Una tigre quando dominava in pedana: sei ori olimpici, sedici mondiali, impossibile tirarla giù dal podio. Valentina Vezzali non ha perso lo smalto di quegli anni d’oro, in quei giorni assaltava come non ci fosse un domani. Smesso il fioretto, le tocca adesso però andare anche di sciabola, qualche volta persino di spada: dalla nobile arte della scherma è passata a quella della politica. Anch’essa un tempo nobile, adesso invece soltanto un’arena selvaggia, senza onore e senza regole. Da dieci mesi è sottosegretario allo Sport nel Governo Draghi, da dieci mesi è al centro di richieste continue, sempre nel mirino, sotto costante attacco. Accerchiata, assediata. Dai politici, da politici e dirigenti sportivi. Ad esempio dalla Figc di Gabriele Gravina che aveva promesso aiuti e miliardi ai suoi elettori ottenendo in cambio la rielezione, dai club di serie A che bruciano milioni e milioni (non tutte le società) eppure sempre lì a chiedere e invocare aiuti di Stato, dal Coni e dal presidente mai sazio Giovanni Malagò, sempre lì pronto a rivendicare un ministero dello Sport, sempre in guerra con “Sport e Salute”, sempre a chiedere, rivendicare, a pretendere maggiore autonomia. «Ho un ottimo rapporto con lei. Il ruolo è complesso, è stata catapultata in mezzo a un mare, per giunta in tempesta, la tempesta del Covid. Ma ho un rammarico: preferisce seguire i consigli di chi sa poco di sport e di chi non lavora per il bene dello sport italiano. Attorno a lei ci sono persone che non la stanno aiutando»: così il numero uno Coni appena dieci giorni fa al Corriere della Sera. In estate, dopo il trionfo di Tokyo, la Vezzali aveva invece così risposto, di risposta all’ennesimo attacco: «Siamo fra le prime dieci nazioni nel medagliere ma anche al quint’ultimo posto per pratica sportiva». Un duello continuo, tra parate e attacchi. Affondi.
Il botta e risposta. Filastrocca e lettere. Affonda il calcio italiano. Affoga tra i debiti, attardato rispetto all’Europa e al Mondo da dirigenti incapaci e ingordi: annaspa e affonda quello del vertice, quello del calcio professionistico, quello dei miliardi che bruciano i club di serie A che pure continuano a chiedere soldi, ristori. Aiuti di Stato, aiuti allo Stato. Attardato da riforme mai attuate, da promesse che restano slogan, da politiche federali e di lega miopi, assistenziali. Sempre lì, a cavalcare l’onda del Covid per mettere una toppa a falle sempre più grandi, a coprire bugie e disastri (leggi qui). La filastrocca dura da oltre un anno. «Parlare di aiuti al calcio sarebbe poco comprensibile per tutti i cittadini italiani», disse ad esempio la Vezzali quando in estate la Figc chiese al Governo un miliardo di euro presentando il piano Fenice (leggi qui). La richiesta nei mesi non è cambiata. Anzi, è diventata un’escalation, una hit. «Ci aspettiamo almeno un miliardo, si tratta di mettersi d’accordo solo sulle modalità», aveva detto Gravina appena dieci giorni fa. La litania, sempre quella. A turno, recitata da Gravina, poi dal presidente della Lega A (e suo vice federale) Dal Pino, da Scaroni, da Cairo, insomma da tutto l’asse che governa il traballante carrozzone del calcio italiano di vertice. «Perché al cinema e allo spettacolo il Governo ha concesso ristori e aiuti per un miliardo e a noi no?». Richieste continue, a mezzo stampa. Come un martellamento, come un tentativo di mettere nell’angolo il Governo e il sottosegretario Vezzali. Gravina che cerca sponde con i ministri Giorgetti e Di Maio, che sa bene come soldi non ce ne siano troppi, come non sia il momento e il modo giusto per chiederli. In fondo ha canali privilegiati, il capo della Procura Figc è il capo di Gabinetto del Mef (Giuseppe Chinè), in fondo il capo del Legislativo del Mef è Gerardo Mastrandrea, giudice sportivo della Lega A. Niente, la partita si gioca su altri tavoli. Una guerra, come l’inferno della Divina Commedia (leggi qui). E così, dopo le preghiere di prebende rispedite al mittente, ecco la lettera di Dal Pino, «senza ristori la Lega A getterà la spugna», e poi la richiesta di un tavolo governativo spedita (protocollo 11313/presidenza) dal presidente federale alla casella di posta elettronica del sottosegretario Vezzali. Oggetto: richiesta istituzione tavolo tecnico individuazione misure ristoro per il calcio. Su carta, la solita solfa: i numeri della crisi del calcio professionistico, l’impatto del Covid, i mancati ricavi. Poi, l’invasione di campo, come non gli fosse bastata quella di settembre quando aveva deciso di sospendere versamenti e adempimenti fiscali (leggi qui), correggendosi poi con la “sospensione” dei controlli Covisoc. Niente. “Gli sforzi da te compiuti non sono stati sufficienti a indurre il Legislatore a dare una compiuta risposta alle emergenze del sistema calcio, ti chiedo di costituire un tavolo tecnico con tutti i Ministeri coinvolti, a partire da quello dell’Economia per individuare i necessari e non più procrastinabili interventi di ristoro”. Attenta, veloce e decisa così come quando era una tigre in pedana, la stoccata di Valentina Vezzali sarebbe arrivata di lì a poche ore. La firma digitale, la penna su carta intestata “Presidenza Consiglio dei Ministri, sottosegretario allo Sport”. “Caro Presidente, caro Gabriele. Condivido le preoccupazioni che riporti…”. Dopo aver sottolineato come siano numerose “le criticità e le difficoltà del mondo dello sport” (dunque non solo il calcio come vorrebbe Gravina), dopo aver sottolineato come “il confronto debba avvenire per attuare una riforma strutturale di tutto il comparto sportivo” (dunque aiuti sì ma in presenza di riforme serie e garanzie), ecco ricordare come “gli interventi del Governo hanno prodotto ossigeno per tutto il settore, come ad esempio la disposizione inserita nella Legge di Bilancio che prevede la sospensione dall’1 gennaio al 30 aprile 2022 dei versamenti delle ritenute fiscali e previdenziali”. Dunque: avete già avuto un aiuto concreto, rinviare il pagamento delle tasse e delle imposte. E avete ottenuto anche altro. Quanto ai ristori poi, non sempre i conti tornano, persino sui tamponi (leggi qui). Basta lamentele e colpi bassi. Tocca a voi adesso fare le riforme.
La stoccata. Le riforme, già. Il Governo è pronto a sedersi al tavolo, pronto ad ascoltare le richieste del mondo dello sport, non solo di quelle del calcio. Per giunta quello della Lega A, un’associazione privata di club amministrata dall’ad Luigi De Siervo che pure conta di sedersi al tavolo. Chissà se, chissà a che titolo. Intanto il calcio cosa porterà concretamente sul tavolo? Valentina Vezzali ne ha parlato. In una lunga intervista pubblicata stamattina sulle pagine de “Il Sole 24 ore”. Ha aperto la porta al dialogo, al confronto. Ha elencato i provvedimenti presi, ha aperto su alcuni fonti come quello delle strutture e del betting. Ma non ha lesinato qualche stoccata. Anche e soprattutto al pallone italiano, al suo presidente Gravina. A quello che invoca e pretende aiuti di Stato. A domanda – “Quali riforme si aspetta che il mondo del calcio di vertice porti al tavolo come prova della volontà di una cesura con le gestioni non sempre equilibrate del passato?” – ecco la risposta. «C’è un presidente che è stato eletto da tutte le componenti, tocca a lui e al mondo del calcio decidere e intervenire. Io vorrei essere di impulso e supporto all’attuazione di alcuni temi che Gravina ha presentato nel suo programma elettorale: riforme dei campionati, sostenibilità e stabilità del sistema, il sistema delle licenze, gli strumenti di controllo e trasparenza nei bilanci e nelle partecipazioni societarie, una flessibilità contrattuale con premi, tetti salariali e budget, un freno e un tetto alle commissioni dei procuratori sportivi, il contenimento dei costi. È passato un anno e riscontro ancora resistenze su questi temi. Il calcio del futuro mi pare coniughi ancora solo verbi al passato. Si discute ad esempio del fenomeno plusvalenze dei club. Ecco, credo che sarebbe opportuno adottare una norma che renda meno attrattivo il ricorso ad alcune operazioni. Vogliamo, tutti insieme, realizzare il gol della vittoria. Ma per farlo c’è bisogno di azioni concrete». Quindi: caro Gravina, le tue promesse di riforme viaggiano da un anno nell’etere ma sul tavolo ancora nulla. E così, dopo aver ricordato come «il calcio è un pilastro dello sport italiano, e non è solo quello super professionistico della A, dentro cui pure viaggiano realtà diverse ma che l’attenzione del Governo deve essere rivolta a tutto lo sport e alle difficoltà che sta affrontando», ha sottolineato come «lo sport, e il calcio in questo caso specifico, non devono però dimenticare come la crisi del sistema sia antecedente al Covid. Non si possono invocare aiuti di Stato, né questi sarebbero utili al sistema per rimettersi realmente e seriamente in piedi: troppi provvedimenti a pioggia nel passato hanno dimostrato come non sia questa la strada giusta. Il Governo e la politica possono spingere il piede sull’acceleratore, ma per un vero sorpasso e per un reale cambio di passo, c’è bisogno che anche il calcio cominci a correre».
Tutta la A in rivolta, Gravina e Dal Pino all’angolo. Un’altra lettera intanto è appena arrivata sul tavolo del sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali e a quello del presidente del Coni Malagò. La lettera è firmata da tutti i venti club di serie A. Uniti e compatti. E già questa sarebbe una notizia. Ma la notizia – mica tanto, il refrain lo si è capito da tempo – è anche quella che in calce alla lettera non figura quella del presidente della Lega A Paolo Dal Pino, il vice-presidente federale e fedele alleato di Gravina. Sempre più nell’angolo i due insieme all’asse (Cairo, Scaroni) che per dieci mesi ha provato a sostenere un Palazzo che invece è un castello di sabbia. Scuro in volto, in silenzio: così tre giorni fa Dal Pino aveva abbandonato lo Sheraton, lì dove s’era appena consumato un clamoroso ribaltone (leggi qui). L’elezione come consigliere indipendente della Lega A di Gaetano Blandini, dodici voti contro i sei per Ezio Simonelli, candidato della “presunta maggioranza”: eletto dopo un anno il candidato di Claudio Lotito, pronto alla guerra, pronto a riprendersi la scena, pronto a ribaltare assetti ed equilibri, a rovesciare il duo Gravina-Dal Pino. I club di A non si fidano più, sono stanchi delle promesse e delle azioni: sono tutte cadute nel vuoto. Il piatto resta sempre vuoto. Adesso, tutti e venti i club, uniti e compatti, vanno alla guerra. Gravina l’aveva promessa se non avessero adeguato lo statuto della Lega ai principi informatori varati dalla Figc il 25 novembre: l’abbassamento del quorum nelle votazioni in assemblea, passaggio cruciale per dar via alle riforme che aveva in mente. «Sono pronto a nominare un commissario ad acta per la Lega se entro il 31 gennaio non si adeguerà». La Lega A non ha votato, non si è adeguata. Ritiene l’adeguamento una forzatura, una indebita intromissione della Figc nelle dinamiche della Lega A, un’associazione privata. Per questo i club hanno chiesto quindici giorni di tempo per “approfondire” la questione. E hanno deciso di investire sul tema il Coni e il Governo. Lettera dunque a Malagò e Vezzali. Si legge… “Riteniamo che questa pretesa sia non conforme al diritto, vuoi per la mancanza dell’indispensabile norma primaria che attribuisca un simile potere normativo a una Federazione, vuoi per la natura stessa della Lega che è un’associazione di diritto privato, non riconosciuta e quindi è dotata del pieno diritto di autodeterminarsi, in conformità alle norme del codice civile. Tale autonomia non può sortire limitazioni se non in presenza di motivi di interesse pubblico, come accade nelle ipotesi dell’organizzazione dell’attività agonistica tramite i campionati, che è oggetto di delega da parte della Federazione, e dell’ordinamento di quei campionati, materie che, non a caso, sono classificate a valenza pubblicistica dall’art. 23 dello statuto Coni e dal decreto legislativo n. 242 del 1999 e il cui esercizio, occorre precisare, non snatura comunque la natura privatistica della Lega e, a monte, della Federazione. È nostro fermo convincimento che la Federazione possa dettare principi informatori che attengono all’oggetto della delega e alle regole tecniche della disciplina sportiva, ma non possa interferire nelle scelte che attengono alla vita dell’associazione, come ad esempio imponendo determinati quorum costitutivi e deliberativi, tanto più con riferimento alla ripartizione dei proventi economici dell’associazione e delle sue associate. Quelle scelte, in cui si esprime la volontà associativa di natura privatistica, devono poter essere liberamente effettuate dagli associati a loro discrezione, senza imposizioni o condizionamenti dall’alto. Auspichiamo che il tema possa essere affrontato in tempi strettissimi nelle corrette modalità dalle parti interessate”. Sempre più all’angolo, come ne uscirà Gravina? Dal Pino è pronto gettare la spugna. Presto, prestissimo abbandonerà la nave. Lo raggiungerà il presidente federale?