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Chievo Verona contro Figc: il caso torna al Consiglio di Stato, in ballo un risarcimento da 143 milioni e un caso di…Stato

Nuova puntata. Il giudizio di merito a Palazzo Spada si lega a una questione di principi costituzionali e ad una legge varata dal governo Conte. Il crack può arrivare alla Consulta.

Respingere, rinviare, congelare, accogliere. Dentro questi quattro verbi coniugati alla modalità infinito c’è tutto il peso del giudizio che grava come un macigno sul collegio della sezione del Consiglio di Stato che oggi – dopo quasi tre mesi dall’ultimo appuntamento – esaminerà nel merito le richieste del Chievo Verona e del suo proprietario Luca Campedelli. Respingere definitivamente le argomentazioni della difesa, motivando. Oppure rinviare il giudizio che così passerebbe al vaglio della Corte Costituzionale congelando in sostanza una vicenda che rimpalla da un anno e mezzo. Oppure accogliere la domanda di risarcimento del club e del suo proprietario? Le domande restano imbottigliate come in un dedalo, imprigionate dentro un labirinto infinito di precedenti ricorsi, giudizi, sentenze, così tanti da perderne il conto: dai tribunali della giustizia Figc al Collegio di Garanzia del Coni fino agli organi di giustizia amministrativa, prima il Tar e poi il Collegio di Stato, poi di nuovo il Tar e ancora e di nuovo il Collegio di Stato. Il tutto tra ricusazioni, incompatibilità, intrecci. Il conto però il Chievo l’ha presentato e pure assai salato: ben 143 milioni di euro come risarcimento, a pagare dovrebbe essere la Figc che l’estate scorsa svincolò d’ufficio tutti i calciatori (prima squadra e giovanili, oltre 240 calciatori) ma poi a cascata le disgrazie del club avrebbero finito col travolgere una realtà industriale come la Paluani, fallita a giugno e poi venduta all’asta per 7,6 milioni di euro alla Sperlari. Panettoni e caramelle: no, la decisione che spetta ai giudici del Consiglio di Stato non è affatto semplice. Perché se rigettassero la domanda, la palla potrebbe passare alla Consulta “per la presunta illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione di parametri costituzionali indicati nel ricorso per motivi aggiunti 6 settembre 2021”. Passerebbe altro tempo certo, ma se poi il giudizio desse ragione al Chievo (che non ha perso l’idea di portare la vicenda a Strasburgo, davanti alla “Corte europea per i diritti dell’uomo”) allora a risarcire dovrebbe essere lo Stato italiano, sollevando così la Figc da un obbligo che la costringerebbe a chiudere i battenti e rischiare guai seri. Sborsare più di 140 milioni per una vicenda pallonara: chissà poi lo Stato cosa ne pensa…

Il giudizio. Il presidente del collegio oggi riunito a Palazzo Spada è il torinese Luca Lotti, il suo nome comparso in estate anche nella vicenda Campobasso, un’altra vicenda paradossale che almeno davanti ai tribunali della giustizia amministrativa – anche qui tra intrecci e ricusazioni, anche qui per una vicenda legata a una cartella esattoriale sebbene d’importo minimo (90mila euro) – non si è ancora conclusa. A metà luglio, in sette pagine d’ordinanza, il collegio della quinta sezione dopo aver rigettato l’istanza di ricusazione di due dei cinque giudici (Giuseppina Luciana Barreca e Valerio Perotti) per un cavillo (l’azione in sostanza sarebbe dovuta spettare ai curatori fallimentari), aveva evidenziato come non emergessero “profili di illegittimità, allo stato della normativa vigente, dell’impugnato provvedimento della Figc di esclusione dal campionato 2021-2022, non potendosi in questa sede cautelare delibare in ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità dedotte dall’appellante, aspetti ormai necessariamente devoluti alla fase del giudizio di merito anche sotto il profilo, ulteriormente dedotto dall’appellante, della presunta illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione di parametri costituzionali indicati nel ricorso per motivi aggiunti 6 settembre 2021”. In sostanza, “scagionava” dalle responsabilità l’operato della Figc («con questa sentenza, ancora una volta è stata confermata la legittimità dell’operato degli organi federali», questo il commento dopo il giudizio da parte dei legali federali) che non aveva bloccato lo svincolo dei calciatori, e bloccando però il tesseramento di quelli non ancora vincolati: soltanto un paio, in realtà. Un arzigogolo di una matassa intricata, rinviata da luglio a ottobre, dopo aver rigettato anche la richiesta di riammissione al campionato di serie B: chissà se oggi la matassa inizierà a sciogliersi o si arricchirà di altri nodi.

Il punto. La questione di base è una. Il Chievo aveva chiesto una rateizzazione dei debiti tributari (oltre 18 milioni di euro) all’Agenzia delle Entrate, che aveva acconsentito. All’epoca però era in vigore una legge del Governo Conte varata in piena pandemia che aveva vietato l’emissione delle cartelle esattoriali da marzo 2020 a settembre 2021. Senza la cartella esattoriale, come si poteva arrivare a un piano di rateizzazione? Questa la domanda di fondo. Per i legali del Chievo, la Figc avrebbe dovuto tenere conto della situazione del Chievo, tecnicamente “bloccato” da una legge dello Stato varata per venire incontro a tutti i contribuenti morosi dando loro un sollievo visti gli effetti economici provocati dalla pandemia. Inoltre, secondo i legali del Chievo, altri club avevano ottenuto l’iscrizione pur in presenza di debiti verso il Fisco, sia pur rateizzati prima che esplodesse il Covid. L’esclusione dal campionato avrebbe invece fatto precipitare tutto: il depauperamento dell’organico, il dissesto del club e persino la fine dell’attività imprenditoriale di Campedelli, il presidente dei panettoni. Da un anno e mezzo la vicenda tiene banco: dell’intera questione ci sono qui due puntate precedenti (leggi qui e qui), della questione legata ai rischi e alle responsabilità imputabili alla Figc (“non avendo modificato la norma che prevede l’esproprio dei calciatori, consentendo così un vero e proprio esproprio di asset negoziabili sul mercato, equiparabile ad esempio a un’azienda che fallisce alla quale si tolgono gli immobili la cui vendita serve per pagare i fornitori”, questo il pensiero dei legali del club) se n’era discusso anche in un agitato consiglio federale al termine del quale sarebbe stata accantonata la somma di un milione di euro alla voce “fondo accantonamento rischi”. Un milione, non 143. Oggi a Palazzo Spada la questione sarà oggetto della valutazione nel merito da parte dei giudici del Consiglio di Stato. Rigettare? Rinviare? Accogliere? Domande in attesa di risposta.

 

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