Il giorno è arrivato. Domani si ritorna in aula, davanti ai giudici del collegio (presieduto da Proietti) del Tribunale federale Nazionale: il processo è nei confronti del deferito Alfredo Trentalange, l’ex presidente dell’Aia dimessosi a dicembre dopo l’esplosione del caso D’Onofrio: l’unico imputato è accusato di violazioni, omissioni e commissioni, sette sono i capi d’accusa (leggi qui) confezionati dalla Procura federale guidata da Giuseppe Chinè. Domani è il secondo tempo della partita, il secondo atto di un processo che di solito si celebra in gara unica, stavolta invece c’è stato bisogno dei supplementari: già, il supplemento di indagini (e di tempo) chiesto il 13 febbraio in aula dal capo della Procura Figc trovatasi spiazzata e impreparata davanti alla produzione di documenti presentati dal collegio difensivo di Trentalange (Berardo Giorgio Mattarella, Avilio Presutti, Paolo Gallinelli) che testimoniavano dei permessi rilasciati dalla Corte d’Appello di Milano all’ex capo della Procura arbitrale che, nonostante i domiciliari (dopo 4 mesi in carcere) per la condanna a due anni e 8 mesi per traffico internazionale di droga, aveva così potuto raggiungere Roma per lavorare nella sede Aia di via Campania, a due passi da via Allegri, la sede Figc. Supplemento accordato dai giudici sportivi alla procura sportiva, respinte invece le richieste del collegio difensivo. Stupore e imbarazzo però il 13 febbraio in aula: i colpi di scena uno dietro l’altro (il resoconto è qui). I colpi di scena però non sarebbero finiti nel corso di questo mese. La richiesta degli atti alla Corte d’Appello di Milano ha consentito a Chinè (nell’indagine ci sono anche l’aggiunto Ricciardi e Scarpa) magari di “scoprire” quanto la difesa di Trentalange aveva già scoperto: cioè che D’Onofrio avrebbe raggirato anche i giudici di Milano taroccando e falsificando firme e loghi nelle richieste di permessi per “uscire” dai domiciliari (tutta la vicenda è riassunta qui).
Cosa farà domani Chinè in aula? Cosa sosterrà? Domande sospese. Il procuratore federale ha lasciato in bianco le note e si riserva di parlare in aula mentre la difesa ha presentato nuove memorie in aggiunta a quelle del 13 febbraio e reitera le richieste: non solo il proscioglimento pieno, ma anche la produzione di atti, testimoni e la richiesta di un’eventuale sospensione del giudizio per consentire a chi s’è trovato con la propria firma taroccata da D’Onofrio di procedere per falso.
Il processo è a Trentalange, eppure tutti gli elementi pare s’accentrino su D’Onofrio: ma non è lui l’imputato, tanto più che grazie a escamotage normativo lui s’è sfilato dal processo sportivo. L’imputato è Trentalange e la difesa fa notare come ai fini disciplinari non tenga e regga nemmeno una delle sette accuse: e poi Trentalange avrebbe già pesantemente “pagato”, dimettendosi da presidente dell’Aia, assumendosi una responsabilità politica. Nota a margine: tra un mese, dopo una sequela di trattative, inciampi e sgambetti, si andrà a nuove elezioni. I fischietti voteranno per un candidato unico come da auspicio anche della presidenza federale (leggi qui): il candidato unico poi (Pacifici) è nel Comitato Nazionale, eletto lui insieme a Trentalange e ad altri componenti che pure sono tornati a candidarsi.
Si torna in aula domani: Chinè s’avvia a chiedere la condanna di Trentalange. Quanto chiederà? Prima di andare a processo non s’era intanto concretizzato il patteggiamento (leggi qui): Chinè aveva proposto tre mesi di inibizione; Trentalange, che aveva chiesto al massimo una sorta di ammonizione con diffida, aveva così rinunciato scegliendo di difendersi nel processo. In aula domani riecheggeranno le parole dell’accusa. E le argomentazioni della difesa. Ad esempio: è vero che l’Aia non s’è dotata di antidoti per sterilizzare i “casi D’Onofrio” ma è pur vero che non ce li ha ancora e al momento nemmeno la Figc (l’Aia è una costola e la questione dei controlli anche sulle note spese è lampante), che non esistono regole contro i raggiri come i tanti prodotti da D’Onofrio, che Trentalange è stato solo un presidente dell’Aia come tanti altri, come i suoi predecessori (ad esempio Nicchi cui Gravina un mese fa ha assegnato i compiti di capo delegazione della nazionale under 20, leggi qui) che pure loro non hanno coniato regole anti-raggiri e che erano presidenti quando ad esempio D’Onofrio era già nel sistema della giustizia arbitrale. I nuovi punti della tesi difensiva (leggi qui) insieme a quelli presentati nelle memorie del 13 febbraio, il cui stralcio è nelle righe (parecchie) da qui in poi.
Le memorie nella prima udienza. Ventuno pagine affilate che entrano dentro i meccanismi normativi e regolatori della Figc prima ancora che dell’Aia, che indagano nelle pieghe di vicende giudiziarie mai comunicate agli organismi arbitrali, che risalgono alla primogenitura delle nomine, che squassano i rapporti interni al mondo arbitrale ma anche federale, che aprono armadietti dentro i quali sono riposte ad esempio le note spese, le annotazioni che ripercorrono l’iter col quale si arriva alle nomine e che alla fine della giostra potrebbero racchiudersi tutte in due semplici, banali eppure fondamentali domande poste dal collegio difensivo di Trentalange: ma come si fa a pensare, nemmeno dubitare, che se Trentalange avesse saputo, avrebbe validato certe nomine? Ma cosa doveva fare Trentalange, chiedere ad esempio ai carabinieri o ai magistrati se la fedina penale di un candidato fosse immacolata pur se questa procedura non è prevista dalle norme e per giunta chi sapeva – dai magistrati della Procura di Milano a quelli del Tribunale di Sorveglianza – non aveva mai segnalato la posizione detentiva di Rosario D’Onofrio? Lui D’Onofrio, una sorte di asteroide – ludopatico e falsificatore – cascato sul pianeta pallone così (!), all’improvviso, ma solo perché pescato un’altra volta con le mani nella marmellata (droga)? Ad Alfredo Trentalange, scrivono nella premessa i difensori, “gli è capitato, in particolare, che un soggetto che da oltre venti anni operava nel mondo AIA senza che alcuno gli avesse mai addebitato alcunché, manifestasse in tutta la sua dimensione gli effetti di una patologia d’ordine psicologico della quale, ovviamente, solo ora si è scoperta l’esistenza, cioè la dipendenza dal gioco d’azzardo”, scoperta di cui la Procura Figc è venuta a conoscenza sì ma solo dopo il nuovo arresto e solo grazie all’acquisizione dei permessi rilasciati dal Tribunale di Sorveglianza per autorizzare il ristretto ai domiciliari D’Onofrio a recarsi dal terapeuta di fiducia. Ed è sempre grazie all’istruttoria della Procura federale dopo il nuovo arresto (novembre 2022) che si è scoperto come “già nel 2015 il D’Onofrio aveva cominciato la sua triste e silenziosa deriva: risulta infatti che nel 2015 gli fossero stati contestati i reati di esercizio abusivo di una professione, falsità materiale in certificati e sostituzione di persona. Di questi reati con tanto di pronunzia di messa alla prova da parte del Tribunale di Milano) nessuno aveva saputo niente perché quando nel 2016 il Presidente pro tempore (Nicchi) aveva nuovamente nominato D’Onofrio nella Commissione Nazionale di Disciplina, era stata seguita l’inveterata prassi per la quale alle persone note al sistema non veniva chiesto di documentare nulla circa i propri requisiti soggettivi.. Nicchi (a differenza di Trentalange) ha solo avuto la fortuna (nel quadriennio 2016- 2020) che la china segreta del D’Onofrio non assurgesse alle cronache e restasse confinata in ambiti privati non raggiungibili da alcuno che non fosse dotato dei poteri di polizia giudiziaria. Trentalange (da nuovo presidente Aia) non ha appunto avuto altrettanta fortuna. Anche lui, in mancanza di diversi obblighi regolamentari, si è attenuto alla prassi inveterata dell’Aia per la quale chi è noto non deve documentare alcunché. Il problema (per Trentalange) è che, nel suo caso, D’Onofrio è stato arrestato e che la notizia ha avuto una notevole eco mediatica”. Qui il collegio, sempre in premessa, aggiunge, sferzante. Trentalange certo, per evitare la mala sorte, avrebbe dovuto rivolgersi ai carabinieri… “…carabinieri, sto per nominare Rosario D’Onofrio alla carica di Procuratore di AIA, potreste fare qualche accertamento preventivo?…”. Esposizione paradossale per giungere a un dato di fatto, ribadito nel consiglio federale del 15 novembre 2022 e che risulta dalla lettura del verbale: neppure la Figc esige o chiede, per le proprie nomine, il certificato del casellario. La Figc chiede una semplice autodichiarazione. “Chiederla a D’Onofrio avrebbe prodotto realmente un risultato?” si chiedono e chiedono i difensori di Trentalange. Loro propendono per il no, però rimarcano: già nel 2015, sotto la presidenza Nicchi, “D’Onofrio era stato ritenuto responsabile del reato di falso dall’autorità giudiziaria”. Ragionare col senno del poi, scrivono i legali di Trentalange, è assai facile ma non si può contestare a Trentalange la mancata richiesta di documenti che accertassero l’assenza di precedenti; ipotesi che ”si giustifica soltanto a posteriori, una volta che siano conosciuti tutti i fatti”. Aveva già falsificato D’Onofrio: volete che non lo facesse di nuovo, che se ne facesse scrupolo?
La chiosa e Nicchi. Certo. Argomenta il collegio difensivo. “Certo, se nel 2016, innovando alla prassi, Nicchi avesse chiesto i precedenti a D’Onofrio la storia dello stesso D’Onofrio sarebbe forse finita lì. Forse sarebbe già venuto fuori allora che D’Onofrio aveva segretamente imboccato una cattiva strada e la sua carriera nell’Aia si sarebbe (forse) immediatamente arrestata lì. Ma anche Nicchi (come era sempre avvenuto nella prassi) non chiese nulla e D’Onofrio (che – si è scoperto solo dopo – era nel frattempo eroso da una grave forma di ludopatia) è rimasto nel mondo Aia. L’uso dell’avverbio “forse” non è stato casuale: purtroppo (s’è scoperto da poco) D’Onofrio era nel frattempo diventato uno spregiudicato criminale e in questa sua triste attività non aveva mancato né di falsificare documenti, né di esercitare abusivamente qualche professione, né di sostituirsi a qualcun altro. È quindi scontato che se anche nel 2016 gli fossero stati chiesti i precedenti (da Nicchi), sarebbe stato per lui un gioco da ragazzi presentare un’autocertificazione truccata. E non si parli di certificato del casellario: come emerge dalla discussione in Consiglio Federale del 19 dicembre 2022, il certificato non è richiesto neppure oggi. La conclusione ci sembra scontata: Trentalange è ritenuto meritevole di sanzione perché non avrebbe posto in essere quelle cautele che (secondo la Procura) avrebbero impedito l’evento. Ma, già sulla base delle semplici considerazioni fin qui effettuate, è evidente che si tratta di un’accusa implausibile. Nessuno (nemmeno Nicchi nelle tre precedenti legislature) aveva mai subordinato le nomine Aia alla produzione dei precedenti penali; ergo non si vede per quale ragione una prassi di oltre venti anni avrebbe dovuto essere innovata proprio da Trentalange. Se Nicchi nel 2016 avesse a sua volta chiesto i precedenti (ma ai carabinieri e non al D’Onofrio) è lì che si sarebbe arrestata la deriva del D’Onofrio. Ammesso che, senza un valido motivo, Trentalange avesse voluto innovare alla procedura e quindi chiedere a D’Onofrio (ai carabinieri non avrebbe potuto) di certificare i precedenti, è sicuro che D’Onofrio, così come aveva taciuto nel 2016 con Nicchi, non avrebbe avuto alcuna remora (avendo ormai molti conti con la giustizia) ad auto-dichiarare il falso”.
La domanda da un milione di dollari. Certo. Come è possibile che un pregiudicato, condannato (20 maggio 2020) e ristretto ai domiciliari (fino al 6 settembre 2022), possa muoversi liberamente per l’Italia? Per giunta, senza che i soggetti preposti alla sua sorveglianza (Tribunale, Corte di Appello, Forze dell’Ordine) se ne rendessero conto? Alla domanda, il collegio difensivo di Trentalange risponde chiedendosi, e chiedendo: “A maggior ragione come avrebbe potuto sospettarlo Trentalange?” Una situazione paradossale. Tanto più che “D’Onofrio, durante il suo stato di detenzione, ha chiesto apposite autorizzazioni per venire a Roma ad esercitare le sue funzioni da Procuratore e queste autorizzazioni gli sono state concesse dall’Autorità giudiziaria senza batter ciglio e senza che ne fossero minimamente informate né FIGC, né Aia (15 e 24 aprile, 13 e 27 maggio, 24 giugno, 8, 15 e 22 luglio)”. E dunque. “Se l’autorità giudiziaria avesse realmente esaminato le carte, nessuno avrebbe autorizzato D’Onofrio a esercitare le funzioni di Procuratore Aia pur essendo questi detenuto per un reato particolarmente odioso. Ed è allo stesso modo evidente che se dei permessi in questione fossero state notiziate FIGC e/o AIA, anche qui l’espulsione di D’Onofrio sarebbe stata immediata. Nulla di tutto questo, purtroppo, è successo. E l’unico che dovrebbe pagare è Trentalange? Per non aver chiesto un’autocertificazione? L’evento è la conseguenza di una condotta criminale costellata di artifizi e raggiri, che nessuno ha portato a conoscenza di AIA; neppure l’autorità giudiziaria quando ha concesso al D’Onofrio di esercitare l’attività di Procuratore pur essendo sottoposto a misura restrittiva della libertà personale”.
Accusa per accusa, punto per punto. Una mostruosità giuridica. Così il collegio difensivo cataloga il capo d’accusa della Procura secondo cui Trentalange sarebbe responsabile perché nel 2009 “fu lui a segnalare D’Onofrio per la sua prima nomina in Commissione Disciplina Nazionale”. In sostanza, “la Procura ha così coniato una nuova figura di responsabilità: l’aver segnalato una persona a chi quella persona ha il potere di nominare a un determinato incarico, rende il segnalatore oggettivamente responsabile per tutti i fatti e i misfatti che la persona segnalata porrà in essere nel corso di tutta la sua futura vita. Si tratta ovviamente di una mostruosità giuridica. Rispondo della scelta, al momento della scelta e soltanto per fatti già verificati e conoscibili al momento della scelta. Quello che succederà dopo lo sa solo Dio”. Nel 2009 – ricorda il collegio – D’Onofrio era “un tranquillo ufficiale dell’esercito e godeva della stima di persone influenti in Aia, diverse da Trentalange. Dunque, anche la circostanza secondo cui Trentalange lo avesse “consigliato” non assume rilevanza nella vicenda; inoltre, il regolamento Aia affida al presidente il potere di proposta dei componenti della giustizia domestica e non menziona il termine “consiglio”. E dunque la proposta, nel 2009, nel 2012 e nel 2016 è responsabilità di Nicchi”. Altro capitolo riguarda l’accusa, avanzata dalla Procura nel deferimento, di un “rapporto tra Trentalange e D’Onofrio”. Per la difesa è un castello accusatorio di… cartapesta, invece per l’accusa se ne rileverebbero le tracce anche in una telefonata fatta da Trentalange a un membro del collegio giudicante (Sandroni) nel 2018 per “chiedergli di non infierire su D’Onofrio a proposito delle sue capacità di giurista”. A riprova, l’accusa ha allegato deposizioni e audizioni, tra cui quelle di Bolley e Stragapede. “Stranamente, pur riferendosi a fatti di tanti anni fa, alcune deposizioni non divergono neppure di una sillaba tra soggetto e soggetto”, annota maliziosamente il collegio difensivo di Trentalange. Per il quale, invece, risulta agli atti che “mai nessuno avesse chiesto di formalizzare verso chi di dovere segnalazioni di inadempimento o sostituzione”. Un rapporto consolidato di amicizia tra i due? Nell’indagine la domanda è stata rivolta tra gli altri anche a Francesco Meloni, lo storico segretario dell’Aia sotto le varie presidenze Nicchi e adesso dipendente in Figc. Alla domanda (“Ha avuto contezza che Trentalange avesse un rapporto d’amicizia con D’Onofrio?”), Meloni ha fatto mettere agli atti: “Assolutamente no”. Altra tesi dell’accusa è che Trentalange avrebbe dovuto accorgersi che qualcosa non andava perché D’Onofrio era “scarsamente presente negli uffici e perché avrebbe condotto negligentemente la sua attività”. Sul punto è stato ascoltato il segretario della Procura Aia, Rutigliano. La domanda: “Nessuno dei vertici AIA le chiese mai lumi in ordine al fatto che D’Onofrio veniva in sede molto raramente?”. Risposta: “Preciso che D’Onofrio disse a me, ma, per quanto ne so, anche ai vertici AIA, che nei primi mesi del 2021 aveva avuto prima il COVID e poi un intervento chirurgico di natura ortopedica, poi ripetuto, a suo dire, perché il primo era andato male”. La difesa di Trentalange annota: il presidente dell’Aia non deve controllare l’accesso agli uffici ma intervenire solo se ci sono casi di “sofferenza”. E “sofferenze” non ce n’erano, vista la mole di lavoro prodotta (1754 aperti e chiusi nel 2021, 299 chiusi su 335 fino al giorno dell’arresto: così la difesa). Sulla veridicità della “produzione” è stato sentito l’avvocato Matteo Grassi, sostituto procuratore nazionale Aia che la difesa voleva fosse ascoltato in dibattimento: richiesta rigettata il 13 febbraio dal collegio della terza sezione del Tribunale federale dopo la camera di consiglio e reiterata nelle nuove memorie .
Gemmazione e smontaggio. Per i difensori di Trentalange, la Procura ha costruito una serie di addebiti su gemmazione. Ad esempio sul conferimento del premio “Lo Bello” a D’Onofrio: “Ma se la Corte d’Appello di Milano non aveva lanciato alcun segnale, come poteva sapere Trentalange?” e che “nessun controllo penale è stato mai compiuto da Aia o Figc per conferire un premio” mentre sulla qualifica di arbitro benemerito, sottolineano che “non è prevista la specifica produzione di certificati di nessun tipo quanto all’assenza di precedenti penali perché tutti gli arbitri ordinariamente hanno l’obbligo di segnalare, con immediatezza e per iscritto, al presidente sezionale le sentenze dichiarative personali di fallimento o di liquidazione giudiziale, gli avvisi di garanzia ricevuti e la pendenza di procedimenti penali per reati dolosi, le misure restrittive della libertà personale cui si è sottoposti, i provvedimenti di divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive, le sentenze penali di condanna per reati dolosi anche non definitive”. Ergo: non si chiedono nuove autocertificazioni in sede di conferimento del titolo d’arbitro benemerito. Altro capo d’incolpazione è incentrato sulla comunicazione delle dimissioni di D’Onofrio nel corso del consiglio nazionale Aia a Caltanissetta. “Qui la Procura raggiunge l’inverosimile. A Trentalange si contesta che prima di comunicarle ai presenti avrebbe dovuto verificare l’autenticità della firma e ritenerla poi falsa perché apposta in maniera dissimile rispetto ad altre poste dal D’Onofrio e perché proveniente da indirizzo di posta elettronica del fratello”. Innanzitutto “nessuno, neppure un grafologo, avrebbe potuto accertare su due piedi la falsità della sottoscrizione. La Procura si è attardata a svolgere le funzioni del grafologo e ci ha fatto notare che normalmente D’Onofrio anteponeva il cognome al nome; peccato che le richieste di rimborso spese in atti (ben note alla Procura per averle acquisite) rechino (per la maggior parte) una firma con il nome (Rosario) anteposto al cognome (D’Onofrio). La prospettazione accusatoria della Procura è assurda. E non tiene conto della sospensione cautelare obbligatoria e, sempre la Procura, ha omesso di riferire il tenore della deposizione di Cavaccini presente a Caltanissetta”.
La telefonata, Sandroni e… Nicchi. Sulla dichiarazione di Sandroni che afferma di aver ricevuto una telefonata da Trentalange (qualche giorno dopo il 25 maggio 2018) che lo “pregava di essere clemente nei confronti di D’Onofrio” la difesa ritiene il capo di incolpazione inammissibile “per il principio della obbligatorietà della segnalazione e per quello della tempestività dell’azione”. Però, prima ancora, sottolinea come “la presunta telefonata riferita da Sandroni non c’è mai stata, perché, come riferisce Sandroni, si sarebbe trattato di telefonare ad un protegè di Nicchi. Ora, ci domandiamo? Trentalange era (ed è) così sprovveduto da esporsi con un protegé di Nicchi per chiedergli un favore? La verità sta altrove. Se Trentalange avesse veramente effettuato quella telefonata, i suoi antagonisti nell’AIA (e Sandroni non è certo il tipo da non segnalare un fatto del genere, visto quanto dichiarato in sede testimoniale) non avrebbero mancato di farlo processare così da eliminare uno scomodo rivale nella tornata elettorale del 2020, svoltasi per il Covid nel 2021 (che invece ha visto prevalere il Trentalange sul Nicchi)”. Dal punto di vista logico, scrive il collegio difensivo, il capo d’incolpazione non sta in piedi, tenuto anche conto di quanto insegna la Corte di Cassazione nel valutare “la credibilità del dichiarante desunta anche dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota o prossima che lo hanno indotto all’accusa”. E ancora: l’addebito sarebbe comunque prescritto. Perché la telefonata sarebbe avvenuta a maggio 2018, e da quella data Sandroni avrebbe dovuto segnalarla alla Procura: secondo l’art.45 del codice di giustizia Coni il diritto di sanzionare si prescrive nel termine della quarta stagione successiva al fatto. Dunque, la prescrizione maturata a fine giugno 2022. “Singolare – argomenta la difesa – che Sandroni a suo tempo si sia guardato dal segnalare una (inesistente) telefonata che oggi invece ritiene meritevole di censura”. E infine: “La telefonata non c’è stata. Solo un matto l’avrebbe effettuata. Se fosse avvenuta, Sandroni non si sarebbe fatto scappare l’opportunità di denunciare Trentalange. Ma prendiamo per un attimo in considerazione l’opposta ipotesi, che cioè Trentalange abbia davvero invitato Sandroni a non esagerare con i rimbrotti nei confronti di D’Onofrio. Ebbene che illecito disciplinare è una supposta telefonata del genere?”.
I 4000 euro, Dionisi, Brunelli e i controlli Figc. “Siccome D’Onofrio (vittima della sua ludopatia) è riuscito a sottrarre all’AIA circa quattromila euro creando dei titoli di spesa falsi, la Procura ritiene che la colpa sia del Trentalange. Ovviamente non si addebita al Trentalange di aver falsificato alcunché ma soltanto di non aver apprestato un adeguato sistema di controlli capace di prevenire la truffa. Dunque anche qui il solito refrain: D’Onofrio pone in essere condotte truffaldine e la colpa è di Trentalange in termini di colpa in vigilando. E la risposta, sul piano dommatico, non può che essere la stessa: non si risponde di colpa in vigilando allorché risulti che il fatto non avrebbe potuto essere evitato con la ordinaria diligenza. E una condotta truffaldina è sempre idonea a far cessare il nesso eziologico tra la condotta del vigilante e il fatto del vigilato. D’altra parte (ed in via assorbente), la Procura non si è accorta che il presente capo di incolpazione è radicalmente escluso dal disposto dell’art.35 del regolamento Aia”: così il collegio difensivo. L’art 35 del regolamento Aia rimette alla Figc il potere di regolare “l’attività amministrativa e contabile dell’AIA (e quindi anche la materia dei rimborsi spese)” e stabilisce che “la vigilanza e le verifiche amministrative e contabili sugli Organi Direttivi Centrali spettano al Collegio dei Revisori dei Conti della FIGC e agli organi a ciò preposti della Segreteria Generale della FIGC”. Era dunque la Figc a dover approntare efficaci sistemi di controllo; ed era la Figc che doveva controllare: questo l’affondo del collegio difensivo di Trentalange. “Quello che è mancato è la diligenza di chi doveva effettuare i controlli”. E qui il collegio difensivo riporta date e azioni. Il 5 aprile 2019 (molto prima della nomina di D’Onofrio), il segretario pro tempore dell’Aia scrive ad Angelo Donisi: “Nell’ambito della riorganizzazione dell’ufficio rimborsi AIA, ti chiedo di sovrintendere al processo di raccolta, controllo e autorizzazione per la messa in liquidazione dei rimborsi… dovrai attenerti alle disposizioni contenute nella policy FIGC”. Di tenore simile è la nota (12 maggio 2021) di Silvia Moro, il nuovo segretario dell’Aia che si rivolge alla Neri della Figc “per comunicare che attualmente il collega Angelo Donisi visualizza, controlla e approva i rimborsi spese della dirigenza associativa nazionale AIA”. I difensori annotano come “il contenuto della direttiva del Meloni (reiterato dalla Moro) è chiaro: Donisi avrebbe dovuto occuparsi dei controlli. Il Donisi, nella sua deposizione, ha invece riferito che lui sarebbe stato investito soltanto di un controllo estrinseco: avrebbe cioè dovuto limitarsi a verificare che le spese fossero quelle indicate nella distinta e che i titoli giustificativi fossero apparentemente legittimi, fossero cioè dotati di PNR, CP e di QRCODE. Le cose non stanno come le dice Donisi. I documenti parlano chiaro: egli avrebbe dovuto controllare e non limitarsi a un controllo estrinseco. Ma c’è di peggio. Basta infatti guardare i biglietti in questione per rendersi conto che Donisi non ha effettuato neppure un controllo superficiale di quello che gli passava sotto gli occhi. Infatti, non appena le carte sono passate davanti al segretario generale della Figc Brunelli, questi (come dichiarato nella sua deposizione) si è immediatamente reso conto che i biglietti dei quali era chiesto il rimborso ad opera del D’Onofrio mancavano di un elemento essenziale, vale a dire del QRCODE. In sostanza, Donisi (che ha dichiarato di controllare che almeno il QRCODE esistesse) non si è accorto nemmeno (come invece si è accorto il Brunelli) che i biglietti prodotti dal D’Onofrio erano farlocchi perché privi (32 su 35) di un elemento essenziale: il QRCODE. È come se il Donisi avesse preso per buona una banconota da 50 euro sul cui frontespizio non era impressa l’effigie di Europa! Dunque le regole vigenti avrebbero consentito di stanare il D’Onofrio e che se viceversa ciò non è avvenuto non è colpa della mancata produzione normativa di Trentalange (che peraltro non ne avrebbe avuto il potere, spettando essa alla FIGC) sibbene del comportamento negligente in sede di controllo ad opera del funzionario preposto“.