Guerra tamponi, la Procura batte in ritirata. Gravina, che bufera su Chinè e Viglione

La sentenza Lotito accende gli animi in via Allegri: il presidente discute con procuratore e coordinatore. La Figc valuta un ricorso che però sarebbe contro un suo organo. Malagò si sfila. E Lotito pensa ai danni
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Si sono visti. Nel chiuso di una stanza. Gabriele Gravina ha parlato con Giuseppe Chinè. Poi Chinè ha incontrato Giancarlo Viglione. Due incontri, nel chiuso di stanze che spesso rilasciano spifferi. Si chiamano summit, a volte redde rationem. Il presidente federale avrebbe discusso col procuratore capo Figc anche sulle capacità degli uomini scelti per la Procura e per gli organi di giustizia sportiva. Nell’altro incontro il procuratore capo si sarebbe invece sentito chiedere dal coordinatore delle segreterie degli organi di giustizia sportiva: perchè ci hai mollato, perchè non ti sei presentato nel dibattimento? Dalla cornice del quadretto emergerebbe per giunta anche un sensibile allontanamento del presidente del Coni Giovanni Malagò (ieri tra l’altro sul caso del falconiere Lazio, «serve atteggiamento fermo, ho molto apprezzato la decisione di Lotito») dalle posizioni di Gravina: l’attacco agli organi di giustizia del Coni («il grado non è di garanzia ma di merito») non è proprio piaciuto. Tutto per colpa di una sentenza, delle reazioni alla sentenza. Una sentenza. Quella vera sta in appena otto parole che però riassumono un anno, paiono una ghigliottina: “Respinge integralmente il reclamo proposto dalla Procura federale”. È solo una riga, è il capo B del dispositivo della Corte federale d’Appello a Sezioni Unite, è quella che anticipa il verdetto: “Accogliendo parzialmente i ricorsi di Pulcini, Rodia, Lotito e la Lazio, in parziale riforma dell’impugnata decisione del Tribunale federale numero 132 del febbraio 2021, dichiara Pulcini e Rodia responsabili degli addebiti di cui ai capi B), C), E) ed F) dell’atto di deferimento determinando la sanzione loro applicata in mesi 5 d’inibizione; dichiara Claudio Lotito responsabile degli addebiti di cui ai capi E) ed F) dell’atto di deferimento, determinando la sanzione applicatagli in mesi 2 di inibizione; dichiara la S.S. Lazio S.p.A. responsabile degli addebiti di cui ai capi B), C), E) ed F), determinando la sanzione applicatale in 50.000 euro d’ammenda”. Così. In attesa delle motivazioni, a un anno dall’esplosione del “caso tamponi”: un’inchiesta lunga, il deferimento, l’impegno delle più qualificate cariche della Procura e ben quattro gradi di giudizio, un carrozzone spinto da fanfare mediatiche tra accuse e veleni da una parte e dall’altra, ritorsioni e attacchi senza esclusioni di colpi. Una guerra che rischia di diventare ghigliottina (leggi qui). Un intero anno alle spalle, davanti agli occhi degli spettatori neutrali (per una delle parti solo la doverosa difesa dei principi di giustizia, per l’altra invece solo accanimento) la sensazione di come il “caso tamponi-Lazio-Lotito” rappresentasse per la Figc e per il calcio italiano la vicenda più dirimente mentre tante altre – solo come esempio Juve-Suarez perché l’elenco è assai lungo di vicende in sospeso senza dimenticare – per restare sul tema di vicende legate alla tutela della salute e al rispetto dei protocolli in costanza pandemica –  il focolaio nella nazionale con De Rossi ricoverato, il virus improvviso in casa Torino a marzo proprio in occasione della gara di ritorno e infine a giugno la sfilata in pullman per le vie di Roma dei campioni d’Europa nonostante il parere contrario della Prefettura – non meritassero almeno eguale attenzione e dispendio e impiego di tempo, risorse, valutazione.

CHINÈ
Giuseppe Chinè, procuratore capo Figc e capo Gabinetto del Mef

A caldo.Respinge integralmente il reclamo proposto dalla Procura federale”. Otto parole, una frase come una sentenza, anzi il vero succo della sentenza: quelle otto parole della Corte federale d’Appello come un pugno. Uno solo eppure così forte, tanto da sbriciolare le tesi dell’accusa, ripresentate, reiterate, replicate. Però rispedite al mittente proprio dai giudici scelti, selezionati e nominati proprio dalla Federazione, giudici della Corte che hanno fatto falò della sentenza emessa a maggio da altri giudici della stessa Corte federale, della stessa Federazione. Un pugno soltanto. Forte. Stordente. Accecante. “Fonti vicine alla Procura non nascondono sconcerto per l’irrogazione di sanzioni incongrue e prive di afflittività a fronte di violazioni gravi dei protocolli anti-Covid consumate in uno dei periodi più difficili di pandemia nel nostro Paese”. Alla reazione a caldo della Procura Figc sarebbe poi seguita – qualche ora dopo – quella più terrena e serena del presidente Figc. Gabriele Gravina almeno ci avrebbe messo la faccia. Ufficialmente. «La giustizia ha fatto il suo corso, come diceva sempre Lotito le sentenze si eseguono, non si commentano. Devo però dire che mentre noi accettiamo serenamente e in maniera molto pacifica le decisioni, forse alcuni suoi legali dovrebbero essere un po’ più educati». Lo sconcerto della Procura Figc, la serena accettazione del presidente Figc: sullo stesso terreno stati d’animo contrastanti, un corto circuito tra le stanze dello stesso Palazzo, come se via Allegri e via Campania fossero in due Continenti diversi e non, invece, a pochi metri l’una dall’altra. Un fulminante corto circuito, ancor più devastante del corto circuito della giustizia sportiva, un’auto-combustione conclamatasi poche ore prima davanti al (secondo) giudizio della Corte d’Appello. Una plastica fotografia dell’incendio. Tra tante parole, tra quelle dell’accusa e quella della difesa, tra i tanti commenti in calce al dispositivo, ce n’è uno che però ancora risuona. «Lo sconcerto della Procura? Forse perché hanno indotto il presidente a rilasciare dichiarazioni che avrebbe potuto risparmiarsi». Così l’avvocato Gian Michele Gentile, nell’ultimo procedimento difensore dei medici della Lazio ma da decenni amico, difensore e avvocato di Claudio Lotito. Così, come a illuminare il vero nodo della vicenda: intrecciatosi, ingarbugliatosi, quel nodo diventato come matassa inestricabile. Così, come un bagliore a illuminare il campo, anche i volti del Procuratore capo federale (e capo Gabinetto del Mef) Giuseppe Chiné e il coordinatore delle segreterie degli organi di giustizia sportiva Giancarlo Viglione (già coordinatore della Commissione che appena due anni fa ha riscritto il codice di giustizia sportiva e che adesso la Figc vorrebbe ricambiare): in fondo sono stati proprio loro a reggere l’accusa nei confronti della Lazio, dei medici Rodia e Pulcini, di Lotito. Tenuta in aria per un anno, pur se sul terreno cadevano rovinosamente le tesi. Rimbalzate, riprese, ricacciate. Accuse e richieste, la stesura delle memorie, l’arringa in dibattimento. Prima davanti al Tribunale federale, poi davanti alla Corte federale, poi al Collegio di Garanzia Coni, infine ancora nel secondo giudizio davanti alla Corte d’Appello. Chiné e Viglione, sempre loro. A febbraio e poi a fine aprile. Sempre loro nelle vesti dell’accusa e in quelle della Figc come resistente. Anche nell’ultimo mese e mezzo. Al Coni la parte resistente (la Figc) è toccata a Viglione, nella discussione del 19 ottobre avrebbe dovuto esserci Chiné che aveva preparato, redatto e consegnato le memorie. La sua presenza annunciata e scontata: citazioni di circolari ministeriali sui protocolli, l’intervista all’infettivologo Massimo Galli pubblicata da “La Gazzetta dello Sport” cinque giorni prima che il professore venisse indagato per associazione a delinquere, la richiesta di sanzione esemplare (leggi qui). Il giorno del giudizio proprio Chiné non poteva non esserci. Invece non sconcerto ma stupore: scoprire dal collegamento da remoto come nella stanza non ci fosse lui ma il suo vice, il procuratore aggiunto Giorgio Ricciardi. Un’altra inquadratura sul profilo del sostituto procuratore Luca Scarpa e un’altra ancora su quella di Giancarlo Viglione. Sarà mica per questo che era stata chiesta (e ottenuta) la discussione telematica? Un’altra domanda, invece: “A che titolo si deve la presenza del coordinatore delle segreterie degli organi di giustizia?”: è questa la domanda fatta verbalizzare dai difensori della Lazio, dei medici, di Lotito. Gentile e il professore Romano Vaccarella in queste ore stanno valutando se presentare un esposto “per una presenza completamente inopportuna e di abuso intimidatorio”. Presenza significativa quella di Viglione, tanto significativa quanto l’assenza di Chiné. C’è persino chi si sarebbe spinto oltre. Fino a spifferi velenosi: “Chissà, forse aveva capito la mala parata e non s’è presentato, se l’è risparmiata”. Nel corso del dibattimento si sarebbe poi però aggiunta un’altra fotografia nitida: Francesca Morelli avrebbe esposto poco e nulla. Proprio lei, la relatrice del collegio ex novo (leggi qui), il giudice di fresca nomina sportiva che aveva – da norme – sostituito il relatore nel precedente giudizio, l’ex giudice di Cassazione Maurizio Fumo; lei relatrice e lui presidente in giudizi della Suprema Corte sfociati poi in sentenze storiche (leggi qui), come quella della Quinta Sezione penale di Cassazione, la 18248 del 2016. Numeri e cifre, come quelle uscite sulla ruota del “caso-tamponi”, del “caso Lotito” nel corso di un intero anno. Sette, dodici, poi rinvio, poi due. Numeri estratti come fosse il gioco della tombola, numeri e cifre come le richieste avanzate dalla Procura nel corso di un anno. Tredici mesi e dieci giorni nel primo dibattimento, questa la misura della sanzione richiesta nei confronti di Lotito davanti al Tribunale federale nazionale (decisione n.132) in seguito al deferimento (9086/304Pf): sentenza d’inibizione dimezzata dai giudici (sette mesi) alla fine del dibattimento, per la Figc c’erano Ricciardi e Scarpa insieme a Chiné. Che, dopo un comunicato affilato, avrebbe impugnato la sentenza, portando la vicenda davanti alla Corte federale d’Appello, riproponendo (sempre nel dibattimento, sempre coadiuvato da Ricciardi e Scarpa) la stessa misura di sanzione (13 mesi e 10 giorni): elevata dai giudici da sette a dodici mesi, una misura che di fatto faceva decadere il presidente della Lazio dalla carica di consigliere federale. Campo libero fino al 7 settembre. Fino al dibattimento al Collegio di garanzia del Coni. Le memorie del calabrese Chiné e le sue tesi per conto della Figc difese dal lucano Viglione. Memorie, tesi, accuse franate in punta di diritto nel corso del dibattimento dal collegio che avrebbe così rispedito di nuovo la palla nell’altra metà campo; memorie, tesi e accuse sgretolatesi poi persino davanti alla Corte federale d’Appello, il 19 ottobre: due mesi d’inibizione per Lotito, dieci in meno del precedente giudizio davanti alla stessa Corte (ma con collegio diverso), cinque in meno del primo giudizio adottato dal Tribunale federale, undici (e 10 giorni) in meno della richieste iniziali formulate a febbraio. Da quel giorno una valanga di carte e di tempo, carte e tempo fino a quella riga del 19 ottobre 2021, il capo B del dispositivo della Corte federale d’Appello. Quelle otto parole – “respinge integralmente il reclamo proposto dalla Procura federale” – risuonate sinistre dentro la sede di via Campania, costola del Palazzo che ha sede in via Allegri. Lo sconcerto dell’una, la “serenità” dell’altro: sentimenti sui cui soffermarsi magari rileggendo una considerazione di secoli fa (“Il potere e la politica”) di Francesco Guicciardini. “Spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sí folta, o uno muro sí grosso, che non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa, o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India; e però si empie facilmente el mondo di opinione erronee e vane”. Così ammoniva seicento anni fa l’amico e interprete di Niccolò Machiavelli. Come interpretare, come provare a diradare la fitta nebbia tra il Palazzo del calcio e la piazza spettatrice, come interpretare quelle parole dell’avvocato Gentile, «lo sconcerto della Procura? Forse perché hanno indotto il presidente a rilasciare dichiarazioni che avrebbe potuto risparmiarsi», parole che come una traccia portano diritto diritto ai rapporti interni alla Figc? Domande, come altre. È forse stata la Procura a lasciare intendere a Gravina come sul caso tamponi l’avversario Lotito potesse essere finalmente eliminato? E se fosse stata proprio lei a trascinarlo su un percorso alla fine rovinoso? Quanto e come Gravina potrebbe prendere atto che la “gestione” e la “conduzione” anche di questo caso abbiano provocato una figuraccia evidenziando un corto circuito devastante tra gli organi della stessa giustizia sportiva, l’accusa e la giudicante? A Chiné e Viglione potrebbe mai essere – e come – presentato il conto? Domande che riportano indietro. A una frase di Gravina nel giorno della sua rielezione, riferita a Chiné – Procuratore capo dopo l’addio di Pecoraro e fresco di nomina (il 16 febbraio, la rielezione di Gravina il 22) al Gabinetto del Mef e oggetto di dossier al premier Mario Draghi (leggi qui) – sulla necessità che il pallone italiano avesse bisogno di interloquire anche con le finanze del Governo: «Voglio essere egoista nell’ipotizzare che la sua presenza ci possa aiutare». Preziosa pure la presenza di Viglione, considerato il “garante” del precedente patto elettorale, quello sancito nel 2018 con Cosimo Sibilia sotto la benedizione di Giancarlo Abete. E se Gravina fosse in un certo senso quasi prigioniero di alcune condotte di una giustizia sportiva che appare, se non fuori controllo, in qualche caso almeno fuori dai binari dell’aderenza alla realtà e al diritto e in altri invece completamente assente?

GRAVINAPREOCCUPATO

A freddo. All’iniziale sconcerto è subentrato il momento della valutazione. In Procura e in ambienti vicini alla Procura. Dopo la reazione emotiva, il momento della riflessione. Eccola. Una Procura federale che ricorra contro un altro organo della stessa federazione darebbe luogo a un corto circuito istituzionale: la Procura non è una parte qualsiasi ma quella parte che nel processo funge da “porta parola” della federazione. Allo stesso modo però la CfA è l’organo che la stessa Figc ha istituito e costituito (selezionando accuratamente nomi e curricula) per svolgere le funzioni di giustizia, organici rivoluzionati tra primavera ed estate (leggi qui). In questo caso il ricorso della Procura davanti al Coni sarebbe quindi molto inopportuno: è come se la Figc (tramite la Procura) facesse ricorso contro se stessa, cioè contro l’organo – la Corte federale d’Appello – che proprio lei ha creato. La riflessione a freddo riguarderebbe anche il merito del problema. Poiché la CfA ha ritenuto fondate tutte le ipotesi dì deferimento sopravvissute al giudizio davanti al Collegio di Garanzia, quale violazione di legge si potrebbe scovare per tenere in vita il processo con un nuovo ricorso al Collegio di Garanzia al Coni, sia pur magari tra mesi senza più il “discusso” Frattini? Sarebbe una missione definita “quasi” impossibile. Possibile resta invece la richiesta di risarcimento danni che valuta Claudio Lotito. Alla resa dei conti, alla fine del lungo giudizio, avanza cinque mesi di “pre-sofferto”. L’avvocato Gentile: «Teoricamente potrebbe esserci un diritto al risarcimento danni, ma bisogna vedere le scelte della persona. Lotito è uomo delle istituzioni, di questa istituzione. Certo, questa istituzione l’ha trattato male. Tecnicamente si andrebbe al Tar, ma ci sono cinque anni per poter azionare la causa».Così, mentre resta in sospeso la richiesta di risarcimento per il giudizio sportivo (la difesa come l’accusa è in attesa della pubblicazione delle motivazioni della sentenza) – ipotesi agitata e magari utile per un’altra serie di confronti – sul terreno resta la richiesta di risarcimento per i danni di immagine (e patrimoniali?) che Lotito ha “promesso” a Gravina dopo l’esclusione dal Consiglio federale del 30 settembre. Una situazione kafkiana, disse quel giorno il patron della Lazio. Chissà invece Kafka cosa scriverebbe di tutta questa vicenda. Chissà, magari come titolo potrebbe pure darle “Il fattore VC”.

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