Governo-Figc, in arrivo nuovi ristori per i tamponi. Ma su quei 56 milioni già elargiti i conti ancora non tornano

Il Mef stanzia 50 milioni di euro per le società di calcio e chiede una precisa rendicontazione. La somma stanziata a settembre e girata alla varie Leghe è stata sfruttata infatti solo a metà: i distinguo tra costi sostenuti e quelli effettivamente pagati alla base del corto circuito. L'irritazione governativa, il lavoro di Gravina e Dal Pino, il ruolo di Vezzali e Malagò
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“Money, money, money”. Nella celebre canzone di Liza Minelli i money servono per far girare il mondo. Soldi, soldi, soldi. Il microfono da più di un anno se lo passano Gabriele Gravina e Paolo Dal Pino, presidente federale l’uno e presidente di Lega A e vice-presidente federale l’altro: i soldi servono a tenere in piedi la baracca del calcio professionistico e soprattutto per tenersi saldi sulla poltrona. Soldi, soldi, soldi: li chiedono al Governo cavalcando l’onda pandemica e il malumore dei club che sono proprio stanchi (eufemismo) di promesse non mantenute, d’impegni strombazzati, di riconoscimenti ottenuti che tramutati poi in comunicati stampa somigliano a una presa in giro. Stanchi delle briciole. Assediato – il calcio professionistico, soprattutto quello della serie A – dalle ire e dal malumore del Paese: ma come, questi chiedono continuamente aiuti e intanto sperperano, e intanto non pagano le tasse? Accerchiato – il calcio professionistico, soprattutto quello della serie A – da tutte le realtà del mondo sportivo italiano: ma perché i soldi e gli aiuti devono andare solo al pallone, e poi solo a quello dei miliardari? Intanto il presidente del Coni Gianni Malagò prova a metterci una pezza, «tutti hanno bisogno di aiuto, più grande sei e più problemi hai, a cominciare dalle squadre di calcio. Sono tanti i temi sul tavolo, in primis c’è il problema del caro energetico e delle maxi bollette» lavorando ai fianchi della sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali. Ex campionessa della scherma: una tigre in pedana, una tigre anche adesso in politica. Da quasi un anno deve sbrigarsela con dirigenti e istituzioni divise, distanti dal Paese reale, deve fronteggiare richieste e attacchi, colpi bassi e assalti alla cassa. E ci sta riuscendo. Da campionessa.

«Ristoro e dilazione fiscale per club e Figc? Con tanti settori in difficoltà o proprio in ginocchio, parlare di “aiuti di Stato” al calcio rischia di essere poco comprensibile per i cittadini». Così a fine luglio rispondeva alla nuova richiesta formulata da Gravina che aveva imbucato una lettera al Governo corredata dal “Progetto Fenice”, cavalcando l’onda della crisi (calcistica) e il successo all’Europeo (leggi qui). Progetto subito accartocciato da un infastidito premier Mario Draghi e da un irato ministro dell’Economia Daniele Franco. Un’estate bollente, culminata con la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi e dei controlli federali, decisa dal numero uno della Figc seguita dal goffo e mal riuscito tentativo di chiarimenti (leggi qui). Rapporti tesi, tesissimi: tanto che a Gravina più di qualche amico (Scaroni su tutti) avrebbe consigliato di tenere da lì in poi profilo basso e anzi, come uno scolaretto, di enfatizzare qualsiasi intervento governativo (anche il nulla) in favore del pallone. Lodi, lodi, lodi. E ringraziamenti. «È una notizia molto positiva che segue alla richiesta avanzata tempo fa al Governo con l’obiettivo di sostenere il nostro mondo attraverso un intervento economico di ristoro, al pari di altri importanti settori produttivi del nostro Paese, per le spese sostenute nell’applicazione dei protocolli sanitari. Con la firma di oggi le nostre società potranno usufruire di un aiuto concreto in una situazione generale che rimane particolarmente complessa, dalla Serie A ai Dilettanti. Rappresenta un risultato straordinario reso possibile dal gioco di squadra con le istituzioni, in particolare con la Sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali che ringrazio». Era il 16 settembre, così Gravina commentava l’adozione del Decreto con cui si sbloccava la distribuzione di 56 milioni di euro per il calcio professionistico, quello dilettantistico, il calcio femminile e il futsal. 56 milioni, questa la somma stanziata e girata alla Figc per far fronte alle spese sostenute dalle società per l’effettuazione dei tamponi e l’osservanza alle altre procedure previste dal protocollo (ad esempio, sanificazione dei locali e delle strutture). Sono passati quattro mesi, il piatto per Figc e Lega A è rimasto vuoto. Entrambe, passandosi il microfono, pressate dai presidenti dei club sempre più infuriati, hanno continuato a chiedere soldi. Aiuti di Stato. Interventi per oltre un miliardo di euro solo per la serie A. Il “Fondo Salva-calcio”. Cavalcando l’onda epidemiologica, sono così tornati all’assalto sotto la Befana. Dimentichi dell’aiuto in Finanziaria di fine anno (si sta lavorando persino per allargare l’arco temporale della sospensione e della rateizzazione di versamenti fiscali, adempimenti contributivi e sterilizzazione delle imposte, 444 milioni in tutto solo per la serie A) e barattando la limitazione nelle capienze degli stadi (leggi qui), hanno preso carta e penna. Dal Pino ha scritto una lettera alla Vezzali, «senza aiuti veri la Serie A è pronta a gettare la spugna», mentre i club di B (leggi qui) hanno scritto a Gravina chiedendo un intervento del consiglio federale da convocarsi ad horas (“altrimenti saltiamo”), Francesco Ghirelli (Lega Pro) ha provato a far sentire la propria voce pubblicando addirittura un volume (“Covid 19: il “maledetto”, il terribile transito dei club di serie C”) nel tentativo di spiegare come la sua Lega (ferma da parecchie settimane) abbia fronteggiato la pandemia. Parole. Il calcio vuole i fatti. Aspetta interventi concreti nel prossimo Decreto ristori, al quale sta lavorando il Governo. Al Mef – lì dove lavora come capo Gabinetto Giuseppe Chinè, anche procuratore capo della Figc – si fanno intanto i conti.

foto vezzali gravina
Gravina e Vezzali

Duecentosettanta i milioni che potrebbero arrivare allo sport. Duecento per fronteggiare all’aumento delle tariffe energetiche. Il cosiddetto “caro bolletta”. In bolletta, il calcio italiano si aspetta però ben altro. Per adesso dovrebbe accontentarsi di 50 milioni (86 destinati allo sport in generale) come ristori per “coprire” le spese sostenute per i tamponi. La curva epidemiologica è in ascesa, gli stadi sono vuoti, le procedure e i numeri di tamponi effettuati sono aumentate. Cinquanta milioni, da dividere tra le varie Leghe. Basteranno? La domanda rimbalza. Da via XX settembre, dove ha sede il Ministero dell’Economia, fino in via Allegri, dove ha sede la Figc. Bisogna fare i conti. “Questi soldi saranno tutti rendicontati e utilizzati?”. “Non è che succede come per i 56 milioni di settembre?”. “Non è che i soldi per i tamponi vengono poi invece utilizzati per altro?”. Le domande corrono nei corridoi. Si stampano, davanti ad alcune evidenze. S’incrociano davanti ad una specifica che ha lasciato dubbi, provocato qualche intoppo e anche qualche reciproca incomprensione. E, soprattutto, ha prodotto qualche altro corto circuito. Prima che altri milioni vengano “bruciati” o peggio ancora inutilizzati, meglio chiarirsi.

A settembre 2021 la Figc aveva ottenuto 56 milioni di euro. Soldi per coprire le spese per i tamponi sostenute dai club dal 24 ottobre 2020 al 31 agosto 2021. E li aveva distribuiti alle varie Leghe (per quella di A solo ai club con fatturato inferiore ai 100 milioni di euro): dalla serie A a scendere, fino al Futsal. Per ottenere il “ristoro” ogni club avrebbe dovuto rendicontare le spese sostenute. Sembra però che la Figc e le Leghe, nonostante avessero chiesto e ottenuto risorse ingenti dal Governo, abbiano utilizzato meno del 50% dei contributi. Questa differenza sarebbe stata dettata anche dalla sopravvalutazione operata dalle istituzioni sportive in ordine alle spese per l’effettuazione dei tamponi. Circostanza che avrebbe così generato uno stanziamento superiore alle reali necessità del mondo calcio a discapito di altri settori: in ambienti governativi la cosa pare non sia stata molto apprezzata. Precisazione doverosa, però: i contributi vengono erogati soltanto previa rendicontazione e quindi non sono stati distribuiti. Quasi il 50% dei 56 milioni è rimasto…inutilizzato. Tra serie A e B, su 22 milioni stanziati, non sarebbero stati rendicontati 12, non rendicontati 8 dei 14 stanziati alla Lega Pro, appena 3 dei 10 destinati alla Lega Dilettanti. Il corto circuito però sarebbe stato dovuto – in parte – anche ad una specifica mai chiarita nella circolare emanata. Cosa s’intende per spese sostenute? Quelle effettivamente pagate dai club per i tamponi e le altre procedure? Oppure quelle sostenute? La differenza è notevole: perché molti club – ad esempio in A la spesa media mensile fino a settembre 2021 era di circa 116mila euro – sta nei tempi. Molti club hanno stipulato convezioni con centri specializzati e ditte. I pagamenti non sono sempre mensili. A volte le fatture vengono emesse al termine di un periodo più lungo: dunque quel limite temporale (31 agosto 2021) e quella differenza tra “spese sostenute” e “spese pagate” ha difatti creato un corto circuito. Ha generato solo un effettivo parziale ristoro per i club. Che adesso si trovano a far fronte a nuove spese per i tamponi (il numero dei test è schizzato) e sanificazioni, a procedure più complesse che potrebbero portare anche alla creazione di “bolle” per proteggere il gruppo squadra. Le spese potrebbero riguardare, ad esempio, anche quelle effettuate per i trasporti. Il Governo vuole concedere un altro aiuto, conta però che i “ristori” sui tamponi siano tutti elargiti, che la rendicontazione sia puntuale e precisa, che qualche milione non venga magari stornato per altro. Per questo tra Mef e Figc continua il dialogo, la messa a punta del documento specifico. Cinquanta milioni sono in arrivo. Non basteranno a risanare i conti dei club. Ma che almeno siano un ristoro ai tamponi.

 

 

 

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