Quei tre mesi d’inibizione sono comunque un fardello, costituiscono un’onta da mondare, rappresentano una macchia da levare, perché non ci sono responsabilità, omissioni, violazioni: questo pensa Alfredo Trentalange e questo pensa il collegio difensivo dell’ex presidente dell’Aia, il loro pensiero rinvigorito dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza presa il 17 marzo (leggi qui) dal collegio del Tribunale federale Nazionale. Per questo gli avvocati Mattarella, Presutti, Gallinelli e Laudani presenteranno ricorso alla Corte federale d’Appello Figc prima di approdare (nel caso) al Collegio di Garanzia del Coni: “l’imputato Alfredo Trentalange va prosciolto da ogni addebito”. Quei tre mesi d’inibizione sono forse il massimo che si poteva ricavare, probabilmente oscillano penzolando come un’onorevole via di uscita da un labirinto dentro il quale s’erano infilate Figc e procura federale dopo l’esplosione a novembre 2022 del caso Rosario D’Onofrio, il procuratore capo degli arbitri (ri)arrestato per traffico internazionale di stupefacenti dopo una precedente condanna, quei tre mesi d’inibizione sono forse il massimo che si poteva ottenere dopo tre mesi di indagine, le richieste suppletive d’approfondimenti e acquisizioni, la sospensione (ottenuta) del procedimento in aula e un dibattimento affilato (leggi qui, qui e qui): magari sono questi i pensieri che in questi giorni affollati da altri procedimenti scottanti affollano i pensieri di Giuseppe Chinè. Il procuratore capo della Figc sta valutando il da farsi, pare potrebbe non presentare ricorso alla Corte federale d’Appello: i sei mesi che aveva chiesto in primo grado si sono plasticamente dimezzati nella sentenza del tribunale federale presieduto da Roberto Proietti, relatori Valentina Ramella e Andrea Giordano. Nel castello accusatorio dei sette capi d’accusa ne sono rimasti in piedi due e, tra le righe, in quei due capi d’accusa che hanno portato a tre mesi d’inibizione s’intravedono larghe maglie nelle quali potrebbero cadere, fino a diventare pure loro briciole. Un’altra bolla di sapone? Altro baccano per nulla? Chissà. Stupore e sorpresa continuano. Dopo mesi.
Le motivazioni. Intanto Trentalange inibito per tre mesi (era stata anche la misura del patteggiamento proposta da Chinè, misura rifiutata dall’ex presidente dell’Aia che aveva scelto di difendersi in aula, leggi qui) perché, secondo i giudici del Tribunale federale nazionale, riconosciuto colpevole di due dei sette capi d’imputazione, nello specifico i punti a) ed e). Eppure, a leggere le motivazioni, anche questi due capi lasciano aperte parentesi, riducono sensibilmente il grado di colpevolezza dell’ex presidente degli arbitri sul quale è piovuto, come un asteroide, un soggetto (D’Onofrio) definito dagli stessi giudici del Tfn “dalla straordinaria attitudine mistificatoria”. E dunque il capo a (“per aver omesso di assumere qualsiasi iniziativa…volta ad accertare i requisiti di professionalità e moralità di D’Onofrio prima della sua nomina a procuratore Aia”) parzialmente fondato ma inevitabilmente scisso: cioè per i giudici poteva Trentalange accertarsi dei requisiti professionali ma non certo di quelli morali. “L’esame degli atti acquisiti al fascicolo de dibattimento consente di affermare che D’Onofrio avesse astutamente occultato il proprio coinvolgimento nei procedimenti penali attraverso una serie di artifici e dichiarazioni non veritiere addirittura recandosi presso la sede Aia in costanza di misura cautelare per svolgere le proprie funzioni o partecipare a riunioni (le attestazioni firmate dal segretario Aia Rutigliano e le autorizzazioni della Corte d’Appello di Milano: atti prodotti dalla difesa e poi acquisiti, dopo la richiesta di supplemento indagini, dalla Procura federale). Dalle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini svolte dalla Procura Federale è emerso, inoltre, che la situazione “processuale” coinvolgente il D’Onofrio, il suo stato di detenzione e il precedente riportato, non erano noti né ai soggetti che con lui collaboravano in Aia (le dichiarazioni di Rutigliano del 17 novembre 2022) né a coloro che più assiduamente lo frequentavano (le dichiarazioni di Sarsano del 24 novembre 2022), avendo tutti dichiarato di non aver avuto alcun sentore di quello che poi sarebbe stato platealmente evidente circa la condotta del D’Onofrio. Lo stesso ex presidente Nicchi, in fase d’indagini ha confermato che, prima della nomina a procuratore Aia, non vi fossero “rumors” su D’Onofrio. Neppure chi, per rapporti amicali, ha riferito di essersi trovato in situazioni oggettivamente paradossali presso l’abitazione del D’Onofrio (dichiarazioni di Sarsano del 24 novembre 2022), ovvero ha riferito di dubbi circa la sua candidatura (dichiarazioni di Rosciano del 21 novembre 2022), ha poi ritenuto di segnalare o denunciare alcunché ai vertici Aia; sicché non pare potersi affermare la sussistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto essere percepiti o rilevati dal presidente Trentalange secondo ordinaria diligenza. Né pare potersi ritenere fondante un rimprovero a titolo di colpa al deferito in relazione alla mancata richiesta di esibizione di un’attestazione di assenza di pendenze e precedenti penali al D’Onofrio. Gli artifici posti in essere da quest’ultimo e accertati in atti consentono di ritenere, con probabilità vicina alla certezza, che una eventuale certificazione o autocertificazione sarebbe stata inevitabilmente altrettanto silente circa l’effettivo status del nominando procuratore nazionale; e, in ogni caso, ai sensi dell’art. 42 del Regolamento Aia, l’assenza di condizioni ostative e pendenze era di fatto già stata “attestata”, ancorché sempre artificiosamente, dal D’Onofrio con dichiarazione comunque rilevante per l’ordinamento domestico, annualmente rinnovata. Anche successivamente alla nomina, peraltro, il D’Onofrio dichiarava l’assenza di condanne a suo carico (circostanza in quel momento rispondente al vero per quanto risulta agli atti) omettendo di essere però stato destinatario di un provvedimento di messa alla prova che, come noto, è iscritto nel casellario giudiziario”.
I requisiti professionali e il teste Sandroni. I giudici del tribunale federale ritengono fondato il capo a) dell’accusa ma solo sotto il profilo dell’accertamento dei requisiti professionali di D’Onofrio e comminano a Trentalange parte della misura d’inibizione fondando così l’addebito sulle dichiarazioni rese da Andrea Sandroni, l’ex componente della Commissione di Disciplina dell’Aia che aveva riferito di una telefonata fattagli da Trentalange a maggio del 2018 (otre quattro anni dopo, quindi) dopo aver messo per iscritto una contestazione mossa a D’Onofrio, autore di una delibera “sciatta e frettolosa”, ritenuta tanto inaccettabile da risultare “irriguardosa per gli stessi soggetti a cui vengono comminate sanzioni” . Il 29 novembre 2022 Sandroni così ricordava l’accaduto nel corso dell’interrogatorio. “Nel 2018 quando ero vice-presidente della Commissione di Disciplina ricordo che in una riunione affrontammo il problema dell’accumulo dei fascicoli, ricordo che formammo due sottocommissioni e Paolo D’Agostini mi chiese di ospitare nella mia sottocommissione il D’Onofrio. Gli affidai una delibera piuttosto semplice, questioni sul fatto, con preghiera, consapevole dei suoi ritardi, di consegnarla con congruo anticipo rispetto al termine, questo non avvenne nonostante numerose mail tra noi due tant’è che mi vidi costretto a inviargli una mail, di cui vi consegno copia, con la quale gli scrivevo che avevo rilevato nella sua redazione una sciatteria non accettabile, la definivo addirittura irriguardosa nei confronti dei deferiti e affermavo che non era concepibile il suo approccio superficiale. La mail, per correttezza, la inviavo per conoscenza anche a Paolo D’Agostini. Ricordo bene perché, e vi prego di credermi, durante il mio mandato in Commissione non ho mai ricevuto nessuna telefonata da parte di qualche componente del Comitato Nazionale tranne in questo caso dove appunto qualche giorno dopo la mail di cui vi ho appena parlato mi chiamò Alfredo Trentalange, ripeto me lo ricordo bene, stavo guidando, comparve il numero del cellulare di Trentalange sul video del bluetooth dell’auto, stavo entrando nel mio garage e lasciai la macchina a mia moglie per rispondere. Mi disse che era al corrente di un mio rimbrotto nei riguardi di Rosario D’Onofrio e aggiunse testualmente “guarda Andrea Rosario è un po’ arruffone ma è un bravo ragazzo”. Risposi che non lo mettevo in dubbio ma ritenevo che era totalmente inadatto per l’incarico affidatogli. Lui confermava quello che dicevo io ma mi sembrava anche che cercasse di rabbonirmi, non mi sembrava un gesto elegante, preciso che non fece altro che cercare di rabbonirmi e mi invitava ad essere comprensivo nei confronti di D’Onofrio”.
Secondo i giudici, in base a questa dichiarazione, Trentalange era dunque a conoscenza di doglianze sulla preparazione di D’Onofrio e avrebbe dovuto accertarsi della sua attitudine a ricoprire poi il ruolo di procuratore capo, nomina fatta a marzo del 2021. Però su quella telefonata del maggio 2018 si fondava specificatamente il secondo capo (b) dell’accusa (“Trentalange interferiva con l’attività, le prerogative, l’autonomia e l’indipendenza di un organo della giustizia sportiva per difendere D’Onofrio”), secondo capo dell’accusa però non accolto dai giudici del tribunale federale che, accogliendo l’eccezione della difesa, hanno riconosciuto come sia giunta la prescrizione, “avuto riguardo al momento consumativo della violazione contestata (maggio 2018), è decorso il termine di cui all’art. 40, comma 1, lett. d), CGS, della quarta stagione sportiva successiva a quella in cui è stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzare la condotta illecita”. Da questo si ricava ciò: la telefonata ricevuta da Sandroni che riferisce dell’intromissione di Trentalange non può essere un capo specifico d’accusa però può essere utilizzata per affermare che (capo d’accusa a) Trentalange era a conoscenza del grado di “preparazione” di D’Onofrio e dunque poteva adottare accorgimenti e verifiche. È un punto importante che in secondo grado potrebbe portare anche allo smantellamento della sanzione specifica comminata.
Gli altri capi d’accusa e i rimborsi. Il tribunale federale ha poi ritenuto non fondati altri capi d’accusa (nello specifico i punti c, d, f e g) e dunque in sintesi il controllo dei requisiti per l’attribuzione del premio “Lo Bello”, il controllo sulla presenza costante e continuo in ufficio a Roma, l’aver distribuito nella riunione del Comitato a Caltanissetta un documento firmato da D’Onofrio non veritiero, l’aver letto nel consiglio federale del 15 novembre 2022 il curriculum, non veritiero, presentato da D’Onofrio: così accogliendo i rilievi mossi dalla difesa e sbriciolando le tesi e le indagini della procura federale (Chinè, Scarpa, Ricciardi). L’altro capo d’accusa del deferimento accolto in giudizio è invece quello relativo alla falsificazione dei rimborsi spese presentati da D’Onofrio e sui mancati controlli posti in essere dall’allora presidente Aia Trentalange. Per arrivare all’incolpazione i giudici del collegio fanno affidamento e riferimento a dettati del codice di giustizia sportiva Figc, dello statuto federale e dei regolamenti dell’Aia su modelli di organizzazione, gestione e controlli e sottolineano come “il difetto di idonee regole organizzative interne, che prescrivano ex ante procedure puntuali e al contempo disegnino adeguati meccanismi di controllo, non consente la corretta spendita delle risorse dell’Ente, provocando la loro ingiustificata dispersione”. E da qui l’elenco delle dichiarazioni rese dai dipendenti Figc e Aia addetti ai controlli (sul punto, leggi qui e qui), una serie di dichiarazioni del tipo “non ho mai verificato, nessuno me lo ha chiesto, non esiste una funzione di controllo” che rimandano però a una domanda: ma esistono e che tipo di controlli ha messo in atto la Figc di cui l’Aia è una costola? Una domanda a cui magari verrà data risposta nel corso del giudizio di secondo grado. La difesa di Trentalange prepara il ricorso per far azzerare anche quei tre mesi d’inibizione. Chinè valuta se ricorrere: richiederà i sei mesi col rischio di ritrovarsi alla fine senza nulla o magari accusato di una persecuzione personale? Chissà Gravina, Abodi e Malagò cosa stanno pensando: a novembre avevano chiesto che sul caso “D’Onofrio” fossero accertati con pugno fermo tutti i responsabili e tutte le responsabilità. Quattro mesi dopo il quadro è desolante. Resta solo una cornice. Vuota.