Tutta colpa della ludopatia. Che può manifestarsi in vari modi. Anche come forma d’incentivo agonistico. Possibile? Sì, perché dopo la confessione di Nicolò Fagioli è arrivata anche quella di Sandro Tonali. Scortato anche lui da due legali a Roma in un luogo segreto, accompagnato da un certificato medico che ne attesta la dipendenza da gioco da anni e l’avvio delle cure, domenica 15 ottobre il 23enne centrocampista della Nazionale ceduto quest’estate dal Milan al Newcastle per 70 milioni di euro (più 10 di bonus) ha rivelato, confessato e infine ammesso al procuratore capo della Figc Giuseppe Chinè come, attraverso piattaforme illegali, scommettesse da anni sulle partite di calcio di A ma che però, a differenza di Fagioli, ha puntato anche sulle partite del Milan da tesserato del Milan (pare pure del Brescia ai tempi del Brescia, il passaggio al Milan dal Brescia nell’estate del 2020) ma solo e soltanto sulla vittoria del club rossonero. “Puntavo anche sul Milan, quando non ero della partita ma anche qualche volta che giocavo. Ma puntavo solo sulla vittoria: niente sconfitte, niente pareggi e niente di quelle cose come angoli, ammonizioni o rigori. Solo puntate sulla vittoria: mi davano la carica, mi servivano come incentivo”.
Così avrebbe fatto mettere a verbale nel corso dell’interrogatorio svoltosi davanti all’organo inquirente della Federcalcio, così avrebbe ripetuto anche al pm della Procura della Repubblica di Torino Manuela Pedrotta che l’ha ascoltato due giorni dopo, cioè martedì 17 ottobre, cinque giorni dopo l’avviso di garanzia ricevuto (come Nicolò Zaniolo) mentre era a Coverciano nel ritiro della nazionale, due giorni prima di una partita per le qualificazioni all’Europeo. A differenza di Fagioli, Tonali avrebbe però detto di non avere debiti in corso, di non aver mai avuto minacce e di non aver mai dato dritte e consigli ad altri calciatori smentendo però così la versione di Fagioli che al capo della procura federale e al pm di Torino ha detto invece che sarebbe stato Tonali (a Tirrenia, nel 2021, nel ritiro della nazionale under 21 azzurra) a consigliargli app e piattaforme illegali da utilizzare per scommettere, all’inizio come una semplice forma di passatempo, “per sfuggire alla noia e provare il brivido della scommessa” e poi invece diventato un demone capace di corrodergli conto e anima. Le contraddizioni segnalano come il quadro probatorio sull’intera e complessa vicenda non sia ancora completo, come magari non ci sia ad esempio corrispondenza tra le rivelazioni dei calciatori coinvolti e tra quelle rese al pm di Torino e a Chinè (ad esempio, Fagioli in Procura non parla di minacce subite, lo fa tre mesi dopo a Roma davanti al capo inquirente federale). Servirebbe quindi forse un po’ di cautela e giudizio, anche perché le ammissioni di Tonali a livello sportivo potrebbero configurare a suo carico la violazione non solo dell’articolo 4 (comma 1) e dell’articolo 24 (comma 1 e 3) del codice di giustizia sportiva, ma anche la possibile violazione dell’articolo 30 (illecito sportivo), mentre l’articolo 24 (comma 5) riguarda omissioni e violazioni ascrivibili ad altri tesserati e ai club. Senza tralasciare poi il versante penale: l’illecito sportivo è infatti perseguito anche dalla giustizia ordinaria che in alcuni precedenti casi è arrivata anche sino alla contestazione di frode sportiva.
Intanto però la giustizia sportiva è partita a razzo, una celerità nel chiudere i giudizi che l’ordinamento statale dovrebbe prendere a modello per smaltire le centinaia di migliaia di fascicoli che restano penzolanti in attesa di giudizio o prescrizione: altro che riforma Cartabia e via discorrendo. Bisognerebbe chiedere consigli – dovrebbero almeno pensarci il guardasigilli Nordio e magari la premier Meloni – al procuratore capo calcistico Chinè, all’avvocato Giancarlo Viglione capo dell’ufficio giuridico della Federcalcio, al presidente federale Gabriele Gravina che nel pieno e legittimo esercizio delle proprie funzioni (compreso l’indirizzo della giustizia sportiva) ha al tempo scelto Viglione e Chinè, e perché no, anche al procuratore generale presso il Coni, il prefetto Ugo Taucer. Che, tanto per restare alla strettissima attualità, ha appena presentato ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni chiedendo di invalidare la doppia assoluzione (primo e secondo grado, il secondo celebrato appena un mese fa) con la quale i tribunali Figc hanno archiviato la vicenda di Manuel Portanova (ora alla Reggiana, condannato penalmente a sei anni di reclusione per stupro) perché “per i fatti contestati l’ordinamento endo-federale non conosce una norma sanzionatrice di condotte pur assolutamente riprovevoli come quella ascritta a Portanova”: Taucer ha appena proposto la squalifica di cinque anni che equivale alla radiazione sportiva. Come dire: l’autonomia e la separazione tra i due ordinamenti sì, ma sino a un certo punto.
Ludopatia. All’ennesima sciagura piombata sul calcio tricolore il sistema calcistico (governo federale, istituzioni calcistiche e sportive, in testa Malagò e Abodi in contrasto con due dei tre partiti di maggioranza e la gran parte dei media che per giunta hanno rapporti commerciali con la Figc e col mondo legale delle scommesse) ha subito trovato l’etichetta al recinto dentro cui confinarla, arginarla, depotenziarla, svilirla. L’ha ristretta poi dentro un perimetro “affollato” da pochissimi soggetti: appena due o tre calciatori (al momento), tutti giovani se non giovanissimi, tutti con ingaggi milionari, tutti nel giro azzurro, tutti “affetti” da una malattia – la ludopatia – messa in piazza e propagandata dalle stesse istituzioni calcistiche che hanno riservato ai ragazzi parole di riprovazione «la ludopatia è una malattia seria, i calciatori coinvolti si sono macchiati di alto tradimento ma non si può consentire la gogna, presto arriverà una Carte dei Doveri» (Abodi) e di condanna mista a supporto con annessa analisi sociologica, «la ludopatia è una piaga della società italiana, sono un milione e mezzo gli italiani ludopatici. Chi ha sbagliato dovrà pagare ma al di là dell’errore individuale non abbandoneremo mai i giocatori coinvolti. Non sono carne da macello come una certa comunicazione sta facendo passare, ho il dovere da papà e da nonno di difendere la loro dignità» (Gravina). Dopo averla confinata nel recinto ludopatico e averne ristretto il perimetro a pochi soggetti, il sistema calcistico ha poi trovato il modo per rinchiuderla in tempi brevissimi. Come? Con il patteggiamento.
L’esempio. Prendiamo il caso di Fagioli, e non perché si voglia puntare il dito su Fagioli e nemmeno sulla Juventus. Sarebbe la stessa cosa se il calciatore e la società d’appartenenza fosse un’altra, qui non è questione né di simpatie o antipatie, di difesa o accanimento. Fagioli, calciatore della Juventus, è stato il primo a finire dentro questo recinto. La vicenda è riassunta (leggi qui e qui), dalla scoperta fino al patteggiamento. Il 16 aprile Fagioli viene sostituito nel corso di Sassuolo-Juventus. «Per un errore tecnico. Appena uscito dal terreno di gioco mi misi a piangere di fronte alle telecamere, pensando ai miei problemi legati ai debiti delle scommesse». Il 24 maggio agenti della Polizia Giudiziaria, su incarico della Procura della Repubblica di Torino, vanno a casa sua a Piacenza e gli sequestrano un iphone (mesi prima il calciatore aveva denunciato il furto di un altro cellulare). Il 23 giugno entra negli uffici della Procura della Repubblica di Torino in corso Vittorio Emanuele, è accompagnato dagli avvocati Simbari e Indirli. Viene interrogato dal pm Manuela Pedrotta alla presenza del dottor Izzo del Sisco. Tre ore d’interrogatorio, a Torino: nel verbale la confessione del giovane calciatore, che ammette di aver scommesso su piattaforme illegali, che rivela chi l’ha indirizzato al gioco, di come quel gioco gli ha tolto persino il respiro, che dice di non poterne più e di averne parlato, oltre che alla mamma, con i suoi procuratori (Marco Giordano e Andrea Piscedda) che, come ha già fatto l’avvocato, gli hanno assicurato che avrebbero trovato una soluzione. Il 31 luglio il suo nome è annotato sul registro degli indagati. Il 2 agosto il pregiudicato condannato per estorsione ostativa Fabrizio Corona annuncia sul suo canale Telegram che Fagioli ha debiti milionari causa il vizio da gioco scommesse. Le parole restano avvolte nell’aria afosa dell’estate. Nessuno parla, nessuno reagisce. Il 29 agosto i legali di Fagioli contattano però il procuratore capo Chinè che il 5 settembre riceve dal pm della Procura di Torino il fascicolo su Fagioli. Il 20 settembre – ma è solo un’annotazione fattuale e non c’è alcuna relazione – il presidente della Juve Gianluca Ferrero e il capo dell’area tecnica bianconera Francesco Calvo vengono avvistati nel palazzo di via Allegri a Roma dove ha sede la Figc, all’angolo c’è via Campania dove c’è l’ufficio di Chinè. “Una visita di cortesia, i due dirigenti erano a Roma per altri impegni”. Questa la versione che sarà poi riportata in via ufficiosa da siti d’informazione. Una settimana dopo, il 28 settembre, Nicolò Fagioli viene interrogato a Roma dal procuratore capo federale Chinè: non negli uffici di via Campania e nemmeno in quelli di via Allegri, ma in uno studio legale nei pressi di Castel Sant’Angelo. Assistito dagli avvocati Simbari e Ferrari, parla per un’ora e mezza. Quanto il tempo di una partita. Rivela alla procura sportiva quanto già ha confessato a quella di Torino aggiungendo le minacce subite. Al procuratore Chinè viene anche rivelato come il calciatore si stia già sottoponendo a una terapia disintossicante, seguito dal professore Paolo Jarre, direttore del Dipartimento di Patologia delle dipendenze dell’Asl 5 Piemonte che ha scritto una relazione che viene inviata al procuratore federale.
Il 12 ottobre agenti della polizia giudiziaria notificano a Tonali e Zaniolo l’avviso di garanzia emesso dalla Procura di Torino, il 13 ottobre la Juventus dirama un comunicato. “In merito a quanto riportato da alcuni organi di informazione precisa che non appena ricevuto notizia di un possibile coinvolgimento di Fagioli sul tema delle scommesse ha immediatamente e tempestivamente preso contatto con la Procura federale Figc”. Il 15 ottobre i legali di Fagioli inviano via mail la relazione del professore Jarre all’indirizzo di posta elettronica della segreteria della procura federale e insistono sulla ricerca di un accordo sulla misura del patteggiamento, vista la confessione e vista la collaborazione fornita dall’assistito ne quantificano la portata: 12 mesi di cui 5 con prescrizioni (terapie e incontri pubblici da testimonial anti-ludopatia). Il 16 mattina Chinè notifica l’avviso di chiusura indagini, tredici giorni prima dei sessanta giorni previsti dal codice. Il 17 dà il parere favorevole alla chiusura dell’accordo pre-deferimento proposto dai legali del calciatore. Il 19 un comunicato ufficiale della Figc, visto il parere favorevole del Procuratore generale dello Sport presso il Coni e visto che il presidente federale Gravina non ha mosso rilievi, ratifica la misura della sanzione: dal minimo di 36 mesi previsto dal codice, si arriva a 7 mesi (e 12.500 euro di multa) più 5 di prescrizioni. Da 36 a 7: più della metà della metà della sanzione minima prevista.
Tonali e la differenza. Un analogo e celere percorso lo chiede e se lo aspetta anche Sandro Tonali, ascoltato domenica scorsa (15 ottobre) da Chinè a Roma sempre in un luogo segreto e ascoltato martedì (17) a Torino dal pm Manuela Pedrotta. Anche lui scortato da due legali, anche lui accompagnato da un certificato medico (ludopatia conclamata) e da una relazione sull’avvio delle cure cui ha iniziato a sottoporsi. Tra lunedì e martedì è previsto a Roma un altro incontro tra gli avvocati del calciatore e il procuratore federale: i primi insistono per un patteggiamento prima del deferimento (art. 126) calibrato sulla misura della sanzione alla stregua di quello concesso a Fagioli ma la strada sarebbe un po’ più impervia. Di simile ci sarebbe la violazione dell’art. 4 comma 1 e quella all’articolo 24 commi 1 e 3. Però, dopo aver confessato di giocare da anni (sin dai tempi del Brescia) ci sarebbe anche quell’ammissione di aver “puntato sul Milan da giocatore del Milan, ma solo e sempre sulla vittoria”. Fattispecie che non rientra nel disposto dell’articolo 30 (“comportamento diretto ad alterare lo svolgimento e il risultato di una gara”) o che potrebbe rientrarvi se le indagini della procura di Torino ad esempio e nel tempo approdassero ad altro? Tonali è stato comunque secco, categorico, perentorio: puntavo sul Milan anche per una forma di carica e d’incentivo, ma solo sulla vittoria e non ho mai coinvolto nessuno. Però la sanzione per lui partirebbe da un minimo più alto cui poi applicare le decurtazioni (l’aspetto collaborativo si è manifestato?) fino ad un minimo – almeno questo si aspettano i legali e il calciatore – di 12 mesi di squalifica più qualche mese di prescrizione mentre la Procura federale pare stimi lo stop in 14/15 mesi più mesi di prescrizioni. Si tratta. Inoltre in queste ore convulse pare che anche il Milan abbia contattato la procura federale per ribadire come non fosse assolutamente a conoscenza della ludopatia dell’ex tesserato. Ma se non lo sapeva il Milan, come poteva saperlo il Newcastle che l’ha pagato 70 milioni (più 10 di bonus) e che finora ha manifestato sostegno e fiducia al calciatore (al quale però verrà sospeso stipendio dopo lo stop, è da contratto) e non ha nemmeno ipotizzato di presentare il conto al club rossonero? Tutto procede però in fretta: la versione ufficiale è che l’Uefa starebbe premendo sulla Figc per addivenire a una rapida risoluzione del caso, Tonali squalificato in Italia e ancora in campo in Inghilterra o altrove. No, non sta bene questa cosa. Distorsiva. Alla domanda dell’Uefa bisogna rispondere anche qui. E in fretta.
Le domande. Le domande da porre e da porsi però forse sarebbero altre. Perché tutta questa fretta di rinchiudere il fenomeno in un recinto così stretto e con l’etichetta ludopatica? Perché anticipare (anche bruciare) l’inchiesta della Procura di Torino con le prime risultanze, assunte peraltro da confessioni postume? Non è che si rischia un altro pasticcio, come accaduto ad esempio con le plusvalenze fittizie, col sistema giudiziario calcistico che in nemmeno un mese (aprile/maggio 2022) celebra i processi di primo e secondo grado finiti in bolle di sapone e poi è costretto alla revocazione in base alle nuove risultanze dell’inchiesta penale? E tanto per restare a un esempio legato a scommesse e partite truccate, ci si ricorda che il 4 maggio 2023 fa Armando Izzo è stato condannato per frode sportiva e concorso esterno in associazione camorristica a 5 anni di reclusione mentre la macchina giudiziaria sportiva davanti alla richiesta di 6 anni di squalifica più preclusione in primo grado l’aveva condannato (nel 2017, sei anni fa) a 18 mesi, squalifica ridotta a 6 mesi in secondo grado, con il calciatore che ha ripreso a giocare, adesso nel Monza in A? Perché tutta questa fretta, dopo mesi di silenzio? Perché si vuole assicurare la regolarità del campionato? Perché si vuole proteggere dallo sciacallaggio i calciatori coinvolti? Perché si vuole dimostrare che è tutto sotto controllo? Perché si vuol mettere al riparo la condotta della Federazione che nel manuale delle Licenze ha inserito l’obbligo per i club di tenere riunioni sul tema-scommesse? Perché si vuol tenere a riparo – l’articolo 24 al comma 5 è dettagliato – la condotta dei club, responsabili in caso di omissioni o di mancata vigilanza sulle condotte dei propri tesserati? Perché il calcio italiano, preso da mille emergenze e coi conti in rosso, non può fare a meno dei rapporti (sia pur indiretti visto che il Decreto Dignità non è stato ancora abolito) con le agenzie di scommesse legali? Perché tutta questa fretta mentre la Procura di Torino sta vagliando ancora il contenuto di tante chat tra calciatori?
Gli attacchi a vuoto e la difesa sterile. Davanti al quadro di questi giorni, da alcune forze politiche sono arrivati strali e richieste. La Lega di Salvini a chiedere le dimissioni di Gravina, Fratelli d’Italia del premier Meloni a chiedere il commissariamento. Due partiti di governo contro il capo del calcio italiano, accusato di avere protezioni nel centro-sinistra. Richieste e prese di posizione sterili però e che soprattutto hanno fatto il gioco di Gravina, abile nel confezionarsi la parte della vittima, «di questo passo mi accuseranno anche del buco dell’ozono», spalleggiato da gran parte dei media (stampa e tv) che hanno rapporti commerciali – legittimi, leciti – con la Figc. Del resto accusare la persona Gravina non ha alcun senso, è un esercizio sterile, dannoso, fuorviante. Aiuta a buttarla solo in caciara: bisognerebbe invece occuparsi delle responsabilità di governo calcistico del presidente della Federcalcio e chiedere il conto delle azioni e dei risultati. Gravina che ha ricevuto il sostegno dell’83% del consiglio federale dopo gli attacchi della politica: percentuale e consenso che hanno trovato facilmente sponda sulla stampa. Di cosa stupirsi? Di Giancarlo Abete («Figc ben gestita, non vedo responsabilità») che era ormai in pensione e che Gravina ha riportato in auge nominandolo prima commissario della Lega Dilettanti dopo aver fatto silurare Cosimo Sibilia e poi facendolo eleggere come nuovo presidente? Di Matteo Marani («non è il tempo delle divisioni e del catastrofismo») che da presidente del Museo di Coverciano e dalla tv satellitare Gravina ha proiettato sullo scranno più alto della Lega Pro dopo aver fatto silurare l’ex amico e alleato Francesco Ghirelli? Di Renzo Ulivieri («attacchi pericolosi») che da vent’anni dirige la scuola allenatori di Coverciano e che a fine anni ’80 fu squalificato per tre anni per una vicenda di calcio-scommesse? Di Umberto Calcagno, vice-presidente federale e presidente dell’Assocalciatori che dopo aver detto, «le scommesse dei calciatori non hanno inciso sul risultato, facciamo tanti incontri sul tema, evidentemente gli anticorpi non hanno preso», ha ieri l’altro aggiunto: «Gli attacchi a Gravina sono strumentali»? E come sorprendersi per le parole di Giovanni Malagò – in questi giorni sempre più preso da mille problemi, dalla pista del bob ai rilievi piccati che il Dipartimento dello Sport gli ha notificato a proposito della legge sui tre mandati federali – sempre vicinissimo a Gravina (a Roma dicono, “ma che, si so’ sposati?”) e che a proposito di politica ha detto, «la politica deve occuparsi dello sport ma la politica non deve occupare lo sport»? Certo, una frase di alto contenuto morale, diversa però è la storia reale, di come la politica abbia trovato compiacenti sì alle richieste fatte allo sport (basterebbe dare una scorsa alle nomine e alle assunzioni, un piccolo esempio dalle parte di via Allegri è qui) e di come lo sport e soprattutto il calcio trovino sempre qualche politico a dargli più di una mano, tanto per restare agli ultimi due anni, vedi spalma debiti e “Decreto Salvacalcio”.
Uno spaccato desolante. Uno spaccato desolante, desolante e distorsivo quanto quello che in questi giorni ci viene offerto dal governo calcistico italiano. Che in fondo propina sempre le stesse cose, gli stessi rituali. Per non tornare a troppo tempo indietro, da “Calciopoli” alle inchieste “Last bet”, “Dirty Soccer” e “Treni del gol”, dallo scandalo del procuratore Aia D’Onofrio (si sarebbe poi scoperto anche lui ludopatico) per il quale Gravina in testa chiedeva l’accertamento severo delle responsabilità fino al caso delle “plusvalenze fittizie”. Il calcio sempre a rimorchio, sempre inconsapevole di ciò che accade al proprio interno, sempre incapace di controllare, prevenire, programmare, sempre costretto ad aprire processi dopo inchieste della magistratura ordinaria, sempre fulmineo nel chiudere le vicende con giudizi veloci, in molti casi con il patteggiamento. Occasioni perse, una dopo l’altra. È di questo che bisognerebbe chiedere conto, è questo che Gravina e gli altri governanti del pallone dovrebbero porsi come domande, senza farsi difendere e senza crogiolarsi in editoriali e articoli dei partner commerciali. È su queste basi che dovrebbe partire la richiesta di cambiamento: dimissioni, commissariamento sono solo formule politiche. Anche questa vicenda si è consumata con il patteggiamento, anche questa vicenda poteva invece dare un segnale al Paese, alle giovani generazioni sportive, ai tesserati del calcio e dello sport. Invece resta il patteggiamento la via di fuga: è un buon esempio dimostrare come se commetti violazioni rilevanti puoi sempre cavartela con pochi mesi?
Il punto da battere. Appena qualche giorno fa sembrava che dovesse cadere il mondo e invece non è successo nulla. La regolarità dei campionati è un valore cardine dell’ordinamento sportivo. Come in un qualsiasi concorso pubblico, ciò che conta è che tutti gareggino ad armi pari, senza trucchi o trucchetti e in assoluta buona fede. Si è invece scoperto ancora una volta che, nel calcio professionistico italiano, le cose non stanno così. C’è chi gioca e mentre gioca (chissà con quali effetti sul risultato finale) pensa alla giocata che ha fatto, da solo o per interposta persona, anche solo per darsi un incentivo… Il problema non è Fagioli, o Tonali o chi altro ancora uscirà, se uscirà. La questione è che questi casi, spuntati come dal nulla, sono stati sotterrati prima ancora che entrassero in un’aula sportiva. È una questione che mina alla radice la credibilità del sistema calcio in Italia. La Figc e il Coni invece di istituire una Commissione autorevole per capire fino alla virgola quello che è successo o, quantomeno, invece che celebrare un processo cercando di capire se esiste una vera e propria ludopatia dilagante nel calcio professionistico (per non pensare al peggio), hanno accettato una richiesta di patteggiamento sproporzionatissima se comparata all’illecito e alle altre sanzioni che ciclicamente vengono pubblicate sul sito della Figc. Non si patteggia in un caso nel quale è prevista l’inibizione o la squalifica per almeno tre anni (art. 24 cgs Figc) senza che il procuratore federale Figc e il procuratore generale del Coni non siano d’accordo (art. 126 cgs Figc). Una vicenda che meritava chiarezza e rigore per evitare che la credibilità del calcio italiano non diventasse ancor più una barzelletta si è invece chiusa con una tirata di orecchie e la solita barzelletta (leggi qui). Ma chi governa il calcio italiano? Chi pensa al bene dello sport italiano?
Non è una questione di antipatia o di simpatia, non è questione personale ma di responsabilità nel ruolo. È efficiente e credibile un procuratore federale e prima ancora un presidente federale che non abbiano apprestato misure idonee a intervenire tempestivamente e con misure esemplari? Il procuratore federale (la vicenda Fagioli gira per gli uffici giudiziari da maggio ed è stata tranquillamente conosciuta prima dalla stampa e poi dalla Figc) ha chiesto formalmente a tutte le Procure della Repubblica italiane di conoscere con tempestività, ed eventualmente coi dovuti omissis, ogni segnalazione di reato che incida anche sugli interessi pubblici connessi alla regolarità del campionato? L’ha mai fatto, visto che non è la prima volta che la giustizia penale e civile apra spaccati sportivi senza che il sistema sportivo ne sappia qualcosa? E se dovesse accadere, come già accaduto nella vicenda plusvalenze fittizie, che le risultanze dell’inchiesta penale accertino responsabilità diverse e maggiori? Si apriranno nuovi giudizi? A distanza di anni? È poi plausibile che un codice di giustizia sportiva che per un illecito così grave come quello delle scommesse su siti illegali (ai tesserati è vietato farne anche su quelli legali) dei calciatori di A, capace di minare la credibilità dell’intero sistema, preveda come sanzione minima appena tre anni di squalifica ed una ammenda per un minimo di soli 25.000 euro? Domande che restano in attesa di risposte. Intanto il calcio italiano provvede a risanare con il patteggiamento: una spruzzata di schiuma anti-incendio e via col falò delle vanità. “Noi abbiamo fatto, noi abbiamo inserito, noi siamo il calcio che…”.
Il calcio italiano e le vere questioni. Gravina agli attacchi politici ha replicato così: «Abbiamo approntato modelli di tutela sulle scommesse e sul doping; la federazione non costruisce stadi e noi abbiamo colto e dato un’opportunità al Paese; ho sentito parlare di diritti tv ma non compete alla Figc. Ho visto approssimazione in alcune affermazioni politiche, bisogna conoscere le cose, altrimenti rischiamo di far danni al nostro Paese». Ha ragione Gravina: le cose bisogna dirle tutte, altrimenti si rischia di fare il male del Paese. E allora, avanti col quadro esatto. La Nazionale italiana ha mancato per due volte di fila la fase finale del Mondiale e ora rischia, da campione uscente, di non partecipare all’Europeo (Gravina è anche il presidente del Club Italia, e per questo ai 36 mila euro federali aggiunge 240mila euro). Le nazionali giovanili hanno carenze di gioco e organico. Il calo dei tesserati è senza fine. Il calcio dilettanti perde centinaia di società l’anno. Gli stadi sono vecchi e cadenti, non ci sono risorse per ristrutturarli, l’assegnazione di metà Euro 2032 è un’elemosina concessa da Ceferin; i costi del sistema crescono sempre di più; il direttore della scuola allenatori è un ottantenne; le risorse mancano; quasi tutti i club di A e B hanno il rosso fisso nei propri bilanci. Il quadro è questo.
Ha ragione Gravina, le cose bisogna dirle tutte, altrimenti si rischia di fare il male del Paese. E tanto per chiudere con due curisosità, ma ce ne sarebbero tante: non era lui ad esempio che da presidente Figc a settembre del 2021 partecipò a una riunione in casa della mamma di Andrea Agnelli insieme a alcuni presidenti di serie A e, come rivelò l’allora presidente della Lega A Paolo Dal Pino, il tema in discussione era quello dei diritti tv e dei fondi in serie A? Ed era sempre lui come presidente Figc che a luglio 2022 ancora implorava Mario Draghi a firmare l’impegno del Governo italiano per la candidatura a Euro 2032, dossier di appoggio negato dal Draghi uscente e alla fine ottenuto, grazie alla mediazione dell’amico ministro Abodi, dalla premier Meloni e che avrebbe dovuto impegnare il Governo per 2 miliardi di euro?