Il giorno dopo è sempre il giorno delle lacrime, delle consolazioni, delle parole postume. Il Catania escluso a tre giornate dalla fine del campionato (per gli etnei c’era anche un turno da recuperare) di Lega Pro, il Tribunale di Catania che ha messo fine all’agonia con tre righe di comunicato, una motivazione. “Trattandosi di vicenda di particolare interesse sociale, si dispone la cessazione dell’esercizio provvisorio del ramo d’azienda sportivo del Calcio Catania SpA”. Tifosi e città senza più parole, così lontana quella classifica stravolta che eppure rilascia un effetto roboante, un cazzotto alla dignità e all’intelligenza come quel 20 a 0 tra Cuneo e Pro Piacenza di appena tre anni fa. Niente è cambiato da allora. Altre società in rivolta, i tifosi del Catanzaro che organizzano una petizione contro il presidente della Lega Pro Ghirelli e pensano ad una class action.
Il giorno dopo è il giorno delle lacrime ma anche il giorno della fuga dalle responsabilità. Fughe lunari, come lunari risuonano queste parole. «La cessazione dell’esercizio provvisorio nel corso di svolgimento della stagione regolare arreca un grave nocumento al campionato di serie C ed è questa una situazione che, come presidente di Lega, non avrei mai voluto vivere. La Lega Pro ed i propri club, in quanto dotati di uno spiccato senso di responsabilità, sanno comunque affrontare e venire a capo di una situazione che avrebbe potuto determinare un danno non governabile. Concludo sottolineando la insopportabile sofferenza che tutta questa vicenda provoca alla città di Catania, ai tanti tifosi del Catania in Sicilia, in Italia, nel mondo». Spiccato senso di responsabilità e insopportabile sofferenza: dice proprio così Ghirelli, il presidente della Lega Pro. Da chiudere il libro. Se non ci fossero poi quelle di Umberto Calcagno, presidente dell’Assocalciatori e vice-presidente (e vicario) Figc. «Siamo stati in stretto contatto col presidente Ghirelli e d’accordo con la scelta che la Lega ha operato, anche se il dispiacere è enorme. Anche insieme al presidente Figc Gravina abbiamo monitorato con attenzione l’evolversi degli eventi, seppur da spettatori, dal momento che le decisioni non competevano più alla federazione».
Il giorno dopo il principale quotidiano sportivo italiano la vicenda la infiocchetta così: “Clamoroso al Cibali”. Così titola “La Gazzetta dello Sport”, un titolo e quattro colonne. Non una riga sulle responsabilità della Lega Pro, della Figc, del Coni, delle istituzioni sportive. Clamoroso al Cibali, titola. E non c’è peggior insulto di questo titolo per i tifosi e sportivi etnei, accostare quel clamoroso a una vicenda tragica, ancor più tragica perché consumatasi negli anni. Un affronto alla storia del Catania quel “clamoroso” così caro e antico da risuonare ancora nella voce di Sandro Ciotti che il 4 giugno 1961 urlò in radio “Clamoroso al Cibali” per celebrare la vittoria del Catania sull’Inter di Herrera.
Di clamoroso in questa vicenda tutta italiana, tutta legata al mondo sportivo italiano da decenni governato – dominato, martoriato – sempre dagli stessi personaggi. Come Gravina, ad esempio. Che anche il giorno dopo resta in silenzio. Un silenzio, questo sì, clamoroso. E clamoroso – forse ancor più clamoroso e rumoroso – è il silenzio di Giovanni Malagò, presidente del Coni. Il Coni è (dovrebbe essere) l’Ente che vigila sulle federazioni: investito del ruolo, dovrebbe chiedere chiarimenti alla Lega fino a poterla commissariare in caso di mancanze e responsabilità. Deve – dovrebbe – accertare se c’è stato il mancato controllo della Figc, nel caso commissariarla. Resta (ancora) in silenzio. Un silenzio che fa rumore. Un rumore clamoroso.