Scalfari: prima e ultima cartolina del viaggiatore

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C’è il saluto del sindaco di Roma ed ex ministro Gualtieri che rende onore e meriti, «a scelte coraggiose, come ad esempio la fondazione di Repubblica: la sua indipendenza, cultura, autorevolezza per anni hanno rappresentato la coscienza critica del Paese». C’è poi il messaggio del giornalista Bernard Guetta, lo legge in francese e lo traduce il nipote. È il messaggio della Francia scritto dal presidente della Repubblica Macron, «la Francia l’amava e ammirava, i francesi e la Francia gli devono eterna riconoscenza».
Poi, in una sala della Protomoteca gremita – in Campidoglio e in prima fila si stagliano Gianni Letta e il governatore della Banca d’Italia Visco – Walter Veltroni ne passa in rassegna l’essenza e il lascito, non solo laico. «Era incuriosito anche dall’ultimo viaggio…». A proposito di viaggio, che è l’essenza vera del giornalista, dice parole che dovrebbero essere ancora attuali ma che invece…: «È un continuo viaggio per scoprire e cercare con l’eterna curiosità di un viaggiatore incapace di annoiarsi, perché il giornalista non può essere il guardiano del porto. Questo era, è stato e sarà lui». Parole che risuonano alte e forti, dentro una sala piena di direttori e giornalisti. Dopo l’attuale direttore di “la Repubblica” Molinari, tocca a Massimo Giannini che adesso dirige “La Stampa” di proprietà della famiglia Elkann come lo è ancora “la Repubblica”. Non c’è l’editore (è passato ieri a rendere omaggio) come non c’è il nuovo editore de “L’Espresso”. «Ai nostri azionisti fatichiamo a far capire cosa significhi identità, indipendenza, cosa significhi dettare l’agenda: è successo solo a Repubblica, col nostro Barbapapà», dice in un racconto brillante,

divertente e serioso, alternando episodi intimi a momenti vissuti in redazione, tra le «lettere di censura e «le falangi macedoni».
Tocca a Ezio Mauro chiudere. Al primo direttore di “la Repubblica” dopo di lui, dopo vent’anni di direzione così come il suocero aveva fatto a “La Stampa”. Un discorso solenne, profondo. È un discorso alto cui si farebbe persino torto citando una frase piuttosto che un’altra. Eppure è proprio alla fine, eppure è proprio con le parole più semplici, che Ezio Mauro va dritto al cuore. Al profondo. All’essenza di un viaggio che è stato straordinario. Che ha lasciato il segno. «Quanti neocrologi in queste ore. Chi li ha raccolti e trascritti è rimasto colpito da una cosa: dalla commozione dei tipografi e degli operai di Repubblica. Che lui non conosceva, che non frequentava più non andando più in tipografia. Sono messaggi rivolti a Eugenio, sono come dei messaggi personali. Lo ringraziano di tutto ma di una cosa, soprattutto: aver potuto prendere parte al suo unico, meraviglioso, viaggio. Che continua». E mentre lo dice, si ferma. La commozione prende persino lui, lo blocca. Lui, l’algido, il freddo, il sabaudo Ezio Mauro. Che lascia il microfono mentre lì, di fianco alla bara, ci sono due gigantografie. Sono il primo numero de L’Espresso e il primo numero de “la Repubblica”. Come due cartoline che restano per sempre. Quella de “la Repubblica” è datata mercoledì 14 gennaio 1976. In alto c’è l’editoriale del direttore: “È vuoto il Palazzo del potere”. Quarantasei anni fa. Oggi, 16 luglio 2022, trovereste un titolo e un pezzo più attuale di questo? Quale migliore cartolina di un viaggiatore senza tempo?
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