Una giornata di fuoco. Una giornata campale. Mentre a Roma i 1008 grandi elettori proveranno a eleggere il nuovo presidente della Repubblica, a Milano i venti presidenti di serie A si riuniranno per eleggere il consigliere indipendente mettendo così da parte divisioni e spaccature. “Tutto può succedere, la rosa dei nomi è stata valutata, ma come sempre potrebbe uscire un nome a sorpresa, vediamo se i blocchi si smuovono…”: così dice un qualificato dirigente di serie A a poche ore dalla riunione. È il terzo punto all’ordine del giorno, un punto così importante tanto da aver costretto a cambiare persino location. “Ritenuta l’importanza della riunione assembleare per la molteplicità degli argomenti, tra cui un punto elettivo, si è deciso di spostare la riunione in un luogo più sicuro per spazi e logistica”: così c’è scritto nel comunicato della Lega A che una settimana fa ne annunciava lo spostamento. Si trasloca. Dalla sede istituzionale di via Rosellini al lussuoso Sheraton. A Milano, nei saloni dell’albergo, i venti presidenti di serie A ad ora di pranzo cercheranno un’intesa. Il punto è nodale, fondamentale: la casella è vuota da un anno. Cinque votazioni, baruffe, veti incrociati e nulla di fatto. È dallo scorso febbraio che i presidenti litigano per questa nomina. Rieletto a fatica il presidente Paolo Dal Pino, riconfermato l’ad Luigi De Siervo, affidato a Lotito e Marotta il compito di rappresentare gli interessi della Lega in consiglio federale, erano stati eletti a consiglieri Percassi (Atalanta), Giulini (Cagliari), Setti (Verona) e Scaroni (Milan): è da febbraio che la poltrona del settimo consigliere resta vuota, non completato il consiglio di Lega dopo l’addio a Maurizio Casasco. Una casella importante, decisiva nelle votazioni su questioni importanti, strategiche. Come l’ingresso dei fondi di private equity in A: tanto che plasticamente proprio la spaccatura nella trattativa (mancava solo la firma) con il fondo britannico CVC Capital Partners in cordata con Advent e Fsi per l’acquisto del 10% della media-company di A (1,6 miliardi di euro nelle boccheggianti casse dei club italiani) avrebbe spostato la mira su questa altra casella. Quella del settimo uomo, decisivo nello spostare equilibri in una contrapposizione che va avanti da tempo. Da un anno almeno. Dalla guerra tra il gruppo Gravina-Dal Pino-Cairo–Scaroni e quello guidato da Lotito e De Laurentiis. Due blocchi intorno ai quali girano interessi e alleanze. Due blocchi che oggi proveranno a raggiungere un’intesa. Fondi sì e fondi no: dopo un anno la questione in fondo resta sempre la stessa.
I candidati. È la sesta votazione, il quorum si è abbassato. Adesso bastano undici voti per eleggere il consigliere indipendente. “Tutto può succedere” ripete la voce di un dirigente che fino a ieri notte valutava le ipotesi, i nomi sul tavolo. Come spesso avviene, la sorpresa volteggia per aria. Nelle ultime ore una voce sottile e suadente consiglia prudenza. “È vero, il quorum si è abbassato, potrebbe finalmente uscire il settimo consigliere, ma mai dire mai: si è lavorato per un nome di alto profilo, davvero indipendente, magari una donna, chissà…”. Chissà, spesso chi entra nel conclave da papa ne esce cardinale. Però. Però i nomi dei due candidati, le figure dei due blocchi, sono sul tavolo. Il primo nome sarebbe quello di Ezio Maria Simonelli che avrebbe fagocitato quello di Umberto Gandini, ex Milan e attuale presidente della Lega Basket A. Gandini però smentisce qualiasi ipotesi e pensiero calcistico, nè di avere avuto sollecitazioni: sta bene in Lega basket dove il lavoro è proficuo. Simonelli è un commercialista di Macerata che ha da anni il centro degli affari a Milano, dove dirige uno studio legale tributario che porta il suo nome. Ha una sfilza d’incarichi in collegi sindacali, organismi di controllo contabile delle società. È stato per sei anni nel collegio sindacale di Mediaset. È nel collegio sindacale di Mondadori, un’altra società controllata dalla Fininvest, è stato fino a febbraio 2014 presidente del collegio sindacale di Mediolanum. Un anno fa era il candidato forte alla presidenza della Lega B, sacrificato poi da Adriano Galliani nell’intesa con Gravina che avrebbe portato alla rielezione del presidente federale e all’intesa su Balata come presidente della Lega B. Simonelli è l’espressione quindi del blocco federale e degli attuali vertici della Lega A. Il blocco potrebbe anche a sorpresa (ma mica tanto) riproporre chissà quello di Gianni De Gennaro, l’ex capo della Polizia, il candidato tirato fuori a giugno e poi costretto alla ritirata prima di riunirsi al voto. Dall’altra parte, l’altro blocco, dovrebbe riproporre invece la candidatura di Gaetano Blandini, direttore generale della Siae. È il candidato del gruppo che si riunisce intorno a Lotito, deciso ancora a riprendersi la scena, a recuperare terreno e consenso, deciso più che mai ad ostacolare i piani della quaterna Gravina-Dal Pino-Scaroni-Cairo. Su quanti voti riuscirà a contare il candidato della “minoranza”? Si arriverà all’intesa, si approderà all’elezione? «Io dovrei farmi dettare l’agenda da presidenti che da un anno non si mettono d’accordo su un nome?»: così Gravina un mese fa ancora una volta provava a mettere voce sulle scelte dei presidenti di serie A. È da un anno che la poltrona resta vuota: adesso c’è bisogno di accelerare, di riproporre il tema dei fondi. Stoppato un anno fa, a cascata sarebbe stata congelata la nomina del settimo consigliere, una pedina fondamentale per le decisioni strategiche. È così da un anno, dalla prima votazione. Allora dal cilindro di Scaroni era emersa la candidatura di Fulvio Conti, ex presidente di Telecom Italia che il presidente rossonero aveva conosciuto ai tempi di Enel e Eni. Sarebbe stata l’ultima casella da incastrare, l’uomo della maggioranza in una maggioranza però senza il quorum necessario. Dall’altra parte c’era il gruppo guidato Lotito e De Laurentiis che avrebbe poi ricevuto il sostegno di Inter, Juve, Atalanta, Fiorentina e Verona, le sette società che poi due mesi dopo avrebbero “sfiduciato” Dal Pino chiedendone le dimissioni. Il candidato del gruppo era (e resta anche oggi?) Gaetano Blandini, direttore della Siae e assai vicino a Gianni Letta. L’esito della votazione sul consigliere indipendente avrebbe così esattamente un anno fa plasticamente manifestato la spaccatura in seno alla Lega. Dieci voti a Conti, sette per Blandini, due astenuti e una scheda bianca. Niente da fare, anzi tutto da rifare. Da febbraio 2021 a gennaio 2022 di acqua ne è caduta sotto i ponti: altre cinque votazioni ma nulla. Il calcio italiano però è sempre più in crisi, lacerato da una crisi economica e finanziaria che proprio il sistema calcio e i suoi dirigenti hanno prodotto. Lacerati e divisi (il battibecco tra Dal Pino e Marotta nella penultima assemblea di Lega ha raggiunto toni accesi assai, «smettila di criticare la Lega sui giornali» aveva tuonato Dal Pino, «mi accusi di cose che non ho mai detto sui giornali, ma se non si può nemmeno esprimere un parere all’interno dell’assemblea quale democrazia esisterebbe in questo consesso?», avrebbe risposto l’ad dell’Inter), i presidenti di A proveranno oggi a far fronte comune. L’ultima assemblea, quella del 13 gennaio, ha prodotto una lettera che Dal Pino ha inviato alla Vezzali e al Governo: “Senza ristori e aiuti concreti siamo pronti a gettare la spugna”. Potrebbero continuare a chiedere soldi e sostegni presentandosi sempre così, spaccati e divisi, lacerati e incapaci di decidere sul settimo consigliere? Chissà.
Principi informatori e fondi. Nell’assemblea si discuterà di un altro punto fondamentale. È il punto 4, subito dopo quello dell’elezione del consigliere indipendente. È l’adeguamento dello Statuto di Lega A ai principi informatori approvato dalla Figc il 25 novembre. È un altro punto fondamentale, oggetto di uno scontro violento, di una contrapposizione senza quartiere. Gravina – che intanto ha ottenuto il sì di Lega B e LegaPro – tuona e minaccia. Minaccia persino la nomina di un commissario ad acta (Dal Pino gli ha già detto di sì) che riscriva lo statuto della Lega A se non si arriverà oggi al sì. Perché? Perché l’adeguamento significherebbe abbassare il quorum necessario nelle votazioni strategiche, quali ad esempio quelle sull’ingresso dei fondi. Secondo il presidente federale e il gruppo di A che lo appoggia non si può continuare con i blocchi, le manfrine, le manovre, i ricatti, gli stalli. Secondo l’opposizione, significherebbe invece perdere autonomia, capacità decisionale, significherebbe lasciare le mani libere: basterebbero ad esempio undici voti in A (la maggioranza più uno) per assumere decisioni strategiche. In bilico la nomina del settimo consigliere, ancora più in bilico il sì al diktat federale. Molti presidenti sono decisi a chiedere un parere al Coni, passando così la velenosa palla a Gianni Malagò: sarebbe un autentico smacco per Gravina. L’assemblea tornerà poi a discutere di risorse e ristori, voterà (compatta) per il ripristino della capienza totale negli stadi da metà febbraio. Sono venti i presidenti al voto: per la prima volta toccherà votare anche al presidente della Salernitana, per sei mesi rappresentata da uno dei due trustee. Da oggi fa pieno ingresso Danilo Iervolino che dovrebbe collegarsi da remoto mentre fisicamente sarà un altro il rappresentante (il segretario Di Brogni?) allo Sheraton. «Mi farò ascoltare, proporrò le mie idee per cambiare il calcio», aveva detto nel primo giorno da presidente della Salernitana. Oggi farà la conoscenza del nuovo mondo: capirà presto l’aria che tira. Con chi si schiererà? Bah, intanto lui ci entra da “Mister Miliardo”, in fondo è l’imprenditore che ha ceduto Pegaso al fondo Cvc. Il tema dei fondi, sempre quello: quello che resta sul tappeto. Lo sa bene Iervolino, appena nominato “strategic advisor” dal fondo Vertis insieme a Massimo Della Ragione, da tre mesi nel cda della Juventus.