Pietro è per sempre

Un anniversario dimenticato eppure Mennea continua a sfrecciare
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Una foto, in bianco e nero. Perché non c’è bisogno di colorare una leggenda. Numeri – 19 e 72 – perché sono i secondi, sono i dettagli, sono gli attimi, che fanno la storia. Un giorno, perché sono i giorni che fanno una vita. Erano i giorni delle tragiche Olimpiadi di Monaco del ’72, gli si avvicinò Gianni Brera. «Mi toccò il cranio e disse: “I suoi avi vengono dalla Mesopotamia”. Risposi: “Boh, vedrò di informarmi, per ora sono fermo a Barletta”». Una frase, perché è una frase che fa l’uomo, che ne racconta la sfida. Quella di Pietro Mennea, nato a Barletta il 28 giugno del 1952, per sessanta anni è stata una “disfida”. Contro tutto e tutti, una battaglia continua che il record – 19 secondi e 72 centesmi – stampato a Città del Messico sui 200 metri piani e imbattuto per 17 anni – quel record, è stato il più semplice da conquistare e da mantenere. Sette anni fa, era il primo giorno di primavera, Pietro Mennea se ne andava, consumato da un cancro al pancreas. Oggi, in questi giorni che cancellano la memoria dell’attimo prima (sui quotidiani nazionali nemmeno una menzione), il pensiero va a lui. La sua vita, le sue vittorie, le sue sfide, le hanno raccontate in tanti. Aggiungere non ha valore né peso specifico. Fermare il tempo, magari per 19 secondi e 72 centesimi, forse sì.

Questo è il ricordo di Pietro Mennea, dirigente della Salernitana ai tempi della serie A (era il ’98) che scrissi cinque anni fa (25 aprile 2015, al tempo ero ancora redattore del quotidiano “la Città” ), nel giorno della vigilia del ritorno in serie B della squadra granata. La Salernitana poche ore dopo avrebbe giocato contro il suo Barletta, lì dove era nata la disfida di Pietro, l’immortale freccia del Sud.

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… … È l’ultima curva: chi meglio di lui sapeva come affrontare decalage ed avversari, pantere di colore, lupi della steppa. È l’ultimo rettilineo: chi meglio di lui sapeva accelerare quando gli altri – stremati – rallentano, bruciando centesimi e tossine. Serve l’ultimo scatto perchè il traguardo è lì: chi meglio di lui sapeva tagliarlo da primo, col pugno alzato, come a Mosca quando bruciò Wells e davanti agli occhi del mondo divenne “La Freccia del Sud”.
Non c’è più, Pietro Mennea. Il più grande atleta italiano di sempre. Nato a Barletta, campione olimpico, primatista mondiale dei 200 per 17 anni, parlamentare, plurilaureato. Persino dirigente calcistico, privilegio di un solo club italiano: la Salernitana. Chi meglio di lui avrebbe allra potuto raccontare la sfida all’Arechi tra granata e Barletta, in uno stadio bardato a festa, in 30mila per tagliare il traguardo agognato dopo un’altra rinascita. Sarebbe stato deja vu, per Mennea. C’era, nell’anno della storica promozione in A: anche a lui toccarono le secchiate d’acqua di Tosto e Giacomo Tedesco. Era il direttore generale, voluto dal presidente Aniello Aliberti perchè desse un occhio ai conti, gettasse le basi per la quotazione in Borsa del club e soprattutto perchè sovraintendesse ai lavori di costruzione di Castel Rovere, il centro sportivo. «Nonostante avesse un passato così importante era umile, semplice, un professionista a tutto tondo». Si presentò timido, alla prima conferenza stampa: febbraio del ’98, ventre dell’Arechi, Salernitana ormai lanciata verso la A. S’era scelto proprio una strana corsia per continuare la sua gara, il campione dei campioni: uno sprint sull’erba. «Mi laureai con una tesi sulla legge ’91, prima o poi nel calcio dovevo arrivarci…», disse tirato. A Salerno c’era già stato: nel ’67 al Vestuti ottenne sui 250 metri il suo primo record italiano allievi. «Record dopo aver mangiato tre piatti di pasta al forno», ricordò, appena appena sorridente. L’uomo del Sud, non solo la Freccia. Il primo scatto, a Barletta. Papà sarto, mamma casalinga. Un giorno, Olimpiadi del ’72 a Monaco, gli si avvicinò Brera. «Mi toccò il cranio e disse: “I suoi avi vengono dalla Mesopotamia”. Risposi: “Boh, vedrò di informarmi, per ora sono fermo a Barletta». Non è mai stato fermo. Le corse per strada, le sfide diventate leggenda: a 15 anni, su uno stradone, sfidò una Porsche e un’Alfa 1750 sui 50. Naturalmente arrivò primo. Il premio di 500 lire gli servì per pagarsi «il biglietto al cinema e un panino». Non era uomo di calcio però gli stadi erano il suo regno. A Barletta, nell’80, un anno dopo il record mondiale messicano, stabilì il primato a livello del mare, un 19”96 durato tre anni. Molto meno durò invece la sua esperienza alla Salernitana, un’avventura partita con la promozione in serie A e chiusasi con la retrocessione, il rogo, la malinconia, la rabbia. Restano i ricordi, che galleggiano e non vogliono andarsene. «Spesso cenavamo con Rossi – ricorda Aliberti – che si divertiva a punzecchiarlo. “Berruti era più veloce di te”, gli diceva. Non rispondeva. Una sera però non ce la fece più: “Senti Delio, sull’enciclopedia alla lettera M si può trovare anche il cognome Mennea; alla lettera R, invece, non mi risulta che ci sia il tuo. Rossi non rispose».
Gli rispose invece Lotito, nel maggio di quattro anni fa incrociato su un aereo che da Milano scendeva a Roma. L’episodio lo raccontò proprio Mennea in un’intervista a Lira Tv. «Parlammo pure di Salernitana. Gli raccontai l’epoca magica, lui rispose che i miei ricordi appartenevano ad un calcio che fu. Gli risposi che non era solo passato, che la Salernitana e la passione della gente erano vive e che avevano solo bisogno di qualcuno che riaccendesse la miccia. Poche settimane dopo lessi che Lotito aveva preso la società». Che sta tornando in serie B. Quattro anni dopo le resta l’ultima curva e il destino le regala proprio il Barletta: è l’ultimo sprint sull’erba prima di tagliare il traguardo. A braccia alzate e magari con il pugno, ricordando Pietro Mennea. La Freccia del Sud. Che non ha mai smesso di correre, eppure molti lo hanno già dimenticato.

P. S. scrivo solo perchè qualcosa dovrò pur fare
#losportèunvirusmeraviglioso #ilricordodimenneaaltempodellasalernitana

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