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Serie A, un miliardo da versare entro 50 giorni. Il calcio chiede l’ennesimo aiuto di Stato: un’altra rateizzazione o salta tutto

Scade la sospensione degli adempimenti fiscali e contributivi ottenuta e prolungata con leggi e decreti. Gravina, Casini e i presidenti: richieste a Giorgetti e Abodi. Il senatore Lotito al lavoro...

Rateizzazione, rottamazione, ristori, ravvedimento, rimodulazione, riformulazione. Qualsiasi operazione andrebbe bene purché però faccia rima con rinvio. È in fondo l’unico verbo che i club di calcio italiani – e i vertici del Palazzo, da Figc a leghe – continuano a coniugare da mesi. È il solo che toglie loro sonno e pensieri. Un incubo, altro che sogno. Intanto parlano di riforme, promettono impegni, puntellano principi, si riuniscono e discutono (licenze nazionali, diritti tv, fondi, sostenibilità, indici liquidità, tetti salariali): solo chiacchiere. Solo carta senza tracce d’inchiostro. Continuano invece a prendere tempo, continuano a litigare, continuano – solo in questo uniti e compatti – ad attendere l’ennesimo aiuto di Stato. L’orizzonte è una fessura che si riduce ogni minuto (un milione di perdite al giorno che si accumulano, la fonte è la stessa Figc nel report di giugno redatto in collaborazione con Arel e PwC Italia) che s’avvicina, come un tornado incombe minaccioso: non s’intravedono riforme ma restano fisse soltanto scadenze. Il 16 dicembre sarà l’anti-vigilia della finale del Mondiale al quale l’Italia non parteciperà: il 16 dicembre è tra 50 giorni e un altro countdown è partito. Il 16 dicembre per il pallone tricolore sarà – o meglio sarebbe – giorno di resa dei conti. C’è un miliardo di euro da versare allo Stato: scade la sospensione dei versamenti contributivi e previdenziali, scadono i termini per il pagamento di tasse e imposte. Termini e sospensioni di cui hanno beneficiato le federazioni, le associazioni e le società sportive grazie a diversi provvedimenti statali e governativi più volte emanati, prorogati e ampliati nel corso di questi mesi. Prima la Legge di Bilancio 234/2021, poi il Decreto Legge 17/2022, infine la conversione in legge del Decreto (Aiuti) numero 50: tutti gli adempimenti previsti da gennaio a novembre 2022 ammassati, fatti confluire in un’unica data. Il 16 dicembre e oltre un miliardo di euro, la parte del “leone” tocca alle società di calcio professionistiche, per la serie A sono oltre 900 milioni di euro. Altro che urlo di dolore da piscine e palestre: è il pallone avvelenato che sgomita e che, col cappello in mano, s’affanna. Quella massa è una mina, un macigno. È una montagna. «Il calcio italiano è seduto su una montagna alta due miliardi di euro che in ogni caso dovrà essere saldato», aveva detto nemmeno un mese fa il presidente della Figc Gabriele Gravina riferendosi al debito complessivo del sistema calcio. La metà sarebbe da saldare entro cinquanta giorni.

Le nomine. Lui come i presidenti della Lega A, B e Lega Pro e Dilettanti (da Casini a Balata, da Ghirelli a Abete un continuo invocare presenza e interventi), lui come i presidenti dei club e come il presidente del Coni Giovanni Malagò, aspettavano il nuovo Governo e gli incarichi del premier Giorgia Meloni. Che sono arrivati. Insieme agli applausi e alle dichiarazioni di giubilo, è però subito ripartita la fila davanti alla porta. La corsa per ottenere impegni, sostegni, aiuti. Immediati. In fondo il 22 ottobre è già in archivio, il 16 dicembre è già oggi. Andrea Abodi siede sulla poltrona di ministro dello Sport. Non ha il portafoglio ma almeno – a differenza dell’uscente sottosegretaria Vezzali – siederà in Consiglio dei Ministri. Lì potrà far sentire la propria voce ma lì in Consiglio la voce grossa la farà come d’abitudine il ministro dell’Economia e Finanze. Stavolta il compito tocca al tifoso del Southampton Giancarlo Giorgetti. In viale XX settembre non troverà (forse) più le foto del Duce ma una sfilza di fascicoli urgenti da chiudere, primo tra tutti la stesura della Finanziaria. Cioè la Legge di Bilancio. Un rompicapo, insieme poi a tutte le urgenze da tamponare, dai rincari energetici ai rincari legati al rincaro energetico l’elenco sarebbe infinto: la sostanza è che famiglie e imprese italiane boccheggiano. Ci sono risorse da trovare e mettere a disposizione nell’immediato. Perché l’autunno è caldo ma l’inverno rischia di rivelarsi caldissimo: tra le varie cartelle ci sono quelle esattoriali. Tasse, contributi e multe che le famiglie e le imprese italiane, tutti i contribuenti insomma, devono allo Stato. Allo studio pare ci sia una definizione agevolata di un forfait su sanzioni e interessi, come una sorta di condono legato a un piano quinquennale di pagamenti, una sanatoria per quelli previsti sino al 30 giugno 2022. L’aria che tira deve essere arrivata e assai in fretta al pallone italiano: rateizzazione, ravvedimenti, rottamazione hanno così ripreso a sussultare nelle tasche dei presidenti di club e nei pensieri di chi “governa” il sistema. “Non è che c’è posto pure per le nostre attività, per il nostro sistema?”. Andiamo anche noi a cinque anni? Si infileranno?

Le parole. Chissà se il sistema sull’orlo del default ricorda le parole pronunciate dal neo-ministro Giancarlo Giorgetti a maggio, ai margini della presentazione del torneo di tennis al “Foro Italico”. Delle sofferenze del sistema calcio, disse da ministro dello Sviluppo Economico: «Una parte dovrebbe essere gestita nell’ottica del Ministero dello Sport e un’altra con una logica industriale perché oggi ha una dimensione industriale che ha dimensioni globali. I presidenti si lamentano sempre. Noi al Mise quando arrivano le grandi imprese in crisi chiediamo di presentare un piano quinquennale perché devono dirci cosa vogliono fare. A quel punto si trovano le soluzioni. Se però sono richieste estemporanee non va bene, non se ne fa nulla». Quindi, tradotto: senza un piano vero, nisba. Alle datate parole di Giorgetti – il ministro (la figlia mesi fa è entrata da stagista al “Club Italia” Figc, leggi qui) ha solidi rapporti di stima e ascolto col presidente Gravina, conosce e bene molti presidenti di club di A, dicono scorra buon feeling con il neo ministro dello Sport – bisognerebbe aggiungere quelle pronunciate, post giuramento, proprio da Abodi. «I primi interventi? Ora bisogna pensare innanzitutto ai più deboli. La priorità va rivolta alle società dilettantistiche, sono quelle in grave difficoltà. Superata questa crisi, è chiaro che lo sport riprenderà il corso naturale». Cosa si nasconde dietro e dentro questo messaggio? Le parole paiono inequivocabili, tali almeno da tagliare pensieri e progetti d’immediate e nuove stampelle da porgere al sistema calcistico professionistico, un messaggio chiaro e diretto ai club di A appollaiati su una montagna di debiti (un miliardo) da saldare entro il 16 dicembre: dimenticate e mettete mano al portafoglio. Sarà così?

L’accoglienza. Ancor prima di firmare il decreto di accettazione dell’incarico davanti al presidente della Repubblica Mattarella, Abodi sarebbe stato ricoperto da lodi, osanna e congratulazioni. Un fiume indistinto l’avrebbe baciato, da destra e sinistra. «Una splendida notizia per lo sport italiano, Abodi sa coniugare visione e pragmatismo, è una splendida notizia per lo sport italiano e il calcio in particolare»: così Gravina (Abodi giorni fa pare gli abbia consigliato Bedin come nuovo segretario Figc, leggi qui) che non poteva limitarsi a un comunicato e nemmeno riassumersi in un telegramma. «Ringrazio Meloni per aver confermato la sua grande considerazione per lo sport, scelta suggellata dalla nomina di una figura come Abodi»: così il gran cerimoniere Malagò che pure aveva intessuto la tela affinché Abodi andasse alla fondazione Milano-Cortina (leggi qui). Ne erano un po’ tutti convinti, il presidente del Coni con la vittoriosa Meloni in un incontro riservato l’aveva poi persino ribadito al presidente del Cio, Bach: niente da fare, la Meloni lo voleva al Governo e Abodi, pur rinunciando a uno stipendio da 250mila euro, voleva essere ministro per occuparsi di tutto lo sport italiano. È uno che dopo il nodo di solito si riannoda pure le maniche e procede, senza troppi intralci. Andrà dritto sulla propria strada? E il Governo che ha promesso cambiamenti e sostegno immediato alle famiglie e alle imprese provando a raschiare il fondo del barile, potrà permettersi il lusso di non incassare un miliardo dal gioco del pallone? Chissà, intanto il presidente della Lega A Lorenzo Casini, al termine dell’ultima assemblea in Lega che avrebbe dovuto fissare punti focali (diritti tv, media company, fondi, riforme) venerdì scorso s’è sentito in dovere di parlare in conferenza stampa. Tra le tante parole, le prime e le più importanti sarebbero andate diritte al punto. Alla massa. Alla montagna. Al macigno. Alla mannaia. Al miliardo. «Le società non hanno ricevuto ristori in un periodo assai complicato. Hanno solo beneficiato di alcune sospensioni fiscali. Siamo in una fase di ripresa per cui trovare soluzioni come la rateizzazione dei pagamenti potrebbe facilitarne il pagamento. Che è l’obiettivo di tutti. Delle società e dello Stato italiano».

Le cifre, gli aiuti, i sostegni, il precedente. Era il 27 dicembre di un anno fa. A Palazzo Madama, su proposta dei senatori di Fratelli d’Italia De Bertoldi e Calandrini, all’articolo 51 passò un emendamento (51 bis), una misura all’epoca valutata 444 milioni di euro, consenso bipartisan senza nemmeno il bisogno di copertura: la sospensione dei pagamenti delle ritenute Irpef, degli adempimenti previdenziali e assicurativi, dei versamenti Iva per le federazioni, le associazioni e i club sportivi (leggi qui). In sostanza diceva: tutti gli adempimenti (per cassa e per competenza) che ricadranno dall’1 gennaio al 30 aprile 2022 saranno sospesi, i pagamenti potranno essere effettuati a maggio in un’unica rata (senza sanzioni e interessi) o in sette rate, spalmate da maggio sino a dicembre. A maggio, col decreto legge 17 “Energia e appalti” i termini per la sospensione dei pagamenti sarebbero stati ancor più ampliati, fissati poi con il “Decreto Aiuti” (50/2022) in un’unica rata, da saldare il 16 dicembre. Una serie di interventi tale da perdere l’orientamento, tanto ad esempio che un preoccupato Balata scriveva ad agosto al presidente Gravina, ricevendo il giorno dopo una risposta rassicurante sulla durata della sospensione.

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Nel tempo così quei potenziali 444 milioni sarebbero aumentati sino a diventare una montagna di un miliardo e spiccioli: la fetta preponderante, praticamente tutta la torta, dovuta dal pallone italiano e quasi tutta della serie A. Come si è arrivati a questa cifra? In sintesi. L’Irpef sugli stipendi dei tesserati va versata il mese successivo al pagamento, dunque ad esempio i club di serie A che a dicembre 2021 attenendosi così alle scadenze federali avevano corrisposto il netto del trimestre ai calciatori, avrebbero dovuto versare Irpef più contributi Inps a gennaio 2022. La sospensione degli adempimenti avrebbe però spostato l’obbligo, prima a maggio e poi appunto fino a novembre. Stesso procedimento per il pagamento dei versamenti fiscali e contributivi dei mesi successivi (anche sospensione dell’Iva, che però non fa parte dei controlli federali periodici, è stata sospesa), fino ad arrivare a novembre 2022. Quindi ci sarebbe da versare tutto il lordo del costo del lavoro, da settembre 2021 in poi: 13 mensilità di F24 (cassa) e 10 di Inps (competenza), oltre naturalmente alle altre tasse e imposte, tra cui Irap, Ires e Iva. Qualche club ha versato nei mesi regolarmente gli F24, molti, quasi tutti, hanno invece preferito profittare della sospensione. E se la situazione in serie A è precaria, peggio ancora in B e Lega Pro. Il dato confermato anche dall’ultima finestra federale: il 17 ottobre scadevano i termini federali per il pagamento degli stipendi. Tutti i club di A hanno regolarmente pagato il netto. Hanno però continuato ad accumulare il lordo. Che è diventato una montagna. Un miliardo. Basti pensare all’Irpef. L’aliquota è del 43%: scatta per stipendi superiori ai 50mila euro lordi annui (fino al 31 dicembre era a 75mila), dunque vale per tutti calciatori di A e dunque il conto Irpef è assai salato per le società. Novembre è alle porte, il 16 dicembre è poi giorno fissato in rosso anche dalle scadenze federali. I club come si comporteranno, in assenza di nuovi interventi? La Figc e Gravina non possono permettersi altri interventi autonomi di sospensione dei controlli, come accadde a settembre 2021 salvo poi fare marcia indietro, ripristinandoli a dicembre (leggi qui). Quel miliardo penzola come fosse un cappio: non è più solo questione di adempimenti sportivi, è una questione civilistica che prende le casse dello Stato. La Figc potrebbe, ma è solo per far capire meglio i termini della questione – rinviare tutte le scadenze al 30 giugno 2023, ma in questo caso i club entro maggio 2023 si troverebbero davanti una massa debitoria ancor più grande – almeno un miliardo in più, da versare per ottenere le licenze nazionali. Come fare, come liberarsi del cappio, come provare a respirare? E poi, i club virtuosi come reagirebbero dinanzi all’ennesimo dribbling che favorisce furbi e attendisti?

I club, Tare e…Lotito. In questi giorni l’aria si è fatta ancor più rarefatta. Questione di conti, i bilanci dei club sono in profondo rosso. La Juve che chiude oltre il – 200, l’Inter a -140 viene messa in vendita, affidata al lavoro di Goldman Sachs e Raine Group per trovare un acquirente, problema che la cugina Milan s’è tolta da poco passando a Red Bird mentre a Roma i Friedkin devono rimettere ancora mano al portafoglio e a Genova la cessione della Sampdoria (inscatolata in un trust da oltre due anni) assume ogni giorno sempre più i contorni del fumetto mentre un componente del cda (l’uomo delle firme, Gianni Panconi) ha detto, «se non si trovano 40 milioni falliamo e l’anno prossimo giochiamo col Vado». La situazione è rossa, anzi nera, quasi ovunque, tanto che il ds della Lazio Tare in una “lectio magistralis” alla Luiss ha detto: Milan, Inter, Roma e Juventus sono tecnicamente fallite ma il sistema le tiene in vita perché altrimenti salterebbe per aria. Più rumore di questo pensiero l’ha fatto il silenzio delle quattro società. Difese però dal presidente di Lega A, Casini. «È stata una dichiarazione eccessiva. Il sistema serve per poter controllare i conti, dobbiamo guardare avanti e non indietro». E guardando avanti – il calcio non si volta mai alle spalle, ha già dimenticato un altro consistente aiuto, e cioè la legge 126 di fine 2020 grazie alla quale i club di A hanno potuto rivalutare i beni d’impresa (marchi, archivi, immobili e persino calciatori) per complessivi 935 milioni di euro dando una verniciata ai conti in profondo rosso – s’è spinto sino a ipotizzare la nuova operazione salvataggio. «Trovare soluzioni come la rateizzazione dei pagamenti potrebbe facilitarne il pagamento. Che è l’obiettivo di tutti. Delle società e dello Stato italiano». Una soluzione fatta in casa, verrebbe da aggiungere. Tanto più se a Palazzo Madama venisse eletto come presidente della Commissione Bilancio e Finanze il senatore Claudio Lotito. Che è pure il presidente della Lazio, uno dei tanti club che devono al Fisco milioni e milioni. In fondo è Claudio Lotito che da mesi tesse le fila tra via Rosellini a Milano e i palazzi della politica a Roma, in fondo è il patron della Lazio ad aver lavorato per mesi per ottenere interventi, passaggi che ha definito come vittorie e non era in Parlamento, figurarsi ora… – ad esempio la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi, l’abolizione della Melandri per l’estero – tornando a ritagliarsi il ruolo di dominus e capo-popolo dei presidenti di serie A. Che da qui a novembre insieme al presidente federale e a quelli delle varie leghe continueranno a parlare di riforme e promesse ma intanto continueranno a coniugare sempre gli stessi verbi: rateizzare, ristorare, rottamare, rimodulare, riformulare. In una parola: rinviare.

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