«Davanti alla disfatta mi è sembrato di stare in una puntata di Scherzi a parte». «Da dove si riparte? Facendo un’analisi delle proprie responsabilità, piuttosto che attribuirle ad altri. Mi auguro che adesso si volti pagina, come tutti i sistemi democratici presuppone un confronto che è anche elettorale ma che mi auguro sia sui contenuti, e che ci siano dei cambiamenti profondi». Dopo aver suonato la campana a Gravina e alla Figc, Abodi e Malagò suoneranno la campana anche alla Fip e al suo presidente Petrucci dopo l’ennesima, infausta, prova della nazionale di basket?
Maciullato, travolto, sommerso, affogato, accartocciato: al largo dei Caraibi, sotto gli occhi stralunati e il volto terreo del suo condottiero-conducator Gianni Petrucci, il pomposo vascello dell’Italbasket è affondato al primo colpetto di fucile. Non sono serviti nemmeno i cannoni per dissolvere una ciurma travestita da Nazionale che, all’appuntamento con la qualificazione olimpica, e dunque per la storia con la s maiuscola, si è presentata come fosse a una gita premio aziendale: agli avversari – prima Porto Rico, poi Lituania – è bastato solo lievemente pigiare sui tasti dell’energia, della voglia e della lucidità per sotterrare le velleità azzurre e plasticamente mettere a nudo le fragilità dell’intero movimento che si rispecchia nei risultati, ma ancor più nelle prestazioni, della sua Nazionale maggiore. Non c’è fotografia più cruda e obiettiva dei volti e delle espressioni degli azzurri, staff compreso: una resa incondizionata e umiliante, perché la spina è stata staccata ancor prima di scendere sul parquet. Senza idee, senza energie, senza una guida: l’eterea Italia contro la Lituania, nella gara dal dentro o fuori, non è mai stata nemmeno a contatto dell’avversario, la Lituania che non era (e non è) certo l’avversario ingiocabile di dieci anni fa. La Lituania, proprio l’avversaria battuta nella semifinale olimpica del 2004, l’esaltante abbrivio dell’ultimo successo dei cesti tricolore: è del 2004 l’ultima medaglia della Nazionale in una competizione internazionale. Dopo l’argento olimpico di Atene, il nulla. Per tre volte consecutive ha mancatao la qualificazione all’Olimpiade, nessuna medaglia ma soprattutto nessuna presenza significativa a un Mondiale e ancor meno a un Europeo (l’ultima medaglia il bronzo nel 2003), solo la qualificazione all’Olimpiade giapponese strappata tre anni fa grazie al “miracolo” di Belgrado. Invece sempre e solo modeste comparsate, celebrate però tra i soliti pomposi osanna della stampa nazionale, sostenute da un variegato e strampalato movimento popolato solo da signorsì e accompagnate dai soliti, ricorrenti alibi: gli infortuni a turno di questo o quello, la mancanza di stazza fisica, la presenza dei naturalizzati in alcune nazionali, la pallavolo che toglie il serbatoio e niente, l’elenco potrebbe continuare all’infinito ma meglio fermarsi per non inciampare nell’idiozia.
Un quadretto imbarazzante e stucchevole. Un quadretto nel quale vanno inseriti i risultati (e le immagini) delle altre Nazionali, ad esempio quella femminile la cui ultima medaglia risale addirittura a trenta anni fa (argento nel 1995), senza contare che, anche a livello di club, il basket italiano è ridotto ancor più a comparsa se si pensa che l’ultima vittoria di Eurolega è datata 2001. Un’odissea che dura da oltre vent’anni.
A questo punto e sul punto, ci sarà però subito chi farà notare come, mentre la Nazionale di Petrucci e dei suoi figliocci Pozzecco (come dimenticare l’attacco al Villeurbanne, il contratto part-time, etc etc..) e Datome (nominato responsabile unico delle nazionali appena un mese fa e tenuto a scaldarsi nel caso di sconfitta elettorale per fare da portacolore), la nazionale under 17 maschile stesse qualificandosi alla finale Mondiale da disputare contro gli Usa. Bene, benissimo. Bello, bellissimo. Peccato però che, così come accaduto negli ultimi vent’anni con gli sporadici successi continentali o iridati delle varie rappresentative nazionali (maschili e femminili), anche la sorte di questi talenti azzurri sia già inesorabilmente segnata, triturata da un campionato che di italiano ha soltanto la targa: qualcuno, forse, avrà la possibilità di raggranellare qualche gettone nella serie A italiana, il resto della truppa si consumerà, disperdendosi e deprimendosi, tra i campionati minori. Anche qui, sui motivi e sulle cause, sulle responsabilità, sulle promesse e sui progetti, si tornerà adesso certamente a discutere dopo l’ingloriosa prova al pre Olimpico portoricano. Ma andrà come tutte le altre volte, sarà come accade da oltre vent’anni. Niente.
Da oltre vent’anni sul trono del basket azzurro c’è un signore che si chiama Gianni Petrucci e che, alle soglie dei 79 anni (li compirà il 19 luglio, auguri!) si è candidato al quarto mandato di fila alla Fip, federazione da lui presieduta prima nell’intervallo tra il 1992 e il 1999 (ancor prima segretario generale), e poi ininterrottamente dal 2013 fino ad oggi, senza contare che, mentre per quattro mandati di fila governava il Coni inventandosi tra l’altro lo sciagurato “Lodo Petrucci” calcistico, la sua lunga manus sulla pallacanestro tricolore non si è mai allentata, visto che i presidenti Maifredi e Meneghin erano sue “espressioni”. Si potrebbe scrivere dunque, scherzando ma non troppo, come Fip non stia solo come federazione italiana basket ma anche come federazione italiana Petrucci: è indiscutibilmente lui l’inossidabile padrone del vapore.
È di vapore acqueo l’intero sistema cestistico tricolore, un movimento nel quale a turno si alternano vassalli, valvassori e valvassini, antiche figure feudali al servizio del signorotto di turno che li arruolava, li investiva e poi li rottamava a seconda delle convenienze, delle promesse, della fedeltà cieca e assoluta, fedeltà ottenuta, al tempo del feudalesimo, sotto il giogo dei ricatti e delle minacce. Storie del Medioevo.
Tornando invece al ventunesimo secolo e al basket italiano, appena un anno fa Petrucci dichiarava, rispondendo al solito alle solite interviste apparecchiate da un sistema dell’informazione completamente prono, di non volersi ricandidare. Semplicemente perché il sistema non glielo consentiva, però. Tanto che, appena cambiata la regola, ha ricambiato idea. E così, negli ultimi dieci mesi, è ripartito all’assalto, ben sapendo però che stavolta la strada è più difficile: ma non perché i risultati della sua gestione ultradecennale siano mortificanti, solo perché deve ottenere il 66,6% dei voti validi nel corso dell’assemblea elettiva e non più il 50% più uno di consensi. E così, ha dato inizio alla sua nuova, personale, battaglia. Negli ultimi dieci mesi si è assistito a una serie di eventi e vicende che avrebbero meritato quantomeno l’attenzione delle massime istituzioni governative e sportive, della stampa nazionale, del movimento cestistico tricolore e forse anche qualcuna da parte quantomeno della giustizia sportiva. Niente, invece.
Nel corso di questi ultimi dieci mesi su questo sito, alla rubrica indiscreto, sono state pubblicate una serie di inchieste (approfondite e dettagliate): per non dilungarsi, chi vuole può trovarle, leggerle, e farsi almeno un’idea. Eppure, anche intorno a dettagliate denunce, presentate da alcuni protagonisti ai competenti organi di giustizia, è calata la cortina del silenzio. Come il silenzio è calato su una serie di vicende legate ai campionati e alla gestione federale dei settori giovanili, arbitrali, di giustizia. A fare l’elenco non si finirebbe più, come non si finirebbe più con l’elencare le nomine, le attribuzioni, le punizioni, le pressioni, i cambiamenti, le omissioni, tutte operazioni che paiono rispondere solo a una gestione del potere e in chiave elettorale, nell’assenza di trasparenza e magari alla presenza di molteplici conflitti di interesse. Davanti a questo quadro, immobilismo e silenzio. Il silenzio complice, e il silenzio di chi ha paura di ritorsioni. Avete letto per caso di come è andata a finire la questione dei rimborsi truccati di qualche arbitro di serie A, o di come in pochi giorni tre squadre di A femminile abbiano abbandonato la scena, o di come alcune finali nazionali giovanili siano state disputate da club che non avevano (non per proprie responsabilità) guadagnato il diritto sul campo per assenza del campionato, o degli sviluppi della velenosa querelle arbitrale tra lettere, errori macroscopici e veleni, o dei tentativi di riscrivere lo statuto federale (pur in presenza dei nuovi principi informatori approvati dal Coni) a uso personale? Niente, ma sono solo pochi esempi.
A proposito di esempi, e solo per fermarci alla serie A italiana: è un prodotto di qualità scadente offerto in palazzetti vetusti e inadeguati, senza seguito né appeal televisivo, e al cui vertice siede un ottimo professionista (Umberto Gandini) che però sta lì a scaldare la poltrona col pensiero fisso di tornare al calcio, il suo vecchio amore così come il calcio è il vecchio amore di Petrucci (la Lega Nazionale è invece “guidata” dal potente segretario generale Faraoni che al contempo è anche presidente del Comitato Fip Toscana e azionista di un club di C, mentre al presidente della Lega femminile Protani il sito ufficiale Fip ha da poco dedicato un post felicitandosi per l’essere diventato nonno…). Almeno Gianni Petrucci è riuscito a tornarci, al pallone: e sì, perché nel corso dell’ultimo anno, il presidente della federazione italiana pallacanestro è prima entrato nel cda della Salernitana, e poi è stato nominato vice-presidente esecutivo del club fresco retrocesso dalla serie A. Di un club di calcio professionistico (in Italia solo calcio e basket sono riconosciuti come sport professionistici) mantenendo però la carica di presidente della federazione pallacanestro. Ha così partecipato alle assemblee di serie A (di calcio), pare costringendo in un paio di occasioni a cambiare appuntamenti federali e modificando orari di riunioni e appuntamenti perché in contemporanea con le partite della Salernitana, alle quali ha assistito sempre dal vivo, non mancando persino di irrompere nel centro sportivo del club per motivare e spronare dall’alto della sua esperienza un gruppo invece desolatamente ultimo sin dall’inizio della sua fallimentare stagione. E che il calcio stia sempre nei suoi pensieri, nelle sue parole, nelle sue dichiarazioni, lo si può facilmente riscontrare ascoltando ad esempio le registrazioni degli ultimi consigli federali, nel corso dei quali ha più volte persino detto che il basket italiano per certi versi sia addirittura… più avanti del calcio italiano (una parentesi: appena un anno fa, a Rivisondoli, faceva sorridente coppia col presidente Figc Gravina scambiandosi dritte e sorrisini nel corso di un convegno organizzato dal proprietario della Salernitana, convegno il cui titolo era il “profetico”: “Il calcio di domani”, nel corso del quale Gravina lanciò strali contro la Lega serie A).
Tornando al tenore e ai contenuti, ad esempio, dei consigli federali: in uno degli ultimi Petrucci, nel pieno della guerra tra Figc/Fip/Coni contro il ministro dello Sport Andrea Abodi sull’istituzione di un organismo che facesse i conti ai club, dopo aver pubblicamente attaccato l’iniziativa candidamente confessava ai consiglieri di non aver potuto tenere la linea perché in fondo Abodi (il Ministero) aveva appena elargito 1,5 milioni di euro alla federazione per l’organizzazione di un girone dell’Europeo donne che si disputerà a Bologna il prossimo anno, sfilandosi così da coro degli antagonisti. Sempre scimmiottando il calcio, tra la proposta dell’istituzione delle seconde squadre e l’offerta televisiva, il consiglio federale celebrato a maggio nel Salone d’Onore del Coni sarebbe scivolato tra le battute del Poz e i complimenti persino all’usciere della federazione da parte del presidente federale che intanto ha fissato le elezioni a fine dicembre, allo stadio Olimpico. Sempre nello stesso consiglio federale, si auspicava la qualificazione olimpica e un successo della nazionale perché, «da quando ci sono io, non abbiamo mai vinto una medaglia…». Uno dei tanti consigli federali surreali, assai lontani dall’occuparsi realmente delle questioni cestistiche tricolori.
Se qualcuno non ci crede, ci sono le integrali registrazioni. Magari farebbe bene ad ascoltarle anche il presidente del Coni Giovanni Malagò che, dopo la resa incondizionata dell’Italia calcistica alla Svizzera, ha detto: «Davanti alla disfatta con la Svizzera ho pensato di essere in una puntata di Scherzi a parte. Mi è capitato di assistere a sconfitte, ovvio. In sport individuali può succedere che il tennista o il nuotatore di turno proprio nel giorno della gara, a causa di un problema fisico o mentale, abbia una pessima prestazione. Ma in uno sport di squadra, con la possibilità di effettuare cinque sostituzioni su undici, la scena mi è sembrata inverosimile». Se il presidente Coni avrà seguito la disfatta con la Lituania (e prima ancora, il ko con Porto Rico), avrà trovato di sicuro analogie tra le due rese e vissuto la stessa sensazione: trovarsi in una puntata di “Scherzi a parte”. Quanto alle elezioni federali, sull’anticipo di quelle calcistiche voluto da Gravina, ha detto: «Gravina non avrebbe potuto dilatare nel tempo questa situazione: l’aria si è fatta irrespirabile. Chi arriverà si prenderà le sue responsabilità. In caso di disfatta la responsabilità non è solo di chi va in campo ma anche dei dirigenti». Chissà se anche sul basket dirà qualcosa. E chissà se qualche parola la proferirà il ministro Abodi che col calcio ci è andato giù duro.
«Più che sconfitta sportiva, è stata una sconfitta morale, ed è il dato più sconfortante. Lo sport insegna a dare valore alle sconfitte e c’è invece chi sta cercando più che altro una responsabilità altrove, mentre la responsabilità è in chi dirige e coordina le attività. Da dove si riparte? Facendo un’analisi delle proprie responsabilità, piuttosto che attribuirle ad altri. Mi auguro che adesso si volti pagina, come tutti i sistemi democratici presuppone un confronto che è anche elettorale ma che mi auguro sia sui contenuti, e che ci siano dei cambiamenti profondi». Parole spese come una mannaia nel corso di un’intervista al Tg1 Rai di prime time appena tre giorni fa: quale vetrina migliore, se non quella governativa, per inchiodare alle proprie responsabilità la Figc e il presidente Gravina? Il ministro Abodi replicherà anche per il basket e per il suo presidente Petrucci, visto che il basket è il secondo sport nazionale, visto che il basket è l’altro sport professionistico, visto che il sistema basket è fermo da oltre vent’anni e visto che nel basket è partita una campagna elettorale che il presidente Petrucci sta conducendo tra pressioni, deferimenti, minacce di ritorsioni e sotterranee richieste di adesione senza aver finora posto sul tavolo un elemento uno di discussione concreta? Lo sport è etica, è trasparenza, è moralità.
Valori che paiono mancare, e da parecchio, nell’incestuoso mondo cestistico. Giusto un esempio: quanti sono i conflitti di interesse in molti Comitati regionali, quanto e perché il contratto tra la Fip e la Master Group Sport è stato rinnovato fino al 2026 se il mandato dell’attuale presidente Fip scade due anni prima, perché le motivazioni del deferimento al presidente del Comitato Lombardia (incidentalmente il Comitato che ha detto no alla sua candidatura proponendo invece come candidato l’avvocato romano Guido Valori e raccogliendo le adesioni di altri Comitati come quello del Veneto e del Lazio) sono state comunicate a tutti gli altri consiglieri federali ai quali è stato inviato e invece sono spariti dal sito Fip e nella sezione dei provvedimenti della giustizia sportiva le sanzioni (e i patteggiamenti) verso alcuni arbitri pizzicati pare con le mani nella marmellata, perché al segretario della Lnp è stato offerto il ruolo di affiancamento all’appena nominato coordinatore delle Nazionali? Le domande potrebbero continuare all’infinito: in attesa di risposte, si può concretamente dire come il sistema basket italiano sia inadeguato, inficiato da incapacità e interessi, malinconicamente imbrattato e brutalizzato. Il movimento della pallavolo l’ha ampiamente sorpassato per successi, interesse, affiliazioni. Federazioni come quella del nuoto o dell’atletica hanno dimostrato come seminare il seme della competenza e della passione porti a risultati straordinari aprendo le porte a una serie di giovani atleti che con coraggio e orgoglio sono diventati gli alfieri dello sport azzurro. Il basket è la fotocopia (per giunta sfuocata) del calcio italiano. Un terreno desertificato, arso.
Si dirà: ma perché crocifiggere Petrucci, perché elevarlo a unico responsabile (o capro espiatorio) dell’ennesima caporetto azzurra, perché farne una questione personale? È vero, il problema principale non è Petrucci. Il nodo sta tutto nel mondo che gli sta intorno. Lui ha il potere e fa di tutto per mantenerlo. A tutti i costi, in barba a chiunque. Il problema è il contesto: le colpe e le responsabilità principali sono dei club e dei dirigenti di basket, del mondo dell’informazione, delle istituzioni sportive. Tutti corresponsabili di questa notte e di questo sonno che durano da venti anni. Tutti piegati e ripiegati, tutti passanti e passeggeri distratti di una navicella diventata una scalcagnata baracca dove non palleggia un pallone ma dove si muovono solo le palpate di un potere ormai consunto. Un movimento che è diventato un teatrino dei burattini, che andrebbe raso a zero e ricostruito dalle fondamenta. Vent’anni sono passati dall’ultima medaglia internazionale, magari ci vorranno almeno altri vent’anni per vedere i primi frutti. Fa nulla, sempre meglio però che essere compartecipi e corresponsabili di questo indecoroso scempio. Lo si deve almeno per quei dirigenti e ragazzi (e ragazze) che ancora credono e si impegnano per la pallacanestro.