Ieri sera a Salerno s’è chiusa la decima edizione del festival “Salerno Letteratura”. Kermesse brillante e viva, densa d’appuntamenti, spunti, scrittori, libri, personaggi, idee, storie, parole, cultura. Il filo conduttore di questa edizione aveva un titolo: “La Felicità La Rivoluzione”. Il sipario calato al Largo Barbuti, l’ultimo appuntamento sul palco era con Daria Bignardi, giornalista e scrittrice, conduttrice della prima edizione de “Il Grande Fratello”, per anni ideatrice e conduttrice del programma tv “Le Invasioni Barbariche”: “I libri che rovinano (ma salvano) la vita” questo il titolo del libro presentato per la sezione “Finzioni, il mondo narrato”.
Negli stessi minuti in cui Daria Bignardi affascinava la platea col racconto delle sue esperienze letterarie (ci sono libri che segnano ognuno, “e sono proprio quelli che ti fanno star male, quelli che ti turbano, a essere quelli che magari ti rendono più chiaro un percorso, che magari ti spingono a una decisione, che ti portano a una svolta”) a Salerno andava, di lettura in lettura, un altro tipo di lettera. Anche questa segnante, anche questa letta e spiegata come una svolta. Quella scritta da Milan Djuric, 32enne bosniaco-pesarese, calciatore e uomo di stazza, non soltanto fisica. Pubblicata via social dal capitano-centravanti della Salernitana, questa lettera avrebbe in pochi minuti aperto un nuovo dibattito accendendo una notte afosa e umida di giugno, spaccando un’altra volta in pochi giorni l’ambiente granata che appena un mese fa ebbro e sfinito, orgoglioso e urlante festeggiava la salvezza e che, adorante, sentitamente ringraziava per l’impresa giocatori, allenatore, ds e presidente. Consci e fiduciosi che quello fosse solo l’inizio di un’altra storia. Più bella, più ricca, più emozionante, più prestigiosa. Occhi a brillare verso un orizzonte diverso. A render e dare prestigio, ad allargare l’orizzonte, non è mai solo il risultato del campo.

Il “dominatore dei cieli” dell’intera e ultima edizione di serie A e d’Europa ha preso carta e penna scrivendo l’addio. Alla città, ai tifosi, alla Salernitana. Quattro anni intensi tra reti, spizzate, assist: una salvezza all’ultimo respiro, una promozione insperata, una salvezza strappata per i capelli. Quelli che negli ultimi tempi aveva raccolto in un codino, come fosse un samurai. E come un samurai, sul campo di battaglia è stato il condottiero, l’uomo simbolo della squadra e dello spogliatoio, l’uomo dalla parola giusta e schietta sempre, l’uomo preso ad esempio dai compagni, dai tifosi, dalla società. Tutti hanno sempre creduto in lui. Qualsiasi cosa facesse sul prato, qualsiasi cosa dicesse fuori. Una bandiera, insomma.
Una bandiera in scadenza di…pennone, l’ipotesi di un rinnovo di contratto in piedi da febbraio tra parole, promesse, appuntamenti. Tutto è saltato, come spesso capita. Non c’è mica da meravigliarsi, è il calcio. Nessun calciatore è indispensabile, nessun centravanti è insostituibile. Capita anche alle bandiere, se magari tra domanda e offerta non c’è intesa succede che le strade possano dividersi. Però le bandiere meritano (meriterebbero) almeno un trattamento degno di tal lignaggio, meriterebbero almeno chiarezza. Meriterebbero almeno un addio senza reticenze. Meriterebbero un addio con tutti gli onori.
Nel libro dell’addio tra la Salernitana e Djuric ci sono queste parole, un passaggio della lettera del centravanti-samurai. «La mia priorità è stata sempre quella di continuare a Salerno come dimostrato in campo fino all’ultimo secondo che ho indossato la maglia granata. Ho letto tante notizie false in queste settimane tra cui che prendessi tempo per decidere ma invece molto semplicemente le cose si fanno in due e quando le visioni del presente e del futuro sono differenti è inevitabile trovare un altra soluzione». Visioni del presente e del futuro: ci sta che siano diverse, ci sta che le strade si separino. Notizie false: non ci sta(rebbe) eppure si sa, nel calcio come nella vita ognuno tira acqua al proprio mulino, ognuno ha la verità in tasca. Comoda, dilatoria, confezionata, propagandata. Chissà a cosa si riferiva (“circolate un sacco di fake news”) il capitano-samurai, l’uomo e centravanti che in quattro anni non ha mai detto una parola fuori posto, che non ha mai avuto un gesto di stizza e insofferenza anche quando al primo anno ogni volta che prendeva e magari steccava un pallone venivano giù fischi e insofferenze. Un uomo e un centravanti tutto di un pezzo, capace di affascinare e far affezionare chiunque, persino il neo-presidente Danilo Iervolino che in questi cinque mesi per lui ha speso sempre parole al miele (“un giocatore fantastico, un ragazzo eccezionale che è il nostro simbolo, faremo di tutto per confermarlo”). Fino alle ultime, spese appena sei giorni fa. «Djuric è probabile che resti, sono un fautore della sua conferma perché è un ottimo giocatore ed un uomo straordinario, importante per questa città, è sempre pronto per tutte le idee che gli sottoponiamo nel sociale».
Niente proposte per il sociale, niente rinnovo di contratto. Le strade di Salernitana e Djuric si sono separate. La Salernitana s’affiderà a qualche altro centravanti, l’attaccante firmerà un contratto soddisfacente (Fiorentina?) che a 32 anni renda merito alle sue prestazioni e alle sue aspettative, magari un contratto a cifre più alte rispetto a quelle offerte dal club granata. La parola fine è arrivata così in una notte afosa e umida di giugno, mentre Daria Bignardi raccontava del suo “Libri che ti rovinano (ma ti salvano) la vita”. Quella lettera di Milan Djuric ha forse rovinato la notte a qualche inguaribile romantico del pallone nostrano, a chi credeva che no, che tutti quei mesi da febbraio a maggio tra parole e promesse, tra fastidi e interviste (ad esempio il poi dismesso Walter Sabatini ancora in sella il 5 aprile in tv eppure già sul confine: «Il rinnovo di Djuric? Col presidente avevo detto che era una cosa da fare, già due mesi fa. Poi non ho capito perché non ci sia ancora la firma, sto facendo una figuraccia con il giocatore. Sono convinto che rinnoverà perché è elemento troppo importante», 29 maggio, invece quando tutto stava definitivamente precipitando: «Abbiamo tardato in avvio, ma due mesi fa è arrivata la nostra proposta. Poi subito dopo la salvezza ho inviato un messaggio e ho scritto che avrebbe dovuto decidere subito, sì o no, prendere o lasciare, altrimenti mi sarei sentito libero di fare altre valutazioni. Una proposta come la nostra non può restare in giro e andare a spasso per 10/15 giorni. Acquisita la salvezza si deve tener conto che la proposta è stata fatta due mesi prima: quindi tempo per pensare, riflettere, rispondere. Tutti vogliamo bene a Milan ma quando si fanno i contratti esistono regole da rispettare») fossero solo le solite schermaglie pallonare e non tracce chiare della volontà del club, che la storia alla fine si sarebbe conclusa con il lieto fine.
Non è successo ma non è questo che meraviglia. Meraviglia che una storia così finisca così, con un’accusa di “notizie false” scritta su carta dal centravanti-samurai, dal gigante duro e solenne sul campo eppure dolce e semplice fuori dal campo. L’uomo eletto a simbolo della società, l’uomo eletto a simbolo dalla tifoseria. Non c’è nulla di male nel dirsi addio, non c’è da scandalizzarsi se anche le strade tra chi s’è pure tanto amato si separino. È il veleno nella coda che disturba, che ha spaccato l’ambiente. La Salernitana non ha ancora commentato la lettera, non ha replicato. Magari troverà il tempo e il modo. Di spiegare, di raccontare perché non si sia arrivati all’accordo. Magari troverà anche tempo e modo di ringraziare Djuric per tutto quello che è stato in questi anni, quello che ha fatto nell’ultimo anno. Cambiare idea non è reato, non è una vergogna. È una scelta. Tanto più che lo slogan della nuova proprietà – nella Salernitana e nel mondo del calcio tricolore – sin dal suo primo giorno è stato uno slogan assimilabile allo slogan “Felicità e rivoluzione”, il filo conduttore della decima edizione di “Salerno Letteratura”, chiusasi in una notte di giugno con Daria Bignardi e il suo libro, in vetrina nella sezione “Finzioni, il mondo narrato”. Uno slogan come il filo conduttore del Festival: Felicità e Rivoluzione. Magari quello di questa Salernitana potrebbe essere: Felicità è Rivoluzione