Cercano l’uomo. Magari lo cercano come ventiquattro secoli fa lo cercava Diogene che andava in giro con una lanterna. Però loro non sono filosofi, sono i venti presidenti di serie A e in mano hanno impugnato un’ascia: la sabbia scende inesorabile in una clessidra rovesciata, il tempo scorre e fissa scadenze ormai inderogabili, c’è da fare un taglio netto con il passato. Non è più tempo d’alchimie, è tempo di guerra. Sono in rivolta, il foglio di via consegnato al presidente della Lega A Paolo Dal Pino era soltanto l’ultimo avvertimento lanciato al presidente federale Gabriele Gravina: “Il calcio siamo noi, il pallone è nostro e noi adesso dettiamo le regole, siamo stanchi di promesse, manovre e provvedimenti coatti, col Governo andiamo a trattare noi, tu puoi anche farti da parte”. Il pensiero è comune. Sempre più forte. Assordante. Risuona come un martello che batte sul chiodo. Un chiodo fisso: dare un taglio netto. Recidere e rinascere, ripartire da zero, ricominciare con nuove regole. E da nuovi dirigenti che facciano sentire – forti, univoche – le ragioni della A: rottamazione della legge Melandri, rottamazione e ristrutturazione dei debiti, ristori e aiuti di Stato per almeno un miliardo di euro. Nel mirino adesso hanno messo pure l’amministratore delegato Luigi De Siervo che faticosamente prova a tenersi in equilibrio come un trapezista al circo: l’idea di far disputare un Mundialito ad Orlando, lì sul pianeta Disney, rischia di essere l’ultima pagina di una storia durata tre anni senza risultati concreti. Cercano un uomo. C’è chi dice un tecnico. Chi un politico. Meglio ancora, un tecnico-politico. “Una personalità forte, capace di muoversi tra le maglie della politica. Una personalità autorevole. Che sappia far sentire la voce della serie A, il motore dello sport italiano. Che alzi il telefono e metta in riga Gravina e i suoi due consiglieri più stretti, Chinè e Viglione”. La confessione di un presidente di serie A fa luce – più della luce di una lanterna – sulle manovre e sull’elezione del futuro presidente della Lega. “Sono in corso interlocuzioni a più livelli: prima si troverà la sintesi, e poi vedrete che si troverà anche l’uomo”. È il mantra che accompagna molti dei presidenti: nell’ultima settimana incontri, appuntamenti, confronti. In ordine sparso. Tutti coperti o quasi. Da oggi le carte però inizieranno a cadere sul tavolo. Il primo appuntamento è all’hotel “Palazzo Parigi” a Milano: servirebbero almeno 14 voti per l’elezione del nuovo presidente. Non accadrà. Almeno non oggi. C’è chi ipotizza la fumata bianca al terzo appuntamento, perché il quorum scenderebbe a 11 voti. Ci sarebbe anche da far presto, entro 45 giorni, altrimenti Gravina – che minaccia ma non lo farà, il commissario ad acta per l’adeguamento dello Statuto ai principi informatori – potrebbe da norma commissariare la Lega: la realtà dice invece che è la serie A a voler congedare lui, stanca e stufa di promesse e minacce. Per questo, per sedersi direttamente al tavolo governativo, per ottenere risultati concreti, tutti i presidenti vogliono arrivare a un nome condiviso. Vogliono dare un segnale di unità, serietà, credibilità. Ci riusciranno? La domanda risuona, insieme ai primi nomi che filtrano. Chi sarà il presidente? Il solito gioco. Chi entra nel conclave da papa, di solito ne esce cardinale.
I primi nomi. I tecnici, i politici. La sfiducia a Dal Pino era stata decisa da tempo, l’assemblea del 27 gennaio solo il naturale epilogo. Da tempo sul tavolo ballano diverse ipotesi. Lo scopo però è unico: dare un segnale di forza e indipendenza, marcare il territorio. E così, le prime ipotesi. La Lega A avrebbe voluto eleggere il presidente pescandone uno all’interno, uno dei venti cioè. Il candidato più forte. Antonio Percassi, proprietario dell’Atalanta: avrebbe sicuramente raccolto numerosi consensi. La scelta però di eleggere il figlio Luca – ad del club nerazzurro – come vice-presidente ha fatto però cadere la possibilità. Sul tavolo – tra sponsor e spifferi – sarebbero poi così piovute altre possibili scelte. Quella di Guido Fienga, ex ad della Roma, quella di Umberto Gandini, ex Milan e attuale presidente della Lega Basket (pare che nel suo contratto ci sia una clausola che lo libererebbe in caso di chiamata dal mondo del calcio), e quella di Andrea Abodi, attualmente presidente (mandato quasi in scadenza) del Credito Sportivo e del comitato di Gestione Fondi speciali nonché consigliere dell’Abi: già presidente della Lega B ma pare non molto apprezzato da Claudio Lotito che comunque non si spenderà per Gaetano Blandini. Il profilo di Abodi come quello di un tecnico però assai più vicino alla politica, come ad esempio quello di Sergio D’Antoni, presidente del Coni Sicilia, ex deputato e già presidente della Lega Basket, attualmente nella Giunta nazionale Coni. Un nome che forse sarebbe “caro” al presidente Giovanni Malagò che dalla Cina è entrato sulle decisioni che spettano ai presidenti di A. «È un mondo che conosco troppo bene. C’è troppa conflittualità, serve compattezza, la stessa che il mondo dello sport ha trovato non senza difficoltà in questi mesi. Mi auguro che arrivi un presidente all’altezza e che si evitino ulteriori contenziosi con l’istituzione sportiva. E poi c’è un problema di governance della Lega». Mai come stavolta i presidenti di A – pur divisi e lacerati da conflitti interni, basti pensare al portale interno che renda in tempo reale la situazione economica e finanziaria dei club e che chiarisca la posizione in base alle norme federali – vogliono arrivare a una scelta unitaria. Vogliono un presidente che faccia sentire le ragioni al Governo, vogliono un presidente che sieda al tavolo di confronto col Mef, vogliono un presidente che tenga lontano Gravina e la Figc da questioni decisive. Tanto che sono decisi a nominare una commissione che si faccia audire dalle commissioni parlamentari sulle più stringenti – il 16 febbraio sarebbe giorno di adempimenti fiscali – questioni economiche e finanziarie. E così è cominciata la caccia al politico. Al politico che conosca il mondo del calcio. In fila, senza ordine di preferenze, ecco i nomi dei primi papabili: Walter Veltroni, Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli, Roberto Maroni.
A caccia di sponde. Nomi e ipotesi che suonano come una risposta politica ai movimenti politici di Gabriele Gravina e Luigi De Siervo. Debole, sempre più debole. Delegittimato, sempre più delegittimato. All’angolo, nell’angolo. Il presidente Figc prova a tenersi lontano, finge disincanto. «Nuovo presidente della Lega? Non ho mai fatto invasioni di campo in nessuna componente e non mi interessa farla adesso. Non voglio entrare nel merito, qualcuno ha cercato di tirarmi in ballo parlando di tensioni con la Lega ma l’ha fatto in maniera strumentale». Ha chiesto di fare presto. Teme altre spaccature, tema che la valanga lo sommerga. L’asse con Dal Pino, Scaroni (pare che anche il presidente del Milan abbia votato per Blandini) e Cairo scricchiola, perde pezzi. Tutta la serie A è in rivolta, è stanca delle promesse non mantenute, stufa di una “politica” dei vertici della Lega troppo appiattita sulle posizioni della Figc di cui si sente subalterna. Vuole mani libere. Vuole trattare lei, adesso. È ormai lontano e irraggiungibile il fidato Dal Pino, il presidente manager della Lega A che venti giorni fa aveva tuonato alla Vezzali («se il Governo non ci dà i ristori la A è pronta a gettare la spugna»): è stato lui il primo a gettare la spugna. Ha chiuso per sempre la porta della stanza di via Rosellini, da Milano s’è trasferito negli Usa. Due pagine per l’addio eppure nella lettera che spiegava l’addio i motivi stavano e restano tutti in un breve capoverso. “La proposta dei fondi si è arenata per i motivi che conoscete. Ho provato a proporre idee e innovazione in un contesto resistente al cambiamento”. Il fondo della questione sta tutto qui: l’ingresso in A del fondo di private equity britannico Cvc (in consorzio con Advent e Fsi) che in cambio del 10% della media company avrebbe versato 1,6 miliardi di euro nelle boccheggianti casse dei club, progetto bocciato un anno fa quando mancava solo la votazione finale, il progetto tanto caro all’asse Gravina-Cairo-Scaroni-Dal Pino ma osteggiato dal gruppo Lotito-De Laurentiis, stoppato con la partecipazione poi di Juventus e Inter mentre sul campo la battaglia sui diritti tv risultava un fatto di famiglia (leggi qui) e la partita sui fondi solo momentaneamente accantonata (leggi qui). I grandi club sono in realtà i primi a osteggiare l’adeguamento dello statuto ai principi informatori stabiliti da Gravina: nelle votazioni su questioni economiche la maggioranza semplice rischierebbe di metterli sotto, sotto scacco delle “piccole”. Rischia sempre più di andar sotto il presidente federale, il progetto di riforme un quiz irrisolto da mesi (leggi qui): la valanga potrebbe spazzarlo via se la Nazionale di Mancini non centrasse la qualificazione ai Mondiali in Qatar. Una catastrofe. Economica e d’immagine. Per questo si muove tra i palazzi di Governo e della politica, cerca sponde dopo le continue stoccate ricevute come risposte alle sue filastrocche (leggi qui). A metà della scorsa settimana pare abbia parlato col ministro della Cultura Dario Franceschini, spifferi velenosi fanno inoltre e invece notare come le ultime recenti nomine di componenti negli organi della giustizia federale siano arrivate magari per tenere sempre vivi i rapporti con i ministri Giorgetti e Di Maio. Dal quinto piano di via Allegri prova a muovere i fili, prova a suggerire un suo candidato. Mauro Masi, ex segretario generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ex direttore generale della Rai, tre mandati da amministratore delegato del Consap (società partecipata dal Mef, attualmente il capo Gabinetto del Mef è Giuseppe Chinè, procuratore capo Figc) e adesso solo presidente, nonché presidente della Banca del Fucino. Un nome, un candidato, un personaggio che a Gravina andrebbe benissimo e che gli assicurerebbe ancora una Lega al suo fianco. Prova a tenere ai propri fianchi i presidenti di A anche l’amministratore delegato De Siervo. Cerca un’altra polizza politica che lo mantenga su quella poltrona da 800mila euro l’anno più bonus. Cerca anche lui un presidente mentre tutti e venti i presidenti vogliono innanzitutto rottamare la legge Melandri: non vogliono più dividere i ricavi dei diritti tv con le altre leghe e il mondo dello sport, vogliono avere mani libere per i nuovi contratti, all’estero ma anche in Italia. De Siervo era nel cerchio magico di Matteo Renzi, da un altro politico di quel cerchio ha appena ricevuto un melodioso cinguettio proprio nel giorno (leggi qui) in cui è venuto fuori il vero intento. «La modifica dell’art. 16 è sacrosanta visto che penalizza il nostro campionato, sul mercato estero, rispetto alle altre leghe. Quanto alla Melandri, insieme in passato si è riusciti a fare modifiche condivise e utili, giusto ripartire da qui per rilanciare il calcio e la A»: così Luca Lotti, ex ministro dello Sport e attuale deputato del Pd. Ben coperto a sinistra, De Siervo ora pare cerchi coperture, sponde e polizze assicurative pure sul fianco destro. Per questo gradirebbe un presidente politico espressione del centrodestra, per questo il nome dell’ex ministro Angelino Alfano gli andrebbe benissimo. Nomi, ipotesi, candidature. Da oggi comincia la ricerca. Lotito ha riguadagnato posizioni e la maggioranza, semplice e non totale. Non ha intenzione di candidare Gaetano Blandini, la sua elezione a consigliere indipendente è stata una vittoria, suonata come uno smacco per l’acerrimo rivale Gravina. L’asse con De Laurentiis regge e conquista adesioni, non è il caso di frammentarsi proprio ora, anzi: bisogna trovare un presidente che vada bene per tutti i presidenti. Che prenda per mano la Lega A e la porti al tavolo col Governo, che tolga voce e potere alla Figc. Cercano l’uomo. Come lo cercava Diogene con la lanterna. Ci riusciranno, magari non oggi ma ci riusciranno. È qustione di vita o di morte. La loro. C’è chi come Gravina fa finta di non capire. La musica è cambiata. Ecco De Laurentiis, pochi minuti prima del via. «Il presidente della Lega Serie A non deve essere politico. Qui si sono confuse le funzioni. Il presidente non è uno che deve comandare, deve rappresentare gli interessi e le decisioni di 20 società, che si esprimono attraverso il Consiglio e l’assemblea. C’è molto da parlare di come uscire fuori dal pantano dove i precedenti hanno buttato da due anni la Lega in un immobilismo aggravato ancora di più dal Covid. Quello che nessuno vuole capire è una cosa fondamentale, la Lega Serie A è autonoma e indipendente perché finanzia tutto il movimento calcistico. Senza la Serie A non esisterebbe la Figc, non esisterebbe la Lega B, la Lega Pro ma anche qualche altro sport. Commissariamento? Sono boutade buttate lì da qualcuno che ama mostrare i muscoli perché non ce li ha e ha bisogno di dimostrare a non so chi di averceli».