Processo Trentalange: 3 mesi all’ex presidente Aia. Il tribunale dimezza le richieste della Procura. Chinè: “Caso come quello di Pastore”

Il verdetto del Tribunale federale sulla vicenda D'Onofrio. Dibattimento acceso. L'affondo del procuratore Figc: «Mai più un caso così in Federazione». La dura replica del collegio difensivo
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Tre mesi d’inibizione. Il sibilo del fischio arriva nel tardo pomeriggio, dopo tre ore di dibattimento in aula e due camere di consiglio, la seconda è quella che ha stampato la sentenza di condanna, letta e diffusa sotto forma di dispositivo: per leggere le motivazioni toccherà aspettare qualche giorno. Intanto, tre mesi d’inibizione, la metà di quelli che aveva chiesto la Procura federale. È questa la sanzione che il collegio del Tribunale federale Nazionale presieduto da Roberto Proietti ha inflitto ad Alfredo Trentalange, l’ex presidente degli arbitri processato per violazioni, commissioni e omissioni (sette i capi d’accusa contestatigli nel deferimento, leggi qui) nell’ambito dell’ormai famigerato caso di Rosario D’Onofrio, l’ex capo della Procura Aia riarrestato il 10 novembre 2022 per traffico internazionale di stupefacenti. Tre mesi d’inibizione: è però soltanto un fischio parziale, chiude il primo tempo di una partita ancora lunga, perché la contesa potrebbe passare sul tavolo della Corte federale d’Appello per poi arrivare (probabile) davanti al Collegio di Garanzia del Coni. Soltanto allora arriverà il triplice fischio di una partita affilata, nervosa, piena di colpi e contraccolpi, ricca di colpi di scena e disseminata di scivoloni in ordine sparso. Tre mesi intanto, la difesa aspetta le motivazioni per decidere il da farsi. Cosa farà Chinè, dopo quest’altra giornata affilata?

Le schermaglie. Nervosismo e scivoloni registrati pure nell’udienza del processo di primo grado, ripreso in mattinata dopo l’interruzione del 13 febbraio. La sentenza di condanna è arrivata invece al termine di una lunga camera di consiglio, seguita al dibattimento in aula: anche il dibattimento durato parecchio, causato da un’interruzione per un’altra camera di consiglio nella quale i giudici avevano esaminato le richieste di produzione atti della difesa e il parere dell’accusa che vi si opponeva. Produzione di atti alla fine ammessa, non ammessi invece i testi (tra cui Rutigliano, Mancini, Grassi): il dibattimento sarebbe così proseguito in aula con una (parziale) vittoria per il collegio difensivo dell’ex presidente dell’Aia presente in aula e un leggero scivolone per Chinè che pure proprio su quegli atti (in particolare quello sui permessi chiesti da D’Onofrio alla Corte d’Appello di Milano per potersi recare nella sede di via Campania a Roma) il 13 febbraio in aula (leggi qui), dopo essersi fatto trovare impreparato e spiazzato dalla produzione dei permessi presentata dalla difesa, aveva chiesto di indagare e verificare anche lui, chiedendo e ottenendo così un supplemento d’indagine e di tempo.

Il caso, lo scontro. Tornando un attimo indietro nel tempo. Chinè chiede il 13 febbraio un rinvio, per acquisire quello che D’Onofrio aveva presentato per ottenere i permessi. Ottiene il rinvio e l’ottiene perché il procuratore capo Figc e il Tribunale federale ritengono che si tratti di atti importanti: altrimenti il Tribunale federale Nazionale non avrebbe potuto autorizzare la richiesta della Procura. Arrivano le carte e la difesa di Trentalange commenta con memorie, documenti e nuove contro-richieste su quanto la Procura aveva ottenuto di depositare dal tribunale federale. “Deposito inammissibile”, ha tuonato invece Chinè. La difesa ha replicato così: “Ma come? Se tu Procura depositi qualcosa nel corso del processo, io difesa (come avrei potuto fare se tu Procura avessi depositato allora) ho il diritto di difendermi come credo”. E qui è intervenuto il Tribunale federale che nelle vesti di Salomone s’è così espresso nei confronti della difesa. “I documenti li puoi depositare ma non puoi chiedere di vedere se i documenti prodotti dalla Procura esistono per davvero. E non puoi chiamare Rutigliano perchè dica se i documenti che lui avrebbe firmato esistono per davvero oppure no”. E qui, la scappatoia del Tribunale federale Nazionale dopo la camera di consiglio: “Si tratta di prove irrilevanti”. Qui però corre l’obbligo di rilevare e ricordare – non a difesa di qualcuno ma solo come testimonianza dell’accaduto – come era stato proprio il Tribunale federale a dire, su richiesta della Procura, che l’argomento era rilevante ai fini della decisione e quindi aveva per questo deciso di aggiornare l’udienza del 13 febbraio al 17 marzo: così per permettere alla Procura guidata da Chinè di fare un supplemento di indagini. Certo, sarebbe stato interessante ascoltare Rutigliano (il segretario della procura Aia) e chiamarlo a testimoniare, in fondo sarebbe bastata una domanda: i documenti prodotti da D’Onofrio alla Corte d’Appello di Milano per ottenere i permessi sono stati falsificati oppure no, è tua la firma oppure no, i loghi sono dell’Aia oppure no?

Il punto. Eppure quegli atti, come testimoniato dalla difesa, riportavano come D’Onofrio avesse raggirato anche la Corte d’Appello di Milano (leggi qui e qui). Chinè se ne sarà accorto, però poi in aula s’è opposto all’ammissione, provocando lo stupore del collegio difensivo: ma come, prima chiedi tempo e supplemento e poi, dopo aver indagato, non ne fai menzione? Del resto Chinè s’era conservato le risposte, niente aveva scritto nelle memorie, riservandosi l’esposizione in dibattimento: magari per provare a intuire le mosse della difesa senza dar spunti. I giudici del tribunale, riunitisi in camera di consiglio, hanno comunque bocciato l’opposizione di Chinè, ammettendo quegli atti definendoli però “non importanti” ai fini del processo. Schermaglie e atteggiamenti che produrranno di sicuro un ricorso al Collegio di Garanzia per una serie di violazioni istruttorie: almeno questo è il pensiero del collegio difensivo di Trentalange, composto dagli avvocati Giorgio Bernardo Mattarella, Avilio Presutti, Paolo Gallinelli e Marco Laudani.

L’accusa. Sei mesi d’inibizione è quanto aveva chiesto in dibattimento il procuratore capo della Figc Giuseppe Chinè (del resto sulla misura della sanzione ci si poteva orientare, visto che nella fase di patteggiamento poi non conclusosi, leggi qui, aveva chiesto tre mesi di sanzione) richiesta bilanciata – secondo il procuratore Figc – tra la continuazione degli illeciti contestati e l’attenuante delle avvenute dimissioni da tutte le cariche nell’Aia. In aula la tensione si è tagliata a fette, animi surriscaldati tra accusa e difesa: interruzioni, precisazioni, colpi di fioretto ma anche di spada. Il procuratore federale (l’indagine porta la firma anche di Scarpa e il deferimento anche quella di Ricciardi) ha usato toni forti, ha alzato il timbro della voce, è andato anche d’iperbole. “Questo caso è un caso gravissimo, un caso mai successo in Figc, un caso che non dovrà mai più accadere per la Figc”. Un’arringa dura, affilata: l’esposizione dei capi d’accusa, l’elenco delle responsabilità, i motivi per cui Alfredo Trentalange doveva essere condannato. Con tanto d’iperbolico (ma chissà quanto aderente) esempio portato in aula: quello cioè legato all’ex presidente del Comitato Figc della Campania, il defunto Enzo Pastore che nel 2018 fu inibito per cinque anni (con preclusione, nel deferimento comparivano 1272 gare ritenute irregolari, 357 i club coinvolti) dalla Corte federale d’Appello per “aver posto in essere condotte rivolte ad alterare il risultato di gare e l’esito de campionati”. Uno svolazzo e un abbinamento davanti ai quali Trentalange pare sia sbiancato mentre la difesa sottolineava come l’esempio non fosse attinente al procedimento, agli atti, ai fatti.

La difesa. Come già esposto in precedenza (leggi qui e qui) il collegio difensivo ha sottolineato come tutte le accuse siano infondate, come Trentalange abbia già pagato politicamente con le dimissioni, che abbia accettato il processo per difendersi nel processo, che nel processo non esistano e non emergono profili di responsabilità disciplinari (a pagare lui e il presidente della sezione di Cinisello, leggi qui), che alcune delle accuse siano delle duplicazioni, che l’intero procedimento sia stato caratterizzato da una serie di violazioni istruttorie e che non sia stato celebrato seguendo il dettato del codice di giustizia Coni, che si rivendicano quindi i termini di un giusto ed equo processo. E che, in sostanza, la sentenza di condanna per Trentalange fosse già scritta. Come il finale sbrigativo per chiudere al più presto una storia che invece meriterebbe un’approfondita indagine su responsabilità, omissioni e violazioni dell’intero sistema, come un frettoloso voltar pagina e incamminarsi verso le nuove elezioni Aia (leggi qui). “E l’unico che dovrebbe pagare è Trentalange? Per non aver chiesto un’autocertificazione? O avrebbe dovuto chiamare preventivamente i carabinieri per dire: scusate, sto per nominare Rosario D’Onofrio, avete qualche informazione su di lui? L’evento è la conseguenza di una condotta criminale costellata da artifizi e raggiri che nessuno ha portato a conoscenza dell’Aia, neppure l’autorità giudiziaria quando ha concesso al D’Onofrio di esercitare l’attività di Procuratore pur essendo sottoposto a misura restrittiva della libertà personale”. Parole su cui riflettere. Ma c’è chi ne avrà voglia?

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