Nascere tra le montagne delle Dolomiti – che sono un tuffo al cuore e agli occhi – e imparare a sciare ancor prima di camminare, e però poi subito accantonare la discesa e quasi smettere di camminare. Perché il tuo destino è un altro. Perché il tuo corpo ha le ali e allora devi aprirle, perché sono un dono che non si può tenere piegato. Anche sfidando la gravità e la paura di sbagliare perché basta spostarsi di un millimetro e salta tutto. E se poi il tremore ha il colore dell’acqua allora decidi che per vincerlo devi salire più in alto, sempre più in alto diceva Mike Bongiorno in una pubblicità degli anni ’80. Ma questo non è uno spot, è invece un salto infinito – conti i passi, chiudi gli occhi, allunghi le braccia, ascolti il battito del cuore che è emozione e adrenalina e poi ti dai la spinta – un salto, dieci, centomila, nel blu dipinto di blu. Senza uno schizzo, senza una piega. Una questione di dettagli e se perdi una medaglia alle Olimpiadi (Londra, 2012) per venti centesimi di punto non ti sfili mica il costume e invece – hop, hop, hop – continui a non arrenderti, a non fermarti. Tu continui semplicemente a tuffarti. E allora quattro anni dopo (Rio, 2016) le medaglie che ti metti al collo sono due. Perché sono i dettagli a fare la differenza, a rendere umani e quindi veri, i campioni.
“Mi sa che a #tokyo2021 tra le due ci va Maya”: la cifra di Tania Cagnotto sta tutta dentro questo post, introduzione a un video sul proprio profilo fb ( https://www.facebook.com/509627105765468/posts/2994114933983327/ ) qualche ora dopo la decisione del Cio di rinviare le Olimpiadi in Giappone. Sta dentro il salotto di casa a Bolzano e sopra un tappeto. Sta dentro undici secondi che sono il presente e chissà, magari il futuro. Maglione fucsia, tuta scura, calzettoni, capelli raccolti in una coda, sedere per terra, gambe bloccate e il busto che si piega. Hop, hop, e ancora hop. Mezzo metro più in là e mezzo metro più indietro, se ne sta – sedere per terra, gambe ferme e distese e busto che si piega – un batuffolo biondo: calzettoni grigi, tuta chiara, maglioncino rosa, gli occhi che guardano avanti e non accanto. Hop, hop, hop. Sorrisi e sincronia, come se su quel tappeto ci fosse Francesca Dallapè che con lei ha vinto l’argento olimpico nel trampolino sincro da tre metri e non una bimba che il 23 gennaio (nel giorno in cui a Wuhan chiudevano tutto) ha compiuto due anni e che ripete, senza mai guardare la sua mamma, l’esercizio alla perfezione, in una sintonia perfetta, in una simbiosi emozionante. Magari dentro il salotto di Tania a Bolzano c’è la prima pagina di un’altra storia, di una di quelle storie rare che segnano la fine di una stagione e l’inizio di un’altra, un solstizio di primavera che cambia il clima dello sport, che ne allarga i confini proprio quando l’Olimpiade, per la prima volta, è costretta a cambiare, pur senza una guerra, agenda. Storie di albe e di tramonti.
Come quel tramonto a Rio, estate 2016. Quando Tania, quarta dopo quattro salti, si inventa il tuffo della vita, un doppio e mezzo rovesciato carpiato da nove, da applausi, da lacrime perché è (o meglio, sarebbe dovuto essere perché poi avrebbe chiuso e ripreso a volare dal trampolino) l’ultimo della carriera. Fa addirittura 81, per un totale di 372.80, il suo record assoluto: lascia all’apice, senza i rimpianti di Londra quando perse il bronzo per appena 20 centesimi e voleva ritirarsi e invece l’oro ai Mondiali di Kazan dell’anno prima le ha dato slancio e spinta, le ha detto che le cinesi sì sono imbattibili ma qualche volta pure inciampano. E stavolta eccola che arriva la medaglia più inseguita, alla quinta Olimpiade e non c’è gioia più bella di socchiudere gli occhi e tornare indietro fino ai quattro anni che è il doppio dell’età di Maya adesso. A quattro anni, quando tutto iniziava, quasi per gioco e perché sugli sci faceva freddo. Adesso ci sono altri brividi. E allora eccola che arriva la medaglia: la canadese Abel che ha sette punti di vantaggio non ruba l’occhio ai giudici come lo scricciolo (160 centimetri e 54 kg) delle Dolomiti, la donna di ferro che a 31 anni finalmente sta coronando la sua rincorsa al podio a cinque cerchi. L’argento conquistato nel sincro con Francesca Dallapé qualche giorno prima ha arricchito un palmarès mostruoso (34 medaglie d’oro, 15 d’argento e 13 di bronzo tra Olimpiadi, Mondiali ed Europei è il totale aggiornato) di una carriera durata un lustro ma il bronzo dal trampolino a tre metri è la sfida finalmente vinta. Una storia solo personale, nella gara più difficile. Con le cinesi Shi Tingmao e He Zi di un’altra dimensione e tutte le altre, le umane, a lottare per il podio. Terza Tania, la prima (e unica) italiana a vincere una medaglia individuale nei tuffi, due medaglie a Rio come due furono le medaglie di papà (che ha sposato un’altra tuffatrice, Carmen Casteiner) Giorgio a Monaco 1972, con un argento dal trampolino e un bronzo dalla piattaforma ma in quegli anni e in quelle Olimpiadi il cinese insuperabile era un italiano, anzi un altro altoatesino: Klaus Dibiasi, tre ori e due argenti in tre Olimpiadi, dal ’68 al ’76.
Ma questa è un’altra storia e la storia alle Olimpiadi Tania Cagnotto, quasi 35 primavere, avrebbe voluto continuare a scriverla pure a Tokyo, insieme ad un’altra mamma, la Dallapè, nel sincro. Ma in agenda stava scritto #Tokyo2020 e invece adesso è #Tokyo2021. “Forse non andrò ma è giusto così, egoisticamente speravo si facesse entro l’anno ma è per il bene di tutti”, ha detto a caldo però poi il pensiero resta, “vediamo – ha aggiunto il giorno dopo – ora non voglio prendere decisioni affrettate”. Per adesso il sincro continuerà a farlo stesa su un tappeto nel salotto di casa a Bolzano insieme a Maya. Che se ci fosse una medaglia d’oro da assegnare allo sportivo per il filmato più bello girato in questi giorni di quarantena forzata, andrebbe di sicuro a Tania e Maya. Mamma e figlia sul tappeto, avanti e poi indietro. Hop, hop, hop. Mai più bello, mai più oro di così.
P. S. Scrivo solo perché qualcosa dovrò pur fare
#losportèunvirusmeraviglioso #taniaemaya #tuffodalsalottodellacagnotto #tokyo2021