Gravina contro Draghi, soldi alla cultura e non al pallone. Ma dalla Figc parte una mail: tutti alla Divina Commedia Musical

Il presidente Figc continua nelle richieste di ristori e nei paragoni. Intanto da un ufficio di via Allegri parte un invito a dirigenti e dipendenti: biglietti a prezzi ridotti per uno spettacolo teatrale prodotto da una società del "Gruppo Gravina" gestita dai figli. Gli sponsor e la mascotte della nazionale. Il botta e risposta con il sottosegretario Vezzali
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Un inferno, il calcio italiano. Affondato com’è in una bolgia gigantesca, oscura, melmosa: debiti e deroghe, protocolli che nascono e muoiono all’alba. Incapace di fissare regole, di trovare una visione. Travolto da prebende e illeciti, risse e ricorsi. Deferimenti e inchieste (federali) giacciono sotto la polvere in via Campania a Roma mentre inchieste e indagini sono al vaglio di svariate Procure (Roma, Milano, Torino, Perugia e altre) della Repubblica. La polvere e il fango hanno completamente avvolto il pallone italiano. Sgonfio, il cuoio è diventato uno straccio. Non ha appeal all’estero, non è più credibile nemmeno agli occhi di chi aveva appoggiato, fiancheggiato e favorito il nuovo corso. “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”. Se potesse avere un attimo di respiro, il presidente federale Gabriele Gravina declinando i primi versi della Divina Commedia s’accorgerebbe di ritrovarsi proprio lui lì e così: in una selva oscura, la diritta via smarrita. All’inferno.

Promesse e filastrocche. “La partita per il futuro”: era questo il titolo del suo programma elettorale, la promessa di rinnovamento e riforme che avrebbe dovuto traghettare il calcio italiano dal limbo al paradiso passò con il 73% dei voti appena un anno fa. Il libro dei sogni era di 132 pagine: nemmeno un punto è diventato realtà. Niente. Tutta colpa degli altri però. Colpa dei presidenti che si oppongono alle riforme, delle Leghe che coltivano solo interessi personali, dei magistrati e della Consob che non capiscono come le plusvalenze non siano un artificio, del virus che ingrato s’è abbattuto sul pallone italiano, della Svizzera che non s’è scansata davanti alla nazionale di Mancini, degli stranieri che non consentono agli italiani di crescere, dei procuratori che ingordi incassano provvigioni esagerate, degli arbitri che tremano col fischietto. Soprattutto è colpa del Governo, che non vuole riconoscere miliardi e ristori, che non cancella le imposte e non differisce con termini ancor più dilatati il pagamento delle tasse. Lui ci prova, urla, ma niente. Mentre persino Malagò si sfila c’è Draghi che continua a non sentirci, la Vezzali anche. Sempre più debole, isolato, persino qualche suo grande elettore ha cominciato a smarcarsi. Gravina l’ha capito, resta tenacemente aggrappato alla speranza che la Nazionale conquisti i Mondiali, altrimenti il suo destino in via Allegri – come già successo per i suoi predecessori – sarebbe segnato: intanto incrocia le dita e continua nella filastrocca. Nella litania. Da settembre in poi sempre la stessa, nell’ultimo mese ormai è diventata un martellamento. “Perché il Governo concede i ristori al mondo dello spettacolo e della cultura e al calcio no?”. Lo dice lui, poi lo dice il suo vice-presidente federale (e presidente di Lega A) Dal Pino, poi lo dice Cairo e lo scrivono i suoi quotidiani, poi lo dice il consigliere di Lega Scaroni e poi lo dice l’amministratore delegato della Lega A Luigi De Siervo, stipendio da 800mila euro l’anno più bonus che ha appena messo sul tavolo questa proposta, «i giocatori dovrebbero rinunciare almeno ad un mese dei loro emolumenti, non possono girarsi dall’altra parte mentre la barca affonda». Un chiodo fisso. A turno, a testa. Ogni santo giorno. «Se i ristori non arrivano? Non può accadere. Il calcio traina l’economia, coinvolge dodici settori merceologici diversi, vale una percentuale importante del pil e produce un gettito fiscale di oltre un miliardo. Merita almeno la stessa dignità di settori come cinema e teatro. Ci aspettiamo almeno un miliardo, si tratta di mettersi d’accordo solo sulle modalità». Così s’era espresso due giorni prima dell’ultimo decreto del Governo in un’intervista al Corriere dello Sport. Niente, nemmeno stavolta. Solo le briciole. Anzi, nemmeno quelle. Eppure Gravina lo sa: per il calcio non è il momento di chiedere soldi, i fondi non ci sono, ci sono settori economici e sociali che ne hanno realmente bisogno e poi ha già avuto grazie a quel comma nella Legge di Bilancio di fine anno. Lo sa bene che non è musica e non è aria: il presidente federale ha canali assai privilegiati con i quali poter interloquire. Il procuratore capo della Figc è Giuseppe Chinè che è capo gabinetto del Ministero dell’Economia, il giudice sportivo della serie A è Gerardo Mastrandrea che è il capo dell’Ufficio Coordinamento legislativo del Mef. Due figure apicali al Ministero di via XX Settembre. Perché continuare allora nella logorante filastrocca? Chi lo conosce a fondo, ne disegna la tattica: “È il modo di Gravina di mollare la responsabilità sugli altri. Lui annuncia i ristori che poi non arrivano: così pensa di scaricare le colpe sul Governo, sul premier, sul ministro Franco e sul ministro Speranza, sulla Vezzali. Lui ci prova sempre, sempre a buttare la palla dall’altra parte”. Un saggio cinese disse, secoli fa: “La tattica senza strategia è la via più breve per la sconfitta”. Intanto in Italia la palla continua a tornare indietro, nella metà campo Figc. Affilata e pericolosa, come un boomerang.

La lettera, la mail, l’invito. È successo un’altra volta. Dopo l’ultimo smacco. L’altro ieri Gravina ha preso carta e penna e su carta Figc ha scritto in tarda serata al sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali una lettera, protocollata col numero 11313/presidenza. Oggetto: richiesta istituzione tavolo tecnico, individuazione misure di ristoro sistema calcio. “Illustre sottosegretario, cara Valentina, in spirito di leale collaborazione ritengo necessario e opportuno…”. E via così, la solita solfa: i numeri della crisi del calcio professionistico, l’impatto del Covid, i mancati ricavi. Poi, l’invasione di campo, come non gli fosse bastata quella di settembre quando aveva deciso di sospendere versamenti e adempimenti fiscali (leggi qui), correggendosi poi con la “sospensione” dei controlli Covisoc. Niente.Gli sforzi da te compiuti non sono stati sufficienti a indurre il Legislatore a dare una compiuta risposta alle emergenze del sistema calcio, ti chiedo di costituire un tavolo tecnico con tutti i Ministeri coinvolti, a partire da quello dell’Economia per individuare i necessari e non più procrastinabili interventi di ristoro”. Attenta, veloce e decisa così come quando era una tigre in pedana, la stoccata di Valentina Vezzali è arrivata. Subito. A fondo. La firma digitale, la penna su carta intestata “Presidenza Consiglio dei Ministri, sottosegretario allo Sport”. “Caro Presidente, caro Gabriele. Condivido le preoccupazioni che riporti…”. Dopo aver sottolineato come siano numerosele criticità e le difficoltà del mondo dello sport” (dunque non solo il calcio come vorrebbe Gravina), dopo aver sottolineato comeil confronto debba avvenire per attuare una riforma strutturale di tutto il comparto sportivo(dunque aiuti sì ma in presenza di riforme serie e garanzie), ha ricordato comegli interventi del Governo hanno prodotto ossigeno per tutto il settore, come ad esempio la disposizione inserita nella Legge di Bilancio che prevede la sospensione dall’1 gennaio al 30 aprile 2022 dei versamenti delle ritenute fiscali e previdenziali”. Dunque: avete già avuto un aiuto concreto, rinviare il pagamento delle tasse e delle imposte. Quanto ai ristori, non sempre i conti tornano, persino sui tamponi (leggi qui). Basta lamentele e colpi bassi. Tocca a voi adesso fare le riforme. È un copione che va avanti da mesi, da luglio. Gravina scrive, chiede soldi, promette interventi e riforme, ma poi nulla. È da luglio poi che ha preso una sonora scoppola, quel progetto Fenice raffazzonato: bocciato senza appello, anzi accartocciato (leggi qui). Adesso la lettera della Vezzali che si conclude contutti insieme dobbiamo remare dalla stessa parte con leale spirito di collaborazioneè arrivata ieri sera sul tavolo del presidente federale. Oggi Gravina è impegnato in nuovo consiglio federale nel quale dovrà affrontare le tante richieste delle società e delle Leghe, non ultima la disperata richiesta della Lega B (leggi qui). Perché l’inferno continua. Servirebbe un momento di svago per tutti, magari servirebbe ripassare tutti insieme i versi della Divina Commedia. Un’opera senza tempo. Se poi fosse tradotta in un musical contemporaneo, ancora meglio. Deve esser forse per questo che proprio in queste ore da un ufficio di via Allegri è partita una mail indirizzata alla casella di posta elettronica di tutti i dipendenti Figc, dei dirigenti, dei consiglieri federali. È un invito.Abbiamo il piacere di informarvi che è possibile acquistare a un prezzo agevolato i biglietti dello spettacolo “La Divina Commedia – Opera Musical” al Teatro Brancaccio di Roma”. Lo spettacolo è prodotto e realizzato dalla “MIC srl”, ovvero Musical International Company: la società ha la sede sociale a piazza Buenos Aires a Roma, la società fa parte della capogruppo “Gruppo Gravina” fondata da Gabriele Gravina e nella quale hanno compiti di responsabilità e conduzione – specie ora che il papà è preso da tanti impegni pallonari – i figli Francesco e Leonardo. La “Mic srl” da oltre dieci anni produce questo kolossal in forma di musical, è una produzione che ha crediti e sponsor di rilievo, è uno spettacolo – si legge – che “a oggi ha avuto più di un milione di spettatori, e oltre 500.000 studenti hanno potuto vedere il capolavoro di Dante Alighieri. La collaborazione con il tre volte premio Oscar Carlo Rambaldi, il creatore di E.T., ha permesso a quest’opera di avere un largo successo di pubblico ed a conseguire importanti premi come la medaglia d’oro della Fondazione Dante Alighieri ed il premio musical dell’anno nel 2008”. È uno spettacolo che porta e promuove nei teatri, nelle piazze, nelle scuole, la cultura. La Divina Commedia di Dante, lo scorso anno 700 anni dalla nascita.

Lo spettacolo, gli intrecci, gli sponsor e la mascotte. Anche la “Divina Commedia-Opera Musical”, come tutte le produzioni italiane di cultura e spettacolo, ha sofferto e sta soffrendo per il periodo. Teatri e scuole chiuse, tanti appuntamenti rinviati, saltati. È un settore che ha per questo ricevuto sostegni e ristori dal Governo. Dovrebbe saperlo bene Gabriele Gravina che intanto chiede soldi per il suo pallone col solito paragone. «Perché alla cultura sì e a noi no». Non si vive di solo calcio, però. La cultura è importante. Anche la “Mic srl” non si ferma, va avanti. Il cartellone è pieno di appuntamenti in tutta Italia (è saltato quello previsto a Brescia tra qualche giorno), è invece ancora in agenda quello a Roma. Dall’1 al 6 marzo, al teatro Brancaccio, prezzi dai 49 ai 17 euro, prezzi agevolati c’è scritto nell’invito spedito dall’indirizzo mail di un ufficio della Figc e girato – per conoscenza anche alla segreteria della presidenza – a tutti i dipendenti, i dirigenti e i consiglieri Figc. L’opera ha il patrocinio della società DA Dante Alighieri, ha il sostegno del Mic (direzione generale spettacolo) che è un dipartimento del Ministero dei Beni Culturali, ha come sponsor la Tim, come media partner Radio Italia, come Educational partner Poste Italiane e la Bnl, come vettore ufficiale Frecciarossa, come city partner Ali Lavoro. Curiosamente, rileggendo i nomi degli sponsor e dei partner commerciali della Figc, se ne ritrova qualcuno in comune con la federazione. È il caso della Tim, è il caso di Poste Italiane, è il caso di Radio Italia, è il caso di Ali lavoro. È persino il caso di Frecciarossa, partner ufficiale della Supercoppa appena giocata a Milano tra Inter e Juventus, disputatasi appena qualche giorno prima che la capienza negli stadi venisse ridotta a cinquemila presenze accogliendo così il diktat governativo, provando a barattare protocolli farseschi in cambio di ristori (leggi qui). L’impresa è una cosa seria. Come funziona lo dovrebbe sapere l’imprenditore Gravina, a capo di un gruppo (e con partecipazioni societarie) di società impegnate nel campo delle costruzioni, delle ristrutturazioni, dell’immobiliare, dell’energia e dell’ambiente, dello sport e finanche dello spettacolo. Gli impegni calcistici, la presidenza della Figc e l’ingresso nel direttivo Uefa l’hanno di certo un po’ allontanato dalla realtà imprenditoriale, anche per questioni di trasparenza. La sua testa e i suoi impegni, i suoi sforzi, sono tutti tesi al sistema calcio. Magari anche per questo ad aprile con una delibera federale il suo stipendio-rimborso è passato dai 36mila euro ai 240 mila, quasi 400mila con quello che gli deriva dall’incarico Uefa. Per anni vice-presidente e membro del comitato esecutivo della Bcc di Roma, la banca di credito cooperativo laziale, dal nulla a metà degli anni ’90 col rettore dell’Università di Teramo Luciano Russi creò il polo di studi sullo sport ad Atri, il primo in Europa, cresciuto fino a diventare un corso di laurea. Quell’esperienza riuscì a coinvolgere tanti studiosi della materia e le più alte sfere del calcio europeo, tra cui Gianni Infantino, oggi presidente Fifa. Ad Atri, il paese natiò di Roberto Renzi, romano d’azione, imprenditore nel ramo costruzioni e immobiliare, proprietario della Sambenedettese protagonista di un’estate rovente e al centro di un intrigo di cui appena due settimane fa si è occupata la trasmissione Report di Raitre (leggi qui). Curiosamente, nella scaletta della puntata che si è occupata di Claudio Lotito, era previsto anche un servizio sul caso Sambenedettese e sull’interessamento di Bucci, sollecitato e sponsorizzato dal patron laziale. Spezzone saltato in tv ma visibile sul canale social della trasmissione. Chissà perché? È la domanda che da giorni rimbalza, come da mesi invece ne rimbalza un’altra. Sempre legata a Gravina, alla Figc, alla “Mic srl” e alla sua Divina Commedia Opera Musical”, al bozzetto donato da Carlo Rambaldi (l’ideatore di personaggi e costumi per la Divina Commedia Opera Musical) a Gabriele Gravina, un pupazzo – un cucciolo di pastore abruzzese-maremmano – diventato mascotte della nazionale tra la sorpresa generale con un annuncio in diretta Rai nel programma di Amadeus sulla missione azzurra agli Europei. Per rinfrescare la memoria basta rileggere l’articolo di giugno (leggi qui), tanti a chiedersi: ma è la mascotte dell’Italia o di Gravina? Sono passati sette mesi. Quella mascotte è ancora senza nome, non è ancora in vendita. Se ne sta in una teca mentre il calcio italiano brucia. Mentre arde dentro un inferno. Magari, perché non farci un altro musical?

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