Sono solo barzellette. Inizia oggi il processo sportivo di primo grado sulle cosiddette plusvalenze. Accusate undici società: cinque di serie A (Juve, Sampdoria, Genoa, Napoli, Empoli) per la presunta violazione del comma 1 dell’articolo 31 del codice di Giustizia sportiva, due di serie B (Parma e Pisa che devono difendersi dall’accusa di violazione del comma 2 dell’articolo 31), due di Lega Pro (Pescara e Pro Vercelli) e altre due società che non esistono proprio più – Chievo e Novara – escluse in estate dalla Figc dopo la bocciatura Covisoc. Nel mirino anche 61 dirigenti (presidenti ed ex presidenti, tra cui Preziosi che ha appena rifiutato di votare il bilancio del club rossoblù e Ferrero che invece in inverno ha alloggiato per oltre due settimane in carcere) e 62 operazioni “sospette”: queste secondo l’impianto accusatorio firmato dal procuratore capo Figc Giuseppe Chinè. Un impianto accusatorio composto da 195 pagine, da operazioni che si riferiscono solo alle precedenti due stagioni sportive. Così il consigliere di Stato e capo gabinetto del Mef pensa di aver assolto al compito di procuratore federale, così mandando davanti al Tribunale federale nazionale società e dirigenti. Un passo lento, felpato. Obbligato. A ottobre infatti il presidente della Covisoc Paolo Boccardelli aveva scritto a lui e al suo capo, il presidente federale Gabriele Gravina, il presidente che gli affidato le chiavi della giustizia sportiva italiana. A volte lenta, a volte velocissima. A volte un braccio, a volte una mano. Dipende.
Sei mesi fa Paolo Boccardelli segnalava la richiesta di documenti pervenuta dalla Consob (che si lamentava perché dopo una richiesta formulata da mesi, da mesi ancora non le erano stati forniti i documenti) che aveva a sua volta aperto un’indagine dopo quelle partita dalla stanze della Procura della Repubblica di Torino seguite poi da quella avviata dalla Procura di Milano. Inchieste ancora in corso, inchieste queste sì che promettono sviluppi interessanti, importanti. Cosa c’è da attendersi invece da quella sportiva, nata e soprattutto portata avanti proprio a ridosso della rivolta della Lega A contro la Figc? Nata solo dopo le notizie di stampa, solo dopo la richiesta della Consob, solo dopo l’inchiesta penale? Cosa c’è da aspettarsi dal giudizio del Tribunale federale sportivo davanti a operazioni per le quali, più volte, lo stesso Gravina ha ricordato come «non si possa dare un valore oggettivo a certe operazioni, siamo al lavoro per fissare delle regole e dei parametri»?
«No a processi sommari»: in fondo proprio così aveva detto a novembre Gravina, dopo le accuse di Rocco Commisso, dopo i rilievi del presidente Fifa Gianni Infantino e l’inchiesta del New York Times sul calcio italiano, sulle sue operazioni di plusvalenza. “Una tipicità tutta italiana. Un sistema oscuro, con una regolamentazione lassista e con una contabilità creativa”: così scrivevano dagli States. Nell’Italia del pallone, nel mare in tempesta, il marinaio Gravina cerca così di tenersi a galla. Fiato ai titoli e alle trombe: il messaggio che passa è che in Figc adesso si faccia in fretta e sul serio. Messaggio obbligato, magari chissà tanto per tenersi lontani dalle ombre e dai sospetti, tanto per accenderne altrove. Magari sui club e sui dirigenti, accusati di presunte violazioni che però non hanno riscontro oggettivo. Perché – le 195 sono state lette e rilette – l’impianto accusatorio di Chinè e della sua Procura non trova fondamenti per scardinare il castello sul quale il calcio italiano si regge da anni. Lo sa bene la Procura Figc, lo sa bene Gravina, lo sa bene la corte di media-partner che si occuperà oggi del processo continuando a glissare su altro. Ad esempio sulle mancate assunzioni di responsabilità del presidente del Club Italia Gravina dopo il flop Mondiale, ad esempio su come il caso Catania dimostri che i famosi paletti di “trasparenza, garanzie e capacità finanziaria” appartengano solo al libro dei sogni. Ma poi dove era la Procura Figc, dov’era Gravina, quando le società italiane si scambiavano giocatori dando – giustamente, legittimamente – un valore a quello scambio, pur se dentro quegli scambi finivano anche calciatori che più della D non avrebbero fatto? Dove erano i mass-media quando titolavano di colpi a suon di milioni di euro? Tanti passanti distratti, mentre da oltre un anno il procuratore federale Chinè è anche capo gabinetto del Mef, in sella nonostante una dichiarazione dimenticata (poi sanata dopo un articolo e dopo un’interrogazione parlamentare), e in sella continua a tenere sotto la polvere altre inchieste? E cosa dire (meglio non scrivere) di Gravina, convocato e ascoltato in una caserma della Guardia di Finanza appena dieci giorni fa proprio sul tema delle plusvalenze e dei conti della Juve, ascoltato nell’ambito dell’inchiesta Prisma della Procura della Repubblica di Torino? Meglio non scriverne, meglio non parlarne troppo. Meglio dar fiato alle trombe e spostare l’attenzione sul processo sportivo che inizia oggi. Sembrano barzellette, eppure per ridere (amaramente) ci sarebbe da aggiungere questa, letta un po’ ovunque e passata come fosse una rassicurazione: l’iter del processo sportivo si svolgerà in tempi rapidissimi “grazie al nuovo codice di giustizia sportivo voluto da Gravina”, studiato e approntato da Giancarlo Viglione, il fedele scudiero e consigliere del presidente federale.
La realtà e il diritto dicono come il primo grado finirà forse (ma è improbabile) con ammende e inibizioni per i club e i dirigenti di serie A (la presunta elusione della normativa federale in materia gestionale ed economica non ha inciso sui requisiti per l’iscrizione), con una (possibile) penalizzazione per i due club di B (le operazioni sarebbero servite per ottenere l’iscrizione) e per una “carezza” postuma a due società (Chievo e Novara) che non ci sono più. Dopo il primo grado, spazio all’appello e magari al Collegio di Garanzia del Coni. Sarà di nuovo estate, sarà di nuovo come sempre. Continuerà ad esserci questa Figc. Continueranno ad essere solo barzellette.