del procuratore capo Giuseppe Chinè nel processo plusvalenze, l’appello fissato al 17 di maggio) ha inibito per due mesi (più multa di 5mila euro) il consigliere indipendente di Lega Gaetano Blandini, eletto a sorpresa mesi fa, sostenuto dall’opposizione divenuta nel tempo maggioranza, gruppo guidato dal duo Lotito-De Laurentiis. Il provvedimento – “per aver leso la reputazione e l’onore degli organi federali” adottato dopo il deferimento avviato in seguito a una denuncia proprio del presidente federale Gravina che però non ha mai fatto il nome di chi gli avrebbe riferito delle (presunte) offese rivolte da Blandini nel corso di una riunione tecnica con dirigenti federali. Blandini annuncia ricorso e si aspetta la vittoria. Del resto non è un tesserato né dipendente di un club, dunque non ci sarebbero proprio gli estremi. Però la giustizia sportiva spesso è creativa, chissà.
Fronti aperti e nuovi attacchi. Intanto sul tavolo si aggiungono faldoni e si affilano le armi, sul tavolo restano una serie di contrapposizioni, sul tavolo continua ad esempio a ballare il fascicolo sul “Decreto Crescita”. Ribattezzato da alcuni come la “soglia anti stranieri”: è la linea del Piave sulla quale si sta conducendo una battaglia senza esclusioni di colpi e accuse. Gravina si aspetta un “regalo” dalla politica e tiene nel mirino le mosse dell’altra parte, scorgendo nella Vezzali il baluardo insormontabile alle richieste. Vezzali considerata vicino alla maggioranza calcistica della serie A. Calcio e politica, si accende la mischia. Intanto il faldone balla, passa e rimbalza: dalle stanze della politica a quelle federali, spinto dall’Aic e respinto dalla Lega A. Colloqui, mediazioni, incontri e scontri, aggiustamenti e limature. È diventato il cavallo di battaglia federale, appare come un provvedimento demagogico, un elemento usato e cavalcato da Gravina per spargere un po’ di propaganda, per rivendicare interventi a sostegno del calcio italiano, umiliato dopo l’eliminazione subita dalla Macedonia. Intanto i termini dell’emendamento restano in sospeso e intanto Gravina dalla Giunta Coni continua a punzecchiare la Vezzali. «Come Figc spiace essere stati accusati di non aver aderito al Pnrr. Noi volutamente non dovevamo fare nulla perché abbiamo ricevuto 347 domande e altre cento richieste di chiarimento: perché avremmo dovuto scegliere un progetto penalizzando gli altri? Capisco le motivazioni del sottosegretario, ma mi chiedo: il mondo dello sport come ne esce da questa elargizione mirata su alcune federazioni? Perché alcune sono state avvantaggiate a discapito di altre».
Lo status quo e il fumo negli occhi federale. «Non è una questione di contrapposizione, il mio unico obiettivo è l’evoluzione del calcio italiano. Non è accettabile lo status quo. Bisogna spingere al massimo sull’acceleratore per un percorso di riforme. Questa è la mia posizione politica, quella della maggior parte dei consiglieri federali»: così Gravina una settimana fa, al termine del consiglio federale. Due giorni dopo nella convention a Milano organizzata da “Il Foglio sportivo”: «Il calcio italiano credo stia molto bene nella sua dimensione sociale e culturale. La dimensione economica ci fa preoccupare un po’ di più, abbiamo avviato una sorta di tagliando, il motore perde colpi ma non è una macchina da rottamare. È una macchina che chiede grande senso di responsabilità, col consiglio stiamo cercando di lavorare sul campo della sostenibilità, cercheremo di dare un piano triennale per attivare meccanismi di controllo sui costi. Poi c’è il tema delle riforme complessive di sistema e del risultato sportivo, del valore tecnico. Non voglio sembrare una voce fuori dal coro, c’è stata una disfatta, è vero, ma il calcio italiano non è solo la Nazionale maggiore che resta un punto di riferimento». Rimasto incollato alla poltrona nonostante il flop della Nazionale, aggrappato alla maggioranza in consiglio federale che si fonda soprattutto sui rami dei Dilettanti e della Lega Pro, affiancato dai suoi vice Umberto Calcagno (Aic) e Francesco Ghirelli (Lega Pro), difeso pubblicamente dal presidente del Coni Giovanni Malagò ma sempre più nel mirino dei presidenti di Lega A e di una crescente fetta di politica e opinione pubblica, il presidente federale e presidente del Club Italia pare continui a cantarsele (quasi) da solo. Promette riforme e rinascita, continua a muoversi seduto in poltrona, tra pressioni e occhiolini. Continua soprattutto a mischiare le carte ben sapendo che gli manca il tempo, che il terreno continua a franargli sotto i piedi: anche questa stagione sportiva si chiuderà senza le riforme che aveva messo per iscritto nel suo programma elettorale. Quelle del 2018, quelle del 2021. Nelle azioni e nelle parole di Gravina, nella continua ricerca di sponde e argomenti alternativi come a voler spostare sempre attenzione e questioni, si rintraccerebbe invece un disegno preciso.
Un seggio in Parlamento. Tirare avanti sino al prossimo anno, reggere l’onda d’urto – la Lega A ad esempio sta preparando le contromosse sull’indice di liquidità fissato allo 0,5 – e puntare poi a un seggio in Parlamento. È ancora solo una voce, è al momento un’ipotesi, ma è pure un vento che spira sempre più insistente e frequente nei corridoi del Palazzo, del resto proprio il presidente federale ha abbia più volte sottolineato di mantenere amicizie e rapporti con un’ala di un partito di maggioranza. La politica è di casa (non solo ad esempio per le porte aperte un mese fa alla figlia del ministro Giorgetti al Club Italia): nel 2018 la compagna Francisca Ibarra s’era candidata in Abruzzo alle Regionali nelle liste del candidato Pd Legnini. Gabriele Gravina medita di scendere in campo. Punta a correre per un posto da deputato nelle prossime elezioni politiche, valuta la candidatura in un collegio dell’Abruzzo o del Lazio: almeno così ha lasciato intendere agli amici e alleati più vicini. Punta a blindarsi ancor di più. Da deputato manterrebbe ovviamente la carica di presidente federale oltre alle altre in ambito sportivo (la presidenza del Club Italia gli frutta 240mila euro, il posto in Giunta Coni e quello nell’esecutivo Uefa aggiungono al conto altri 200mila euro l’anno), senza contare ovviamente quelle detenute nel sistema creditizio. Da deputato potrebbe seguire ancora più attentamente – influenzare e lavorare a provvedimenti lascia intendere chi gli è al fianco – le evoluzioni politiche su questioni di natura sportiva e soprattutto calcistica. Da mesi è il protagonista burrascoso con una parte del Governo Draghi, reo di avergli accartocciato in serie programmi e richieste di sostegni, interventi e soldi. Nel mirino c’è anche il premier anche se mai direttamente attaccato, c’è soprattutto la sottosegretaria Valentina Vezzali. «Leggo che la politica si interessa molto al calcio italiano ma al di là delle pacche sulle spalle dopo l’11 luglio (data della vittoria agli Europei) ci farebbe piacere qualche provvedimento coerente con lo sviluppo del calcio italiano». Così s’era espresso nemmeno un mese fa, mettendo sul piatto la questione del decreto crescita intervenendo di fianco a Balata alla presentazione di uno studio della Lega B sulle presenze dei calciatori italiani under 22 in campionato. È da quel giorno che il tema del “Decreto Crescita” è diventato oggetto d’interventi quotidiani. Oggetto di scontro. Adesso cova il fuoco sotto la cenere. Un altro incendio è pronto a esplodere, avvolgendo Figc, Lega serie A e mondo della politica. A Gravina non piace più il Decreto Crescita, auspica l’eliminazione completa eppure l’emendamento Nannicini gli fa comodo, adesso per le donne. «Il decreto Nannicini ci aiuta, 12 milioni di euro in tre anni sono assolutamente un supporto ma non risolvono il problema delle risorse necessarie per il professionismo femminile. Confidiamo nella modifica del provvedimento normativo che riguarda il lavoratore sportivo: se dovesse cambiare e tenere conto delle esigenze del mondo femminile, sarebbe un valido aiuto. Questo chiediamo all’autorità di governo, chiediamo concretezza per accompagnare questo processo che è costosissimo e insostenibile per le sole società». Da una parte vuole togliere, da un’altra vuole aggiungere. E, come sempre, l’occhio buttato alla politica.
Suggeritori e sponde. Tutto nasce dalla proposta del senatore Tommaso Nannicini (Pd) di un emendamento che ponga una soglia (la proposta iniziale era un minimo di 2 milioni di euro lordi) d’ingaggio ai giocatori acquistati all’estero per usufruire dei vantaggi fiscali previsti dal Decreto Crescita approvato nel 2019, nato per favorire il cosiddetto “rientro di cervelli” in Italia, nato e concepito non per il calcio ma che il pallone ha prontamente e abbondantemente sfruttato per acquistare calciatori dallo stipendio pesante. La proposta è stata caldeggiata dall’Assocalciatori, il sindacato presieduto dall’avvocato Umberto Calcagno che ha preso il posto di Damiano Tommasi: l’ex giocatore della Roma corre adesso per la poltrona di sindaco di Verona appoggiato da una coalizione di liste tra cui quella del Partito Democratico. Proprio un esponente del Pd sarebbe stato a spingere per un intervento sulla norma, a soffiare sull’emendamento, a proporlo come uno degli interventi necessari per ridare ossigeno al calcio azzurro. Una campagna informativa così incessante da somigliare in realtà a un battage, a uno spot, a una rèclame. «Questa norma discrimina in maniera spaventosa i calciatori italiani o stranieri che siano, che sono già in Italia da più di due anni. Ci sentiamo presi in giro, è ingiusto che chi viene dall’estero paghi la metà dell’Irpef di chi lavora già in Italia, è una situazione per lo sport aberrante»: così continua ad insistere Calcagno. Il pensiero fisso ce l’ha pure Gravina, il pensiero e la linea paiono suggeriti da Fabio Appetiti, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Aic ma anche responsabile del Pd Lazio in materia sportiva. Un personaggio influente, assai vicino al presidente della regione Lazio Zingaretti. Già anni fa Appetiti faceva capolino nelle stanze di via Allegri come consulente federale all’epoca la presidenza era targata Tavecchio: politica e calcio, come lui anche Giuseppe Cionci che pare sia un altro “suggeritore” federale. Nel campo calcistico il nome di Cionci venne fuori qualche anno fa, accostato all’intermediazione legata all’acquisto di Coric da parte della Roma e inserita in un discorso legato al progetto del nuovo stadio della società giallorossa. Aspirante agente di mercato, imprenditore ed editore, personaggio vicino al Pd laziale. In un’informativa della Finanza di Roma venne all’epoca identificato come rappresentante “della società Cornersport Management Srl” della quale faceva parte anche Pietro Leonardi, ex dirigente sportivo radiato, già coinvolto in svariate inchieste sportive e penali e soprattutto travolto dal crac del Parma prima (2015) e da quello del Latina poi (2016). Cionci uno degli uomini di fiducia di Nicola Zingaretti, architetto della sua lista civica nel 2008, quando venne eletto presidente della Provincia e tra i fundraiser del suo comitato per l’elezione a Governatore del Lazio (2013). È in questo bacino di influenze ed esponenti che Gravina coltiva l’aspirazione a una candidatura in Parlamento. L’eventuale elezione gli garantirebbe maggiori margini di trattativa e di presenza politica, contrastando il vento contrario.
Parate e risposte. Vento contrario sui cui – qui si annidano i sospetti federali – soffierebbe Valentina Vezzali. Sarebbe stata lei a stoppare la precedente versione dell’emendamento presentato dal senatore Nannicini (soglia minima di due milioni d’ingaggio lordi per usufruire della detassazione da parte delle società): “si sta lavorando per trovare la formulazione giusta”, questa invece è la risposta informale fornita dalle stanze della sottosegretaria allo Sport. Dietro il lavorìo, si palesa la presa di posizione chiara, netta, univoca, presa dalla Lega di A: 14 società su 20 si sono espresse nell’ultima assemblea contro una soglia così elevata che alla resa dei conti penalizzerebbe solo i club medio-piccoli alterando ancor di più i valori della competizione. «Un emendamento così rischia di uccidere il sistema che non è fatto di tre o quattro club, si pone in senso contrario agli obiettivi del calcio italiano per uscire dalla crisi», sostiene ad esempio l’avvocato Campoccia (Udinese). «La rimozione del trattamento fiscale sul Decreto Crescita sarebbe una risposta puramente demagogica a un problema di carattere strutturale», continua a ribadire Fenucci (Bologna). La realtà dice che con il “Decreto Crescita” l’utilizzo degli stranieri in A è aumentato appena del 3%. Un dato che parla da solo, come ancor più esemplificativo è un altro: in serie A il 46% dei calciatori ha un contratto inferiore al milione di euro. La soglia dei 2 milioni per ottenere un beneficio fiscale potrebbe portare anche a un pericoloso innalzamento del monte ingaggi. L’emendamento al decreto balla intanto da 18 mesi in Commissione Bilancio, tirato da una parte e dall’altra. Corretto, aggiustato, limato. Gravina adesso cavalca l’onda. Prima si era espresso per una modifica. Adesso, invece: «Ho una posizione più estremista, sono per la totale abrograzione delle agevolazioni». Casini, presidente della Lega A, prova a mediare mentre la serie A prepara una serie di proposte e non abbassa l’ascia: «Il Decreto crescita è uno strumento utile, ma non dobbiamo abusarne. I dati che abbiamo evidenziano che al momento non c’è stato un abuso». Il terreno si fa ogni giorno più scivoloso. Gravina osserva e manda avanti i suoi vice, mentre muove i fili della politica. Attacca il vice presidente federale Ghirelli, «mi auguro che sia il senso di responsabilità a guidare le scelte della politica: il Decreto Crescita rischia di trasformarsi nell’ennesimo arido terreno di scontro e di penalizzare fortemente i settori giovanili sui quali, dopo i fatti di Palermo, è invece prioritario concentrarsi», riattacca Calcagno che si appella alla politica, «spero che la Vezzali capisca che già aver abbassato il tetto a un milione inciderà molto negativamente. Abbiamo in corso una battaglia, personalmente diventata anche antipatica, sul Decreto crescita».
Il decreto e le proposte. Il Decreto del 30 aprile del 2019 dispone che, dal 2020, chi è residente all’estero da almeno due anni e si trasferisce in Italia paghi il 50% in meno di tasse per i successivi 5 anni, a patto di restare nel nostro Paese per almeno due anni fiscali. Le società di calcio ne hanno fatto subito uso, specie i grandi club. Inciso: la detassazione riguarda le società e non i calciatori, che discutono dell’ingaggio al netto. È sul lordo che arriva la detassazione del 50%, è quindi un risparmio che frutta ai club. Prima dell’entrata in vigore del Decreto, la percentuale di stranieri in A era del 59%. Adesso è del 66%. L’emendamento del senatore Nannicini prima voleva abrogare la norma, poi è arivata una proposta di compromesso: applicare i benefici solo ai contratti dai 2 milioni di euro in su. La Serie A, soprattutto le società medio-piccole, si è detta subito contraria: il rischio è di spezzare il livello di competitività a favore delle grandi che possono permettersi quei contratti e penalizzare gravemente le altre. Stoppato l’emendamento sui 2 milioni, Nannicini allora ha abbassato la quota, ancorandola al milione. Niente da fare, niente ancora: la serie A ha proposto una soglia più bassa, pare intorno ai 700mila euro. Legando la proposta ad un’altra serie di interventi, ritenuti meno demagogici e penalizzanti rispetto a quelli proposti e voluti da Figc e Aic. E cioè, innanzitutto introdurre condizioni per tutelare i vivai: fissare un’età minima per accedere agli sgravi, o un numero minimo di contratti alle spalle. E ancora: fissare una soglia per tener fuori i baby stranieri. Infine la Serie A conta dia chiedere al governo un intervento che consenta di premiare, con un beneficio identico a quello del Decreto crescita, i contratti professionistici a giovani formati nei vivai. Intanto l’emendamento continua a ballare, rimbalza da un tavolo all’altro. L’11 maggio nuova assemblea di serie A, a seguire un altro consiglio federale. Chi vincerà la battaglia?