Chievo Verona al Consiglio di Stato: la partita non è ancora finita, anzi il pallone pare avvicinarsi invece quasi minaccioso verso la porta della Figc, convinta di aver ancora bene i piedi dentro l’area della giustizia amministrativa eppure adesso rischia persino d’inciamparvi, impigliata com’è dentro quell’inestricabile matassa d’intrecci, conflitti e incompatibilità che avvolge le decisioni (e i giudici) della giustizia sportiva federale alle sentenze della giustizia (e dei magistrati) amministrativa, le scelte della politica sportiva, le norme federali e quelle tributarie, le deroghe, le leggi dello Stato e le disparità di giudizio. Il risultato passa dalla camera di consiglio del collegio della Quinta Sezione del Consiglio di Stato: domani a Palazzo Spada la spada della giustizia (Damocle è ormai solo reminiscenza scolastica) potrebbe certo anche infliggere il colpo mortale alle speranze del Chievo Verona però potrebbe anche squarciare il ventre d’una federazione che sul caso del club veneto si gioca non solo la faccia ma persino il portafoglio. Come fossero andati alla Var, i legali del Chievo de Bosio e Manzi al motto di Lenin (“I fatti hanno la testa dura”) il 23 giugno erano riusciti a stoppare almeno un fischio che pareva quantomeno azzardato, di certo assordante: no, due giudici amministrativi che avevano già preso parte a precedenti giudizi sul Chievo anche per il versante della giustizia sportiva (l’intreccio è davvero copioso e inestricabile) mica possono fare un’altra volta gli arbitri?
Alla legittima domanda d’astensione, alla legittima minaccia di ricusazione posta nell’interpello – per semplificare al lettore il senso – lo stesso collegio avrebbe risposto così, sempre il 23 giugno: forse sì, non possiamo, per questo ci aggiorniamo ad altra data, vediamo, parliamo, studiamo e poi vi diciamo. Il giorno del responso è finalmente arrivato. È già domani. Dallo spogliatoio di Palazzo Spada filtrano per ora solo indiscrezioni procedurali: si deciderà se sostituire i due consiglieri accusati di essere incompatibili. Se si decidesse per la sostituzione, l’udienza per l’esame del ricorso slitterebbe, almeno a settembre. Se invece si decidesse per la non sostituzione dei due giudici amministrativi, il Collegio invece sarebbe regolarmente costituito e legittimato dunque anche a decidere nel merito: subito, oppure a settembre? La domanda però si scontra con una sospensiva sul tesseramento, la domanda s’imbatte in tre punti nuovi. E almeno due sono di non poco conto. Ecco le ultimissime, prima che le formazioni scendano in campo.
Le ultime. Tre punti sono all’ordine del giorno. Il primo, s’è detto: la composizione del collegio della quinta sezione che deve prendere una decisione sulla sospensiva (del7 giugno) del giudizio del Tar, sospensiva accolta con decreto del presidente sempre della Quinta sezione del Consiglio di Stato. I due giudici in possibile (palese?) conflitto d’interessi e incompatibilità possono restare oppure il collegio deve essere in parte riformato e dunque devono entrare sulla scena i sostituti? Secondo punto, questo delicato: forte delle proprie convinzioni, la linea strategica condotta per conto della Figc dall’avvocato Giancarlo Viglione (è avvocato di Stato, consigliere di Stato invece è Chinè che è capo Gabinetto del Mef ma anche capo della Procura Figc, come consigliere di Stato è Mastrandrea che è capo del Legislativo del Mef ma anche giudice sportivo della serie A, l’elenco sarebbe assai lungo…) che è capo dell’ufficio di segreteria degli organi della giustizia sportiva federale ma anche il legale federale in molte cause (parecchie perse, ultima tra tante la battaglia sull’indice di liquidità, di ieri le motivazioni del Collegio di Garanzia del Coni) punta comunque sul non giudizio, sulla fine della contesa, perché non ci sarebbe più nulla da giudicare. Il convincimento deriverebbe dalla sentenza di fallimento da poco decretata dal tribunale di Verona: il Chievo Verona è fallito e dunque per Viglione e Figc il Consiglio di Stato non può più occuparsene, dunque punta sull’interruzione del giudizio. I legali del Chievo però hanno studiato e preparato una contromossa che rischia di spiazzare la tattica (definirla strategia pare forse azzardato) federale: hanno chiamato in causa la curatela fallimentare che si è subito costituita.
La mancata iscrizione allo scorso campionato di serie B, il rigetto di tutte le istanze (dal tribunale federale fino al Tar) degli avvocati del presidente Luca Campedelli, lo svincolo d’ufficio dei calciatori: tutti passaggi che hanno portato, sarebbe meglio dire causato – sostiene la difesa – il fallimento della società. Un danno ingente, fragoroso, dirompente: per questo tra le richieste il Chievo ha formulato quella del risarcimento danni per 143 milioni di euro nei confronti della Figc, roba da mandarla per strada. L’entrata in scena della curatela non interromperebbe così il giudizio, anzi gli darebbe ancora più forza, tanto più che la Figc di Gabriele Gravina potrebbe essere coinvolta nell’eventuale indagine penale relativa al fallimento, con l’ipotesi – siamo ancora all’ipotesi di scuola – del concorso in bancarotta derivante dalla decisione assunta in consiglio federale esattamente un anno fa. È questa una spada ancora più minacciosa che lambisce il fianco della Figc che però non sembra essersene data troppo cura. E già, perché nel corso del consiglio federale in via Allegri del 28 giugno, al momento dell’approvazione del bilancio consuntivo del 2021 («epocale, da record, un bilancio straordinario», così lo aveva definito Gravina), non aveva prestato troppo ascolto alle richieste della serie A che chiedeva l’applicazione di un cospicuo fondo “per accantonamento rischi” per cautelarsi dagli effetti della causa intentata dal Chievo Verona. Ne sarebbe nata l’ennesima discussione (leggi qui) tra duellanti (Gravina e Lotito): alla minaccia dei tre consiglieri di Lega A di non votare il bilancio, il presidente Gravina avrebbe preso un foglio e letto quanto scritto da Viglione. In sostanza: la Figc non ha nulla da temere, ha il diritto e la ragione dalla sua parte anche perchè il fallimento del Chievo ha chiuso la partita. La discussione si sarebbe chiusa alla fine così: la serie A approvava con riserva il bilancio facendo inserire a verbale le “riserve” legate al caso Chievo e la Figc accantonava un milione nel fondo “accantonamento rischi”.
Il rischio (economico) però è ben più alto, e qui si arriva al terzo punto che potrebbe essere discusso oggi nelle stanze di Palazzo Spada a Roma, lì dove occupa la stanza di presidente Franco Frattini, l’ex presidente del Collegio di Garanzia del Coni che anch’esso (lui era il presidente) un anno fa bocciava le istanze venete: la conferma o meno del decreto di sospensiva relativo specificatamente allo svincolo dei calciatori del Chievo, sospensiva emessa dal Consiglio di Stato il 7 giugno 2022. Perché, se si andasse avanti nel complessivo giudizio di merito sulla causa Chievo, i tempi sarebbero più lunghi e nel pallone i tempi invece sono più stringenti, la nuova stagione è ormai alle porte: la decisione sullo svincolo invece produrrebbe invece effetti immediati. Sostanziali e soprattutto, obbligati. Per semplificare: se il collegio domani confermasse la sospensiva, significherebbe aver riconosciuto che la società veneta ha subito un danno. Al di là del fumus bonis iuris, al di là delle richieste venete (iscrizione al campionato di B in sovrannumero, ritesseramento dei giocatori svincolati d’ufficio, risarcimento danni per 143 milioni di euro), al di là del merito sul nodo delle cartelle esattoriali, si aprirebbe una strada senza troppe vie d’uscita almeno per la Figc, questo perché davanti al riconoscimento del grave danno provocato dall’illegittimo svincolo, la federazione potrebbe finire dritta nella voragine: ha forse troppo rigidamente applicato la norma che prevede l’esproprio dei calciatori (la materia sportiva è complessa) consentendo così un vero e proprio esproprio di asset negoziabili sul mercato, equiparabile ad esempio ad un’azienda che fallisce alla quale si tolgono gli immobili la cui vendita serve per pagare i fornitori? E ancora: se il collegio del Consiglio di Stato confermasse la sospensiva sullo svincolo significherebbe in fondo plasticamente riconoscere – anche se con ritardo – che le ragioni venete siano quantomeno fondate.
Come uscirsene, in attesa dell’eventuale giudizio di merito, come provare a restare in piedi, come non sprofondare dentro il burrone, come non perdere la faccia e pure il portafoglio? Ma con una scappatoia all’italiana che contemperi capra e cavoli, un’ipotesi più volte negata eppure sempre più circolante nei palazzi della politica e soprattutto in quelli del governo sportivo. Concedere cioè al Chievo Verona l’iscrizione al campionato di Lega Pro. Al campionato di Lega Pro che dovrebbe partire tra quaranta giorni. In fondo ci sono ancora due caselle da riempire – per ora sono stati bocciati i ricorsi delle escluse Teramo e Campobasso – in fondo i rapporti tra Gravina e il suo vice-presidente federale Ghirelli restano buoni pur se vengono segnalati momenti di tensione e ripensamento su alcune scelte. «È un momento economicamente difficile ma restiamo coerenti con le decisioni prese negli anni passati»: così Gravina appena cinque giorni fa, al termine del consiglio federale che sanciva l’esclusione di Teramo e Campobasso. Chissà, magari queste parole risuoneranno anche domani. Quando l’intreccio tra incompatibilità, conflitti d’interesse e intrecci potrebbe diventare una matassa ancora più intricata, l’ennesimo nodo a un cappio che soffoca il pallone italiano. Oppure un momento per riflettere ripensando a decisioni che poi si riverberano taglienti come mannaie. Come l’effetto di un boomerang.