Inesorabile, scende la sabbia nella clessidra. Scorre lenta, come il rintocco delle campane a morto. “Il Catania allo sbando” titola stamattina “La Gazzetta dello Sport. Sfogliando le pagine di tanti altri quotidiani, una sfilza di titoli e articoli a occuparsi di una questione che invece dura da anni (almeno sei), nel silenzio (colpevole, complice) delle istituzioni calcistiche italiane, nel silenzio (complice, colpevole) dell’informazione italiana. Fallito il 22 dicembre 2021, il club aveva ottenuto dal tribunale l’esercizio provvisorio – più volte prolungato – per poter proseguire l’attività sportiva: dopo due aste andate a vuoto per la cessione del ramo d’azienda, ieri il Tribunale ha bocciato la cessione a Benedetto Mancini, un romano che in passato aveva provato a prendere anche il Latina – anche questo club si trovava in stato di decozione – senza poi metter mano al portafoglio. Una trattativa (?!) durata oltre un mese, finita bruscamente – senza sorprese – ieri mattina dopo le comunicazioni della curatela. La fine di un’agonia che dura dall’estate – l’inizio della fine per il Catania si può facilmente rinvenire in personaggi e passaggi ad almeno sei anni fa – tanto che il Catania sorprendentemente iscritto dalla Figc in Lega Pro dopo aver passato l’esame Covisoc – sarebbe stato deferito (poi penalizzato, più volte) per mancati versamenti già ai primi di settembre, ai primi vagiti del nuovo campionato. Portato avanti sin qui fatturando risultati alterni, a volte sorprendenti – sconfitte e vittorie – e roboanti nei punteggi. Restano tre gare di campionato (il Catania deve recuperarne uno), l’esercizio provvisorio scade il 19 aprile, dal giorno dopo mancherebbe solo una gara alla fine. Che accadrà?
Il tribunale vuol revocare l’esercizio, e così il Catania non potrebbe più scendere in campo: decisione attesa oggi, alla vigilia della sfida col Latina. Tutti col fiato sospeso. Se il Catania venisse fermato, classifica stravolta: questo strillano gli altri club, questo urlano gli opinionisti, questo scrivono i quotidiani. Sarebbe un campionato falsato, questo l’adagio. Bah, verrebbe amaramente da aggiungere: ma non è falsato da otto mesi? Ma perché, anche questa stagione di Lega Pro non è già falsata? Non è falsata come altre lo sono state in precedenza? Modena nel 2017/18, Matera e Pro Piacenza nel 2018/2019, Trapani nel 2020/21: è l’elenco delle società escluse a stagione in corso, senza contare tutte le penalizzazioni. Soltanto nel 2019/20 non era successo: c’era però il Covid, il torneo venne sospeso. La sabbia nella clessidra scorre inesorabile, scandisce passi che andrebbero compiuti: una Procura sveglia e libera potrebbe e anzi dovrebbe accertare le responsabilità a tutto tondo, l’ipotesi della bancarotta fraudolenta non è peregrina così come il coinvolgimento (e le responsabilità) di autorità e istituzioni finanche sportive. Intanto i curatori avevano scritto ieri alla Figc e alla Lega Pro chiedendo un contributo economico “tale da consentire di coniugare l’interesse alla regolare prosecuzione del campionato con gli interessi della procedura». A stretto giro di posta, la risposta in un comunicato della Lega Pro del presidente Francesco Ghirelli, da due settimane eletto vice-presidente Figc. “Non possiamo, sarebbe una disparità di trattamento nei confronti di altri club, altereremmo la regolarità del campionato”. Da restare basiti mentre la sabbia scorre nella clessidra.
C’è da giurarci che il mondo del pallone andrà ora alla ricerca dei responsabili, senza guardarsi allo specchio, senza guardarsi dentro. Come sempre. «Il caso Salernitana è sconcertante, così si falsa il campionato di A. Con me non sarebbe successo», disse Ghirelli il 21 dicembre, dimenticando il Trapani iscritto in Lega Pro pur senza aver pagato gli stipendi dell’anno precedente, pur senza la fideiussione integrativa, pur senza un medico sociale, pur senza mai scendere in campo. Nessuno a chiederne conto, come sempre. Nessuno a pagare mai il conto, come sempre. Come sempre spazio alle parole, agli slogan, alla pubblicità. All’inizio di questa settimana, avvinghiato alla poltrona di presidente federale, Gabriele Gravina ha messo altra sabbia nella clessidra, provando ad accelerare, a rovesciare il fronte dopo il flop azzurro: via alle riforme, via al rinascimento del calcio italiano. Vivai, impianti, modello sostenibile, controlli, indicatori e via discorrendo. Insomma il solito refrain (il duetto con Balata sostenuto dalle slide sarebbe da cinema) strombazzato da quotidiani e tv, opinionisti e media-partner.
«Il primo pensiero va ai tifosi del Catania. C’è in gioco la storia di un grande club, un patrimonio importante del calcio italiano. Con rispetto stiamo seguendo il lavoro del tribunale e della curatela. Non nascondo che lo stillicidio di notizie che si susseguono ci crei enormi problemi, in particolare nel momento in cui il campionato va verso la fase finale. Il contatto tra il sottoscritto e il presidente Gravina è continuo»: così Francesco Ghirelli l’1 aprile. Non era un “pesce d’aprile”, tutto vero, tutto agli atti mentre appena una settimana prima i calciatori avevano scritto all’Aic: fate qualcosa, non ci pagano gli stipendi da otto mesi. In silenzio è rimasto Umberto Calcagno, il presidente dell’Aic che da due settimane è anche vice-presidente vicario della Figc. Il vicario di Gabriele Gravina. Che nel 2018 era il presidente della Lega Pro: il segretario era Francesco Ghirelli, il consigliere federale in quota Lega Pro Giancarlo Abete, un altro consigliere federale era Pietro Lo Monaco, all’epoca amministratore delegato del Catania, indagato per omesso versamento Iva dell’anno 2018. Sicuri che sul caso Catania, per una agonia che dura da anni tra passaggi societari e passi felpati, non abbiano responsabilità? Sono passati quattro anni da allora: Gravina presidente Figc, Calcagno e Ghirelli vice-presidenti federali, Abete presidente Lnd. Sono il passato, il presente e il futuro. Sono loro il tavolo del calcio italiano. L’unico sul quale la clessidra del tempo non scorre mai.