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Nazionale, Gravina fa gli scongiuri, tiene in caldo Cannavaro e apre le porte della Figc: la figlia di Giorgetti al Club Italia

Il presidente federale incrocia le dita, spera nella qualificazione dell'Italia ai Mondiali in Qatar e attacca i gufi: la serie A continua a rispondere picche ai suoi appelli. Mancini potrebbe lasciare mentre in federazione entra per uno stage la figlia di Giancarlo Giorgetti, ministro del Mise. I rapporti tra via Allegri e la politica, in campo Sabelli per Euro 2032
Il ministro Giorgetti e il presidente Figc Gravina

Senza riserve. Dal quinto piano di via Allegri, Gabriele Gravina s’aggrappa a tutto, prova a tenersi sulla poltrona di presidente federale che scricchiola sempre più. Dà fondo a ogni energia. Si spende e si spande, mentre i presidenti di serie A resistono a pressing e minacce (anche l’avviso di chiusura indagini sul caso plusvalenze, deferimenti niente ancora – irrituale lo spiffero sulla chiusura delle indagini della Procura federale guidata da Giuseppe Chinè che guarda caso coinvolge anche società al momento non proprio allineate né sulla candidatura del presidente di Lega A né sull’adeguamento dei principi informatori né sui fondi di private equity nei ai dettami federali – pare più un congegno ad orologeria col detonatore però sempre spento) e provano a sganciarsi dalla Figc, mentre il sottosegretario Valentina Vezzali tiene a bada ingerenze e invettive, stoppa iniziative, fughe in avanti, il presidente federale continua invece a cercare sponde politiche e governative che gli consentano di presentarsi col piatto meno vuoto – è ora e ancora desolatamente vuoto – di quello che ha apparecchiato da mesi. In Lega A non è ancora tempo di elezione, le parti si dividono tra candidature e curricula, una guerra a bruciare l’avversario, anche il numero uno della Figc in campo tra sponsor e desiderata (il nome di Mauro Masi era già comparso da tempo, leggi qui , e da quella puntata ce ne sarebbero state altre, leggi qui e qui, siamo a quattro candidati con Bonomi che si è appena sfilato, Bini Smaghi e Lorenzo Casini ma dietro l’angolo potrebbe uscire la sorpresa). Anche sul futuro presidente della Lega A si gioca il destino del numero uno di via Allegri. Fino ad ora ogni sua richiesta di ristori e aiuti di Stato rispedita al mittente. Con fastidio. Eppure. «Mi sono stancato anche di chiederli, è mortificante», ha detto solo qualche giorno fa il numero uno federale. La filastrocca by-passata attraverso Chinè e Mastrandrea (il primo è capo Gabinetto al Mef, il secondo è il capo del Legislativo del Ministero dell’Economia) non hai mai fatto presa sul ministro Daniele Franco. Come smuovere il premier Draghi che continua a fare orecchie da mercante? Lettere e richieste al sottosegretario Garofoli, incontri (con emissari) con il ministro Francheschini, contatti frequenti con le segreterie dei ministri Di Maio e Giorgetti, nuove nomine al Tribunale federale, alla Corte federale. Senza riserve, si fa tutto quello che si può. Perché il momento è decisivo. La Nazionale di Mancini sta per giocarsi la qualificazione ai Mondiali del Qatar: non partecipare per la seconda volta consecutiva alla fase finale sarebbe una vera catastrofe. D’immagine, di danari, di potere. Un’ecatombe. L’Italia di Gravina, fresca campione d’Europa, fuori dai Mondiali: chi l’avrebbe mai detto?

«Spesso chi vince le elezioni Europee poi non ha buoni risultati alle Politiche. Lo dico per scaramanzia a Gravina, chi vince gli Europei poi perde i Mondiali». Era il 13 dicembre del 2021, così il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti si rivolgeva a Gravina nel corso della presentazione del libro dell’ex ministro Vincenzo Spadafora “Senza Riserve” al teatro “Sala Umberto” di Roma. Di acqua ne è passata sotto i ponti, da quel trionfale luglio. Di cose ne sono cambiate, da quel dicembre. Il presidente Figc sempre più logoro e logorroico, consumato da una guerra senza esclusioni di colpi. Debole, delegittimato. Isolato, avverte di essere accerchiato. La parte emotiva pare abbia persino preso il sopravvento su quella razionale. Come un Lino Banfi di turno (con tutto il rispetto per Lino Banfi e ovviamente del presidente federale) protagonista del film “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” se domenica pomeriggio, nel corso di “Novantesimo Minuto”, se n’è uscito così alla domanda sulla doppia sfida dell’Italia che il 24 marzo gioca contro la Macedonia la semifinale playoff e che il 29 conta di strappare il pass mondiale contro la vincente di Portogallo-Turchia. «Io capisco che per certa cultura calcistica di questo Paese, in questo momento ci sono gufi e gufetti appollaiati sui ramoscelli della sfiga». Chissà. Con chi ce l’ha il presidente federale? Con alcuni presidenti di A? Con alcuni politici? Con qualche tifoso? Bah. Intanto dice, ripete, s’affanna a sottolineare di avere «ampio consenso all’interno del consiglio federale ma anche all’esterno», eppure davanti agli occhi gli ripassano precedenti esperienze. Nel ’58 si dimise Barassi dopo la mancata qualificazione in Svezia, vittima della Corea fu Giuseppe Pasquali nel ’66, nel 1986 salutò l’avvocato avellinese Franco Sordillo dopo il flop messicano imitato da Matarrese nel ’94, persino l’amico, mentore e alleato Giancarlo Abete lasciò via Allegri nel 2014. Da dove nel 2017 fu costretto ad andarsene Carlo Tavecchio che non avrebbe mai firmato la lettera di dimissioni se non avesse ricevuto il benservito e il tradimento proprio dalle componenti federali, tra cui proprio la Legapro, presieduta proprio da Gabriele Gravina diventato qualche mese dopo suo successore. Cinque anni dopo, ha appena detto: «A differenza di chi mi ha preceduto non coltivo la cultura delle dimissioni. Il mio futuro di presidente della Figc legato alle sorti della Nazionale? Il calcio è sempre stato un mondo di illusioni e non escludo che qualcuno ne stia coltivando una. Ma io vado avanti, ho un progetto e lo porto avanti. Anche se malauguratamente non dovessimo qualificarci per il Qatar».

Il 16 marzo ha fissato un consiglio federale decisivo: tra i punti, c’è anche l’approvazione dei nuovi parametri per le licenze nazionali. La serie A l’ha già stoppato, invitandolo a un confronto (leggi qui). La serie A che ha stoppato sul nascere persino la richiesta di rinviare la giornata del 20 marzo per consentire alla Nazionale di prepararsi al meglio. Un no preso male, incassato quasi senza colpo ferire. In fondo, dice Gravina, io non l’avevo mica chiesto per iscritto. «Nel nostro mondo bisogna evitare falsi formalismi ma andare alla sostanza. Altre federazioni hanno avuto questa possibilità, noi no. Rinviare la giornata la vedo complicata, magari con qualche anticipo e posticipo Mancini avrà un paio di giorni in più». Niente di scritto per evitare formalismi: chissà, avrà già dimenticato ad esempio le numerose lettere – ridondanti e cerimoniose – inviate a Dal Pino, De Siervo, Vezzali nell’ultimo mese. Può succedere. Può accadere quando si lavora senza riserve, quando ci si concentra sull’obiettivo che è diventato l’ultima ciambella di salvataggio. Perché, senza Qatar, Gravina rischia davvero di affondare. La palla passa nei piedi degli azzurri, la palla è nei pensieri e nella bravura e nelle mosse di Roberto Mancini. Glielo hanno chiesto mille volte: ma se l’Italia esce, il commissario tecnico lascia? 
«Questo lo valuteremo insieme, ma il percorso avviato con Roberto non è legato a un singolo risultato. C’è un progetto che ha già dato risposte importanti, in termini di entusiasmo e rilancio dell’immagine della Nazionale».
Questa frase la ripete come un mantra. Da mesi. «Ci sono dei momenti, a volte nella vita e nel lavoro, più difficili, però credo che la forza di noi marchigiani e di noi italiani venga fuori proprio in questi momenti»: così invece il marchigiano Roberto Mancini appena quattro giorni fa, così rispondendo a una domanda sul suo futuro in azzurro al “Regional Day” delle Marche al Padiglione Italia di Expo 2020 a Dubai. In autunno, dopo la mancata qualificazione diretta, Mancini aveva lasciato la porta aperta a ogni eventualità. Anche a quella dell’addio. Il suo pensiero ribadito spesso. «In Nazionale si giocano poche partite e a volte uno si stanca di stare a casa. Questo è il problema. È un grandissimo onore sedere sulla panchina della nazionale italiana soprattutto in questo momento in cui la squadra è tornata molto competitiva e dobbiamo affrontare delle competizioni importanti. Poi sicuramente sì, tornerò in un club».

Così qualche mese prima di vincere l’Europeo. Sarebbe stata una grande vittoria. La sua, e quella del suo gruppo. Una vittoria subito intascata anche da Gravina, «abbiamo costruito un percorso e abbiamo raccolto un frutto straordinario del nostro lavoro, delle nostre scelte». Eppure non era stato Gravina a scegliere Mancini come ct, la nomina arrivò dall’allora commissario straordinario Figc Roberto Fabbricini. E non è un mistero che Gravina avesse pensato alla coppia Lippi dt e Fabio Cannavaro per la sua nazionale. Poi i successi in serie degli azzurri fino alla qualificazione all’Europeo l’avevano costretto a ripiegare. Fino alla firma – due mesi prima del campionato continentale – del nuovo contratto a Mancini, legatosi sino al 2026 con uno stipendio annuo di tre milioni di euro. Arriverà a scadenza? Le voci e le ipotesi si rincorrono: a Mancini pare piacerebbe immergersi in nuove sfide, magari di nuovo Oltremanica. Magari potrebbe lasciare anche dopo i Mondiali. Certo, più probabile il divorzio immediato in caso di mancata qualificazione. Il sostituto? Anche qui gli spifferi da mesi battono sempre sullo stesso tasto, convergono sullo stesso nome: Fabio Cannavaro – che ha rinunciato all’incarico di ct della Polonia – il candidato numero uno, seguito poi da Pirlo e magari da Gattuso. Le ipotesi lasciano spazio ora al prato: prima di Pasqua la nazionale conoscerà il proprio destino, e se cambio tecnico ci dovesse essere e se proprio dovesse toccare a Cannavaro, magari chissà ci sarebbe spazio per un brindisi nella bella villa dell’ex campione del Mondo costruita al “Pratone”, a Roccaraso. Terra d’Abruzzo, la terra d’azione e anche degli affari di famiglia del presidente federale Gabriele Gravina.

Che intanto incrocia le dita. Prega e spera nella qualificazione, si aggrappa a tutto. Tiene comunque in caldo la panca azzurra e contemporaneamente tiene caldo anche il termometro dei rapporti con la politica e il Governo. Intanto si spalancano le porte di via Allegri a nuovi ingressi. Ad esempio alla diciannovenne figlia del ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti che, alle richieste calcistiche, continua a girare la testa perchè i pensieri sono altrove: per lei uno stage (non retribuito) di sei mesi al “Club Italia”. È stata assegnata all’ufficio che si occupa del coordinamento delle attività operative di tutte le nazionali azzurre. La figlia di Giorgetti avrà modo così di farsi le ossa e di proseguire nella specializzazione calcistica visto che nello scorso autunno era nello staff che si è occupato della fase finale (disputata in Italia) della Uefa Nations League. A dicembre invece il suo nome era comparso nel dossier che ricostruiva i rapporti tra il segretario della Lega Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, titolare di una società – la “Saints Group – insieme all’ex deputato leghista Pini. Giorgetti, tifoso del Varese e della Juve: il “Gianni Letta padano” che ha in mano uno dei ministeri più pesanti del Paese, che è in buoni rapporti con il Quirinale, che è amico personale di Mario Draghi e che ha accesso diretto al Sancta Sanctorum di Palazzo Chigi, dove è stato sottosegretario ai tempi del Conte I, che ha una linea di pensiero diversa da quella del segretario della Lega: nella battaglia a colpi di veleni e dossier era stato usato quello legato alle quote di una startup, la Saints Group. Nel 2020 papà Giorgetti aveva regalato il suo 32% all’unica figlia dopo una serie d’interrogazioni e puntate televisive. Non si sarebbero invece fermati i colpi bassi e i veleni, tanto che qualche mese dopo la studentessa di Cazzago Brabbia avrebbe ceduto la partecipazione azionaria a Pini. Adesso ha intrapreso un’altra via, dopo l’esperienza in Nations League adesso c’è lo stage al “Club Italia”, l’ingresso in via Allegri. Dove viene dato per imminente anche l’arrivo di Rocco Sabelli, che proprio Giancarlo Giorgetti nominò presidente di “Sport e Salute”, incarico durato pochi mesi, fino alle dimissioni dopo le baruffe col ministro pentastellato Vincenzo Spadafora. Qualche mese fa il suo nome era stato accostato all’Ilva, designato come amministratore da Giorgetti. Ipotesi rimasta in soffitta. Sul tavolo invece adesso spunterebbe l’incarico in Figc (dato per imminente l’arrivo in via Allegri anche di una commercialista pescarese, Barbara Briolini) per occuparsi della riscrittura e della razionalizzazione dell’organico e delle funzioni degli uffici in via Allegri. Magari Rocco Sabelli potrebbe diventare il capo del Comitato per la candidatura dell’Italia alla fase finale dell’Europeo 2032, candidatura annunciata da Gravina due settimane fa dopo il dietrofront (ancora a gennaio ne ribadiva la ferma intenzione) a Euro 2028 per cui Spagna e Portogallo paiono correre con grande vantaggio. Una fretta eccessiva, alla quale sarebbe seguita una retromarcia dolorosa. Al suono di una domanda: chi al Governo avrebbe impegnato due miliardi? Senza il Governo non si va da nessuna parte. Avrà sentito puzza di sconfitta, Gravina. Ha inteso, registrato, fatto un passo indietro. Non gli piace perdere. E sa che adesso qualsiasi sconfitta sarebbe letale. Per questo si spende e si spande. Sempre. Senza riserve.

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