Promesse non mantenute, impegni non onorati. Soldi che non arrivano. Stanchi, delusi. Adesso però sono proprio infuriati. Ce l’hanno con il Governo Draghi come ce l’avevano con quello precedente, ce l’hanno al solito con la politica, senza distinguerne il colore. Però ora ce l’hanno soprattutto con la politica del calcio, ce l’hanno soprattutto coi rappresentanti istituzionali che si son scelti: sempre più inadeguati, inutili, incapaci. Così li ritengono, così li definiscono. Inadatti a trasformare esigenze e richieste in atti veri, concreti, significativi. Dopo due anni la misura è colma. Il vaso è pieno di bugie e soprusi, di provvedimenti una tantum spesso adottati solo per “favorire” o “sfavorire” qualcuno: norme sospese, deroghe, dimenticanze. A volte la mano dolce, a volte il braccio armato: della giustizia sportiva, del consiglio federale, del consiglio di Lega. E poi non sopportano più che s’intestino successi che non sono nemmeno successi: le ritengono briciole, per loro insignificanti. “Non è mica merito vostro e nulla ci rendono. Smettetela. Ora basta”. Glielo hanno detto a muso duro, continuano a ripeterlo attraverso veline ormai senza più veli. Ormai sull’orlo del default, i venti proprietari delle società di serie A ce l’hanno con Gabriele Gravina e Paolo Dal Pino, con il presidente della Figc e con quello della Lega A, un asse che sta conducendo allegramente il calcio italiano alla berlina e al disastro: perdite e figuracce planetarie che si sommano a quelle dei predecessori e a quelle dei presidenti-proprietari. Loro però li hanno eletti, loro li pagano profumatamente, loro li hanno delegati a rappresentare le istanze del pallone e invece quel pallone rimbalza sempre più nelle retrovie. Sgonfio, lacerato, consunto. Senza potere di confronto, senza credibilità e uomini da spendere al tavolo delle trattative, senza la capacità di poter battere davvero i pugni sul tavolo: bravi sì, ma soltanto a restare aggrappati alle poltrone. E così, pur divisi, spaccati e lacerati, hanno scelto di fare fronte comune.
Il cartello. Pur su posizioni diverse e distinte, con una faticosa unanimità ad esempio hanno scelto di auto-ridurre la capienza negli stadi definendola come una scelta “di buon senso, di disponibilità, di ascolto”. Hanno sottoscritto un protocollo farsesco (nel contempo continuano a litigare fra loro senza nascondersi dietro parole e comunicati di fuoco, vedi ad esempio Bologna e Udinese eppure vanno avanti, eppure quel protocollo cambierà ancora) pur di non farsi chiudere a doppia mandata il campionato. Si trincerano dietro l’interesse e la passione dei tifosi, si lamentano per i mancati incassi: eppure fingono di dimenticare come la voce ricavi da botteghino rappresenti nemmeno il 10% delle entrate (così nell’ultima stagione pre-Covid), eppure non sottolineano come quella soglia massima di capienza (5.000) sia stata fissata attraverso un complicato calcolo per salvaguardare innanzitutto l’area hospitality di ogni club (sponsor e omaggi che rendono più del botteghino) e raggiunta solo dopo la mediazione del consigliere Paolo Scaroni con l’amico Draghi e la sottosegretaria Vezzali. «Senza incassi andremmo al collasso», hanno urlato in coro a Dal Pino quando il presidente di Lega ha riferito della telefonata – dell’aut-aut – di Draghi a Gravina, definita invece da quest’ultimo come «una telefonata pragmatica». Tanto per restare su temi concreti: hanno ragione i presidenti quando dicono che senza incassi da botteghino il sistema andrebbe al collasso: quella della vendita dei biglietti è infatti l’unica fonte di liquidità immediata. Altre fonti “immediate” non hanno saputo crearne. Perché il calcio-italiano si regge sempre più a fatica solo sui diritti tv. Fermare la serie A anche per solo due giornate avrebbe quindi portato a un bagno di sangue: il rubinetto delle rate dei diritti tv si sarebbe potuto otturare, mentre sarebbe potuta partire un’azione di risarcimento da parte dei licenziatari tv, in prima istanza di Dazn che già fatica a tenersi in piedi dopo un investimento sballato che si è tra l’altro riverberato pesantemente pure nei destini aziendali e dirigenziali di Tim. Roba da calare la saracinesca esponendo il cartello: calcio chiuso per fallimento. Disperati e divisi, hanno così sottoscritto – tra distinguo e accuse reciproche – un altro manifesto dietro il quale però si nasconde ben altro cartello. Cavalcando la nuova impennata epidemiologica, nascondendosi dietro la passione dei tifosi, issano un altro cartello e con questo sperano di evitare il fallimento. Numeri da profondo rosso già prima del Covid causati da scelte scellerate e cattiva gestione – frutto delle loro scelte, delle loro gestioni – numeri che sarebbero da fallimento. Da bancarotta. Per evitarla adesso alzano un cartello sopra il quale c’è scritto: “Ristori”. Cioè sostegni veri, aiuti, entrate. Cioè soldi. Li invocano. Li pretendono. Li vogliono subito. Il Governo entro giovedì presenterà la lista dei comparti penalizzati dalla crisi legata al Covid che beneficeranno di aiuti: dopo il mondo dello spettacolo (quante volte in questi mesi dal mondo del pallone si sono levati forte il grido e l’accusa di discriminazione), in lista ci sono ad esempio i settori del turismo e dei trasporti. Due miliardi sul tavolo, a quel tavolo vogliono essere aggiunti pure loro. Questo s’aspettano dopo la scelta di non andare allo scontro con Draghi. Da mesi però sordo alle richieste e ai lamenti del settore.

Le voci. «Il calcio a differenza di altri settori ha ricevuto ristori minimi, non certo adeguati. Non è giusto», ha ribadito ancora una volta Urbano Cairo, presidente del Torino, sempre megafono e pedina preziosa per l’asse Gravina-Dal Pino eppure adesso anche lui critico nella gestione degli ultimi giorni, «non sono d’accordo con questo protocollo, purtroppo è stato approvato di fretta, in piena emergenza: se si è dovuto correre così è perché evidentemente abbiamo perso del tempo prima, eppure durante la vacanze di Natale si potevano osservare le cose con la giusta calma e cercare l’equilibrio migliore». Riferimenti magari a quelle parole pronunciate da Gravina, prima della sosta? Chissà. Certo, il presidente federale il 21 dicembre disse: «Un protocollo? Ci stiamo pensando ma non è semplice. Vediamo che succede ma sono ottimista: con la chiusura delle scuole per le festività e la sosta del campionato la curva potrebbe scendere». Il 28 invece, da Dubai. «Vorrei parlare con i nostri scienziati affinchè ci indichino la strada giusta». Un’altra strada pare invece di conoscerla già Danilo Iervolino. Non è ancora ufficialmente il proprietario della Salernitana, non ha ancora mai messo piede in via Rosellini a Milano, eppure proprio nelle convulse e contraddittorie ore in cui il consiglio di Lega si riuniva per decidere se andare avanti o no, scriveva via social: «Ritengo ragionevole che la Lega di A adotti gli opportuni provvedimenti per sospendere le prossime giornate di campionato la cui regolarità potrebbe essere compromessa». L’appello ai futuri colleghi caduto nel vuoto eppure l’irruzione bastonata sulle colonne di un quotidiano sportivo assai vicino alle posizioni del presidente federale. Tre giorni dopo, dalle colonne di Repubblica, il futuro proprietario della Salernitana però avrebbe sostanzialmente mantenuto il pensiero, correggendo un po’ il tiro e soprattutto anche lui accodandosi al coro, «ristori, ristori» dei suoi futuri colleghi. «Fermarsi significa anche ricevere dei ristori. È fondamentale perché il calcio è un’industria importantissima e quindi anche da questo punto di vista è importante che, se necessario, ci si possa fermare. Ma a condizioni chiare. Avremmo bisogno di avere come mondo del calcio una voce forte e univoca che ci renderebbe più credibili nei confronti della politica. Non sono polemico assolutamente, né verso la Figc né verso la Lega. Ma avremmo bisogno di una nuova cornice, che possiamo ottenere solo attraverso una concertazione che deve coinvolgere anche la politica. Avremmo anche un potere contrattuale più forte in un tavolo col Governo, altrimenti c’è il rischio che certe decisioni ci vengano imposte dall’alto».
Altre voci e il tavolo governativo. Parole precise come alcuni titoli di quotidiani che da giorni hanno ripreso a battere sul chiodo. Un chiodo fisso. Sempre quello. Quello degli aiuti di Stato. “Al cinema un miliardo, le briciole al calcio. I fondi per il rilancio non sono arrivati”: così titolava il 7 gennaio ad esempio la “Gazzetta dello Sport” dell’editore Urbano Cairo che è pure presidente del Torino. “L’azienda calcio va difesa, non punita”: questo il titolo del fondo del direttore della rosea il giorno dopo. Tra inchieste e commenti, tra dati e raffronti, sottili bordate non solo al Governo ma anche – insolitamente – a quello calcistico. Sembra spirare un’aria diversa. Come fosse un’istanza generale dei presidenti del pallone, come un avviso ai naviganti. Come se avessero messo su un manifesto di lotta comunista, un manifesto con uno slogan dal tipo: “Sta a noi organizzarci per salvare il nostro calcio. Cambiare rotta, voi avete fallito”. Al tavolo delle trattative domani si partirà dall’emergenza Covid, dall’esigenza di una cabina di regia ma, tranquilli, si arriverà al punto sui ristori. Intanto altri naviganti dello sport e del calcio italiano in questi giorni hanno fatto sentire la propria voce. La prima è stata quella dell’irritato Gianni Petrucci, presidente Fip ma già commissario straordinario Figc e già presidente del Coni. «Basta con questa monocultura calcistica, ho assistito alla telefonata tra Draghi e Malagò per parlare della cabina di regia, l’iniziativa è partita dal presidente del Coni». Poi il sempiterno Franco Carraro, già presidente del Coni, già presidente della Figc, già presidente di Lega. Così, prodigo di consigli. «Le istituzioni sportive sapranno trovare la strada giusta, arrivare a soluzioni condivise. Non ho alcun dubbio, mai dimenticare che il Coni è la federazione delle federazioni, una guida autorevole. Però la politica sportiva deve essere aiutata dal mondo politico». Dulcis in fundo, Gianni Malagò, per qualche mese in solido asse con Gravina e poi negli ultimi mesi – così raccontano gli spifferi di Palazzo – sempre più freddo, distante, distaccato. «La Lega ha fatto bene a scegliere per la riduzione della capienza, alto era il rischio che il Governo facesse calare dall’alto la sua decisione. Però, vedendo come stava andando il contagio, bisognava agire di anticipo. C’è stato un buco di due settimane nel quale dovevano vedersi». Tutti contro tutti. La demagogica richiesta di Draghi con il goffo ringraziamento alla Lega A in conferenza stampa, Gravina corso ad accontentarlo senza un reale motivo se non quello i ripristinare un briciolo di rapporto col Governo, Malagò che non attacca direttamente Gravina (il presidente federale è in Giunta Coni) ma che gli manda messaggi attaccando la Lega serie A. Ormai è tutti contro tutti. Tutti a caccia di una scialuppa (personale) di salvataggio.
Tandem in caduta libera. Si vedranno. Alla conferenza Stato-Regioni con il mondo dello sport. Il ministro Gelmini, la sottosegretaria Vezzali, magari anche il ministro Speranza. E ci sarà in mondo dello sport, innanzitutto rappresentato dal gran cerimoniere Malagò che non smette di pensare a un Ministero dello Sport. Per il calcio ci sarà Gravina, pare scortato dal suo vice-presidente federale e presidente di Lega A Dal Pino. Si parlerà della cabina di regia, di come il mondo dello sport possa andare avanti senza lo scontro con le Asl, di come andare avanti senza però chiudere gli occhi sull’emergenza epidemiologica. Si cercheranno le soluzioni contingenti (capienza, protocolli) ma sul tavolo piomberà – era già iniziato dallo scorso fine settimana il lavorìo degli sherpa – di sicuro anche la questione ristori. Cosa chiedere al Governo? Il mondo del calcio ad esempio ha un’agenda piena. Ce l’ha da anni, ancor di più dagli ultimi due, ancor di più da un anno da quando Gravina era stato rieletto promettendo una serie di auto-riforme e di aiuti da chiedere allo Stato. Le riforme sono rimaste tutte al palo – le ultime vicende, dalle plusvalenze ai bilanci, non hanno contribuito a migliorare l’immagine del calcio nostrano e di chi lo governa – e così anche le richieste di aiuto e sostegno sono rimaste lettera morta: rinvio dei versamenti, finanziamenti pubblici, rateizzazione debiti, compensazione delle perdite, fondo salvacalcio, scommesse. Questioni complesse, difficile però che ritrovino slancio adesso. Il calcio ha però bisogno di soldi, e subito. Li chiama ristori. Proverà ad ottenerli, magari chinando ancora un po’ la testa. Magari punterà almeno a un impegno: che si tolga e subito il divieto di sponsorizzazione stabilito dal Decreto Dignità (voluto all’epoca dai Cinquestelle) nei riguardi delle società di betting, in modo che come negli altri Paesi questo flusso di ricavi aiuti le società di calcio. Nel 2018, prima della sospensione, gli incassi superarono i 100 milioni di euro. Ossigeno puro, non come i 5 milioni complessivi ottenuti e girati dalla Figc ai club di A per le spese sui tamponi. Adesso c’è da tamponare un’emergenza drammatica, almeno cinque club di serie A sono in grandissima difficoltà. In difficoltà è pure Gravina, aggrappato alla poltrona incrocia le dita, la mancata qualificazione ai Mondiali sarebbe per lui il de profundis: quando gli è arrivata la telefonata di Draghi pare che sia rimasto paralizzato. In difficoltà. Tra due fuochi. Impossibilitato a dir di no al capo del Governo, in imbarazzo nel girare le richieste ai presidenti. Ha così pregato il capo dell’ufficio legale della Figc Giancarlo Viglione di intervenire con il corregionale Speranza ma il ministro della Salute è andato avanti spedito sulla linea del rigore. E così l’incombenza è caduta su Dal Pino. In difficoltà pure lui. Tra due fuochi, anche lui. Impossibilitato a dir di no al presidente federale, in imbarazzo nel chiedere ulteriori sacrifici ai presidenti che nemmeno un anno fa lo avevano rieletto (al secondo tentativo) e che in primavera era riuscito a scampare alla fronda guidata da Lotito (e altri sei club) che ne chiedeva le dimissioni. «È un suicidio quello che ci chiedete, sono decisioni demagogiche, piuttosto andiamo noi alla guerra»: questo il refrain più dolce ascoltato nel corso di una agitatissima assemblea di Lega il giorno dopo la Befana.
Promesse mancate. La calza è vuota. Stanchi. Delusi. Infuriati. I presidenti di serie A non si fidano più. Né di Gravina né di Dal Pino. Nell’autunno del 2020 proprio nel corso di un’assemblea di Lega A, il presidente federale era intervenuto telefonicamente mentre i presidenti discutevano di misure, aiuti e sostegni per affrontare la crisi. Preziosi telefonò a Gravina e mise in viva voce, il presidente federale assicurò come l’Uefa e Ceferin stessero approntando un provvedimento che – ex abrupto – avrebbe portato alla decurtazione del 30% degli stipendi dei calciatori. Niente da fare. Come niente sarebbe successo in seguito. Al di là di estemporanei provvedimenti sul pagamento di qualche mensilità da parte delle società e sui versamenti. Niente di niente, nel corso di questi ultimi dodici mesi. Draghi e il Tesoro avrebbero poi fatto carta straccia di quel progetto – Fenice – approntato dalla Figc di fretta e furia in estate (leggi qui) e presentato per suturare una perdita superiore ai due miliardi dell’intero comparto pallonaro. Ne chiedeva uno: almeno mezzo miliardo subito, grazie a una “concessione di garanzie e/o finanziamenti statali in relazione ad un ammontare di debito pari a 500 milioni di euro”, senza contare poi il resto e cioè sgravi, sospensione delle passività fiscali, sospensione dei versamenti Irpef, rateizzazioni, ripristino delle sponsorizzazioni da betting che erano state vietate. Una richiesta da un miliardo di euro. Richieste formulate in base ad uno studio affidato – in partnership con la Lega A – alla società di revisione PwC, società di revisione che però nel disclaimer prendeva le distanze da quello studio perché basato su dati forniti da Figc e Lega: “Non forniamo alcuna garanzia sulla correttezza e completezza delle informazioni riportate nella relazione”. Per Draghi carta straccia, come per il ministro del Tesoro Franco, in imbarazzo il suo capo di gabinetto, il consigliere di Stato Giuseppe Chinè che è pure capo della Procura Figc. Fastidio e irritazione crescenti, sfociati poi in autentica ira governativa a inizio settembre (leggi qui) quando con un provvedimento (comunicato numero 73/2021), Gravina sospendeva fino a data da destinarsi l’obbligo dei versamenti contributivi e fiscali previsti per il 30 settembre e il 16 novembre per le società di serie A. E i deferimenti, le ammende e le penalizzazioni previste dalle Noif in caso d’inadempienza dei club? Boh, tutto sospeso. Uno sconfinamento poi, quasi come un invito alla disobbedienza fiscale. Come un Masaniello qualsiasi, costretto a spiegare avrebbe finito con l’allargare il buco, «non ho mai deliberato la sospensione dei pagamenti. Ho solo sospeso il controllo federale». Ancora una volta Paolo Scaroni, presidente del Milan, nei panni del mediatore per placare l’ira di Draghi, per cercare di riavvicinare due Palazzi che continuano a parlare idiomi diversi. Adesso è sempre più baruffa in via Rosellini. Il ritorno attivo sulla scena di Claudio Lotito dopo l’inibizione, ha riallungato i tempi delle discussioni e ripreso temi e nodi che parevano sospesi. Come ad esempio quello dei pagamenti degli stipendi e dei versamenti fiscali e contributivi da parte dei club.
Baruffe e veleni. Negli ultimi due mesi i toni sono diventati accesi anche lontano dalla sede della Lega, a Milano. In video e attraverso comunicati stampa, presidenti e dirigenti si rinfacciano accuse e sospetti. Chi è in regola con i conti e chi no, chi opera sul mercato pur non potendo grazie a deroghe, sospensioni, artifici finanziari ed equilibrismi di bilancio, indici di liquidità e plusvalenze: una competizione falsata, taroccata, non regolare. Tanto che in Lega qualche società ha recentemente proposto: visto l’accordo in essere con l’Agenzia delle Entrate, perché non mettere in funzione un portale attraverso il quale ogni società può aver conto della propria situazione e di quella degli altri club? Una proposta che ha investito Dal Pino e che avrebbe provocato irritazione e sdegno in Gravina: ma come, non vi fidate di me, di quello che vi dico, non vi fidate dei controlli della Covisoc e della Figc? Evidentemente molti club non si fidano. Non si fidano più. Il livello di scontro si è alzato e di molto, come i toni. Mentre l’ad De Siervo osserva in silenzio, Dal Pino fatica a contenere, stretto com’è nel doppio ruolo: è presidente di Lega ma pure vice-presidente vicario di Gravina in Figc. Solo a dicembre, ad esempio. «Se esiste una concorrenza sleale? – così Aurelio De Laurentiis a inizio dicembre – non devo dirlo io, ci si arriva da soli. Questa è responsabilità della Federcalcio. La Lega, se è un’associazione di società per azioni, dunque indipendente, dovrebbe pagare la Federcalcio e la Federcalcio non dovrebbe fare nulla, se non segretariato per cosette così. Invece è diventato un centro di potere. Uno istituzionalmente si mette la medaglia». Gravina di rimando, il 21 dicembre. «De Laurentiis ha detto una grande verità: la federazione è un centro di potere. E io sono qui per esercitarlo. Ma ricordo a De Laurentiis che anche la Lega di Serie A ha il potere. E mi chiedo: è avere potere non eleggere un candidato indipendente da 4 anni? Da 5 anni non c’è un vicepresidente perché non si mettono d’accordo. Io dovrei fare attività di segretariato a soggetti che non sanno fare nemmeno questo? Se qualcuno pensa che esercitare il potere significa mettere fuori dalla porta alcuni soggetti allora sì, esercito il potere». Per non dire ad esempio del continuo botta e risposta tra Fiorentina e Inter, tra le accuse di Commisso, «scudetto falsato, l’Inter andava penalizzata» e la risposta del dg nerazzurro Antonello, «ogni club pensi ai propri conti», culminato poi con una nota stampa del club viola, “…ci auguriamo che le ultime inchieste giornalistiche e delle Autorità preposte, possano contribuire ad analizzare al meglio lo stato di salute delle Società, per intervenire in tempi rapidi ed efficaci nel rispetto sia di chi segue le regole ma soprattutto dei tifosi, che devono avere la garanzia di assistere a una competizione paritetica che non lascia dubbi o cattive interpretazioni…che sia manifesto a chiaro a tutti ad esempio l’indice di liquidità di ogni club visto l’avvicinarsi del mercato invernale, e che sia chiaro lo stato dei pagamenti e dei versamenti di tutte le società”. Una disfida conclusa con un acceso diverbio in assemblea tra Marotta e Barone il 16 dicembre. Proprio quel giorno, proprio per mettere fine a sospetti e baruffe, l’assemblea della serie A deliberava: “Con riferimento al rinvio del termine delle verifiche federali di pagamento degli emolumenti e delle imposte e contributi, al momento fissato al 16 febbraio, nell’ottica di salvaguardia della regolarità della competizione e nel rispetto delle regole stabilite a inizio stagione, la Lega Serie A non ritiene necessario alcun spostamento e/o sospensione delle scadenze in questione”. Il riferimento preciso e deciso a quel provvedimento di sospensione varato da Gravina a settembre, un altro smacco al presidente federale. Che, messo spalle al muro, il 21 dicembre al termine del consiglio federale, rendeva noto nel comunicato numero 131. “Le società di serie A dovranno dimostrare ai fini dei controlli federali, entro il termine del 16 febbraio 2022, il versamento delle ritenute Irpef relative alle mensilità di marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre 2021 ed il versamento dei contributi Inps relativi alle mensilità di giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre 2021”. Dieci mesi di Irpef e 6 di Inps, senza contare Iva, Ires e Irap. Numeri da mezzo miliardo di euro, l’ultimo report ufficiale sullo stato dei pagamenti del club di serie A è del 31 agosto. Di lì, il silenzio. Nei mesi a venire qualche società ha regolarmente pagato, molte altre hanno invece usufruito della sospensione varata da Gravina e non dallo Stato che dovrebbe incassare. Però l’anno è finito, i nodi sono arrivati al pettine. Però il pettine tricolore ha trovato un’altra matassa. E così, ristabilito l’obbligo del versamento, ecco arrivare un’altra scappatoia per le società di calcio. Messe spalle al muro, costrette a pagare e versare – alcuni club parecchi mesi – costrette a mettersi in regola per evitare penalizzazioni e impasse sul mercato, molte società hanno cominciato a chiedersi: e adesso questi soldi dove li prendiamo? E come facciamo se praticamente tutte le richieste della Figc non sono state approvate dal Governo e non inserite nelle misure della Legge di Bilancio?

La Finanziaria e l’emendamento. Quasi allo scadere, il 27 dicembre, nella Legge di Bilancio (la 234) è stato però approvato dal Parlamento un emendamento. All’articolo 51 è seguito l’articolo 51 bis su proposta dei senatori di Fratelli d’Italia De Bertoldi e Calandrini: ha trovato ampio consenso e voti necessari, senza nemmeno la copertura. “Considerato che l’emergenza epidemiologica ha avuto un drammatico impatto sulle associazioni e società dilettantistiche e professionistiche”, è stato decisa la sospensione dei pagamenti delle ritenute Irpef, degli adempimenti previdenziali e assicurativi, dei versamenti Iva. Per i primi 4 mesi, cioè da gennaio a aprile 2022. Tutti da pagarsi, senza applicazioni di sanzioni e interessi: o in unica soluzione a maggio, o in sette rate, e cioè da maggio a dicembre. Tra l’altro questa rateizzazione potrebbe subire un’ulteriore modifica, a vantaggio delle società: è allo studio infatti la possibilità che questi adempimenti vengano spalmati in venti mesi. In soldoni, è un’operazione valutata in 444 milioni di euro. Un aiuto, un sostegno alle società di calcio soprattutto, soprattutto ai club di A, un aiuto che i presidenti fanno però già finta di aver dimenticato. Irpef, Inps, Iva, Ires e Irap: un aiuto sostanziale. Cosa produce, per i club di A? Facciamo il caso pratico. Osservando la norma federale, il 16 febbraio dovranno dimostrare di aver pagato gli stipendi di ottobre, novembre e dicembre, oltre ai versamenti Irpef e Inps. L’Inps vale il 33% dello stipendio lordo ma ha un massimale, mentre l’aliquota Irpef è del 43%: scatta per stipendi superiori ai 75mila euro lordi mensili e dunque è ragionevole pensare come sia l’aliquota di quasi tutti i calciatori di A e dunque il conto dell’Irpef è assai salato per le società, specie per i contratti milionari dei propri calciatori. Il versamento dell’Irpef però è competenza che scatta il mese successivo al pagamento dello stipendio: cioè se un club ha pagato lo stipendio di novembre a novembre ad esempio, deve versare l’Irpef nel mese successivo, e cioè a dicembre. Se invece lo stipendio l’ha pagato a gennaio oppure lo pagherà entro il 15 febbraio 2022, il versamento dell’Irpef dovrebbe toccarle a marzo. Ma i versamenti di marzo 2022 sono stati sospesi: sospesi come quelli di gennaio, febbraio e aprile, grazie all’emendamento inserito nella Legge di Bilancio. Dunque, ancor più in soldoni: se una società di serie A – e ci sono i casi – dovesse pagare gli stipendi dell’ultimo trimestre 2021 da gennaio al 15 febbraio 2022, avrà sospesi tutti i versamenti contributivi e adempimenti fiscali almeno fino a maggio. Chi invece – e ci sono i casi – ha pagato gli stipendi (almeno due) entro novembre 2021, dovrà adempiere all’obbligo dei versamenti. Una bella beffa per alcuni club, un altro bel regalo sotto l’albero per altri. Comunque, un’altra bella boccata d’ossigeno per i conti dei club specie di serie A. Niente tasse, niente contributi e niente Iva, almeno per un altro po’. Sembra di sentirla quella voce. «Il sistema professionistico del calcio italiano è tra i primi dieci comparti industriali del Paese. Ha subito nell’ultimo anno danni per un miliardo di euro. Per ogni euro assegnato al calcio, il calcio ne restituisce 16 alle casse pubbliche». È la voce di Gabriele Gravina. La voce del calcio italiano attuale.