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Serie A e media-company, si riapre la partita dei fondi. I presidenti hanno fretta, in anteprima la brochure di Casini

In Lega A si riapre un capitolo affondato 16 mesi fa tra litigi e ribaltoni. Ultime assemblee infuocate dopo lo scontro sui diritti tv dell'area Mena: il ruolo e la parcella di Fienga
Lotito-Galliani
Aurelio De Laurentiis, Adriano Galliani, Claudio Lotito

Serie A e media company: chiusa tra lacerazioni, ritardi e perdite la partita sui diritti dell’area Mena, la Lega serie A riapre in piena estate un tema caldo, delicato, dirimente, decisivo. Stringente per il proprio presente, strategico soprattutto per il proprio futuro. È la via considerata necessaria per incrementare i ricavi di una Lega che in Europa ha numeri da retrocessione e soprattutto la strada maestra per proseguire nel processo di distacco dalla Figc seguendo così una strategia di autonomia intrapresa a febbraio dopo il defenestramento del presidente Paolo Dal Pino, l’uomo dei fondi, l’uomo del cartello GravinaScaroniCairo, il cartello che puntava diritto all’obiettivo come fosse un’asfaltatrice. Sarebbe un altro passo per la rottura definitiva con il governo federale guidato da Gabriele Gravina che continua: ad esempio nella riunione di lunedì scorso (alcuni collegati da remoto, il Covid è tornato a far capolino anche in via Allegri)  il presidente federale ha proposto il suo piano triennale anche su indice liquidià senza correttivi, il presidente Lorenzo Casini per la serie A ha ribadito di volersi attenere solo a normativa Uefa, in silenzio le altre leghe. La media company (dovrebbe occuparsi di produzione, commercializzazione e distribuzione dei diritti audiovisivi) fu tema bruscamente accantonato sedici mesi fa: l’accordo con la cordata CVC-Advent-Fsi che avrebbe dovuto acquistare il 10% della media-company immettendo 1,6 miliardi di euro nelle casse dei club, era stato già chiuso.

Mancava solo il voto dell’assemblea. Tutto invece saltato a febbraio 2021 tra litigi in via Rosellini e quorum mancati in assemblea, lettere e contro lettere, mozioni di sfiducia e veleni sottobanco. Al duo De LaurentiisLotito s’erano aggiunte Verona, Atalanta, Fiorentina e infine, e in maniera decisiva, Juventus e Inter. Ad aprile 2021 sarebbe poi esplosa la bomba Superlega: se i club italiani fossero entrati, l’accordo col fondo di private equity sarebbe saltato con tanto di penali sanguinose, ecco perché magari le due big fossero contro. Tra i nodi principali c’era poi il timore diffuso di perdere autonomia decisionale e c’era la volontà di slegare la vendita dei diritti tv (in qui giorni si chiudeva l’accordo con Dazn, “affare di Stato” vista la robusta partecipazione di Tim, controllata da Cassa Depositi e Prestiti, leggi qui) dalla creazione della media-company.

Di acqua ne è caduta sotto i ponti, teste in Lega sono rotolate mentre altre restano vicine al patibolo. Accantonato il progetto Superlega. Cambiati gli equilibri dentro la Lega A. Cambiato il presidente. Cambiata la strategia: d’attacco e di autonomia verso la Figc. Non è cambiato soltanto lo scenario dei conti. Anzi, è solo peggiorato, numeri e cifre sono sempre più da tregenda: i club italiani hanno bruciato in un biennio 1,2 miliardi di ricapitalizzazione, l’81% dei ricavi se ne è andato tra acquisto di cartellini e stipendi ai calciatori, perde quasi quanto la Premier League che però ha fatturato di molto superiore al doppio, tra le principali leghe europee solo la Ligue1 incassa meno, è l’ultima come flusso di ricavi (in Inghilterra superiori del triplo) ma è la seconda per monte acquisti-ingaggi. Strategie (!) folli dei club che plasticamente si riversano nelle scelte della Lega e dell’assemblea, un condominio rissoso di presidenti e proprietari per giunta amministrato per anni e anni da dirigenti incapaci (a volte osteggiati, a volte pilotati) anche di vendere un prodotto che, almeno a parole, sarebbe di vetrina internazionale prestigiosa.

Tanto per aggiungere qualche cifra che spieghi il divario: la Premier ha venduto i diritti televisivi negli Stati Uniti alla NBC di Comcast per 2,7 miliardi di dollari (2,38 miliardi di euro) in sei anni, quasi triplicando il valore del suo contratto esistente con l’emittente. La cifra per ogni stagione che il campionato inglese riceverà dagli Usa (oltre 390 milioni di euro) è più del doppio del totale incassato dalla A. Che un anno fa ha cambiato partner per i diritti nazionali incassando 840 milioni di euro mentre la Premier ha venduto i diritti ai partner esistenti Sky, BT e Amazon per 5 miliardi di sterline (quasi 6 miliardi di euro), senza cambiare l’accordo precedente, optando per la stabilità in mezzo alla pandemia. E, per finire, l’area MENA: la Premeir ha sottoscritto un triennale da 500 milioni di dollari con Bein.

Serie A e media-company, si riapre la partita dei fondi. I presidenti hanno fretta, in anteprima la brochure di Casini Storiesport

Diritti tv, litigi, percentuali e l’accelerazione. Proprio la cessione dei diritti tv nell’area MENA varrebbe solo come ultimo esempio: quindici mesi per chiudere un accordo – la questione era sul tavolo dell’amministratore delegato Luigi De Siervo da marzo 2021, amministratore delegato che ha intrattenuto nei mesi rapporti e avviato trattative con diversi soggetti avvalendosi anche del supporto di Infront – quindici mesi per ufficializzare una pacchetto di vendita che ha fruttato alla fine della fiera quasi 40 milioni di euro in meno ai club di A (25, 28 e 31 milioni di dollari, il precedente triennale dell’area aveva portato 110 milioni di euro), quindici mesi di litigi e baruffe diventate dirompenti nell’ultimo mese tra accuse, litigi, penali, clausole, lettere e proposte spuntate all’ultimo secondo. L’accordo con Abu Dhabi Media raggiunto da De Siervo con la consulenza di Guido Fienga doveva andare ai voti a metà giugno: però De Laurentiis che paventa un interesse di Amazon, la Roma che sottopone l’interesse di BeIn e il voto al dunque rimandato (era il 13 giugno) perché molti club (3 astenuti, 8 favorevoli al rinvio e 9 contrari) volevano aspettare la nuova proposta e soprattutto dar seguito ai rilievi del “nuovo” arrivato Adriano Galliani secondo il quale il disallineamento nella vendita dei diritti tv avrebbe comportato seri problemi anche alla creazione della media-company, progetto che aveva contribuito a segare l’anno precedente avanzando diritti per la serie B. Dopo il rinvio, il clamoroso litigio in diretta e da remoto tra Casini e De Siervo nell’assemblea del 20 giugno, poi il giorno dopo le accuse di De Siervo all’ad della Roma Berardi manifestatesi con una lettera velenosa, come altrettanto veleno s’era già sparso al momento del voto (il 13 giugno) sulla percentuale da riconoscere all’advisor Guido Fienga (l’ex amministratore delegato della Roma da pochi giorni è diventato advisor anche della Figc) che aveva presentato una parcella del 5% sull’affare mentre Lotito e molti altri non volevano riconoscergli più di 1,4 milioni di euro. Indispettito, l’ex ad della Roma aveva così abbandonato il collegamento da remoto mentre De Siervo avrebbe poi comunicato ai presidenti: “Fienga si è sentito offeso”. Diciassette giorni dopo sarebbe comunque arrivato l’accordo, il pacchetto MENA ceduto ad Abu Dhabi Media grazie però anche alla provvidenziale abolizione passata in Parlamento di alcuni vincoli della legge Melandri, operazione guidata dal sottosegretario Valentina Vezzali cui sarebbero andati i sentiti ringraziamenti di Casini e dell’intera Lega serie A, un modo ancor più plastico per evidenziare la spaccatura e lo scontro con Gravina che da oltre un anno aveva promesso impegni anche su questo fronte. In fondo però l’abolizione in tutto o in parte della legge Melandri fa parte di un disegno più ampio che la serie A ha messo su carta da gennaio (leggi qui): staccarsi dalla Figc, mettere in piedi un modello stile Premier League. La creazione di una media company segue questo indirizzo, è la trave portante del progetto di rivoluzione. Da maggio è tornata a essere punto fondamentale, più volte richiesto dai presidenti di serie A a De Siervo: ti abbiamo affidato il compito da mesi, ma quando ci presenti un progetto? La domanda ripetuta anche e ancora il 13 giugno. Un vero e proprio fuoco di fila. Aperto da De Laurentiis, cui De Siervo avrebbe risposto così: «Ci sto lavorando e che quando il presidente lo riterrà opportuno presenterà anche la seconda parte della relazione sulle linee strategiche che, peraltro, si conclude con l’ipotesi, da un lato, di creazione di una Media company e, dall’altro, di una DistribuCo». Sarebbero poi seguiti i rilievi sui tempi di entrata in funzione manifestati da Campoccia (Udinese), quelli del romanista Vitali, quelli del viola Barone, «se ne parla da tre anni ma finora non c’è un documento chiaro», quelli del bolognese Fenucci. Una discussione nella discussione. Anzi, la discussione. In fondo la battaglia sui fondi in serie A è stata e continua a essere la madre di tutte le battaglie, da venti mesi a oggi: è in fondo la battaglia che deciderà i destini della guerra.

Parole e brochure. «Per affrontare le sfide del futuro è necessario creare una media company e migliorare la struttura. La Lega ha poche decine di dipendenti, la Liga spagnola dieci volte tanto. La Lega, con poco sforzo, potrebbe diventare un vero sostegno per i club nel rapporto con le istituzioni e un supporto tecnico su temi come infrastrutture e commercializzazione». Sono le parole del presidente Lorenzo Casini rilasciate il 20 giugno in un’intervista a “La Gazzetta dello Sport”. Quel giorno sarebbe poi nato lo scontro durissimo in assemblea tra lui e De Siervo: accuse di interferenze e colpi mancini da cui poi sarebbe nata l’intemerata di De Siervo verso l’amministratore delegato della Roma. Dieci giorni dopo sarebbe stato approvato l’accordo studiato, elaborato e presentato da De Siervo con la consulenza di Fienga. Ceduti i diritti audiovisivi per l’area del Medio Oriente e Nord Africa, nello stesso giorno, in assemblea, il presidente Casini ha presentato un breve elaborato volendo mettere marchio e timbro al risveglio dell’iniziativa mentre l’amministratore delegato della serie A ha dal canto suo già stilato un progetto di oltre settanta pagine. Una contesa, anche qui: almeno pare non galleggi fattiva collaborazione. Quella presentata da Casini è una brochure di 13 pagine che il sito storiesport.it ha avuto la possibilità di visionare in anteprima. In realtà ci sarebbe poco o nulla da scrivere, è più nelle pieghe che si trovano indizi interessanti. Nelle 13 paginette della brochure – il titolo è “MediA company” – c’è persino un sommario diviso addirittura in sei capitoli: alla fine sono poche righe, parecchie foto. C’è un richiamo al quadro normativo allo Statuto della Lega A e alla legge Melandri, poi un passaggio sulle funzioni della costituenda media company, uno su quale forma giuridica darle, uno sui rapporti con la Lega, uno sulle risorse e infine uno sul cronoprogramma. Ecco, conviene forse partire proprio dall’ultimo punto. I next steps – così c’è scritto sulla brochure presentata da Casini – sarebbero quattro. A luglio (cioè in questo mese) la definizione delle ipotesi di lavoro. A settembre l’approvazione del piano strategico “Media-A Co”. A novembre la costituzione della “Media-A Co” e le modifiche statutarie della serie A. A gennaio l’operatività della “Media-A Co”. Tempi stretti nei quali far passare e soprattutto approvare un progetto che la serie A coltiva da almeno quattro anni e che si sarebbe schiantato quindici mesi fa proprio al momento del voto. Sembrava fatta, e invece bang. Da lì sarebbero nate nuove frizioni e scontri durissimi, la rivoluzione in Lega (battaglia tra alcuni presidenti e i vertici), le battaglie sul consigliere indipendente, sull’assegnazione dei diritti tv nazionali e persino sullo spezzatino di partite, il defenestramento di Dal Pino, le ingerenze di Gravina e della Figc che spingevano per l’accordo col fondo di private equity Cvc Capital Partners in cordata (Advent-Fsi), lo scontro tra Cairo-Scaroni e gli altri presidenti, l’elezione di Casini, la posizione di De Siervo sempre in bilico e ancora in sella specie perché ha ancora un biennale robusto.

Serie A e media-company, si riapre la partita dei fondi. I presidenti hanno fretta, in anteprima la brochure di Casini Storiesport

La fretta e i punti. Tutto adesso dovrebbe passare in pochi mesi. I presidenti hanno fretta, hanno bisogno di risorse, hanno bisogno di mettere un oceano tra sé e il resto del pallone tricolore, stanchi di dover riconoscere la mutualità alle altre leghe e stanchi di fare da cassa allo sport italiano, stanchi di dipendere dalla Figc di Gravina. Adesso hanno una brochure da cui ripartire. Troveranno quell’accordo dissipato più di un anno fa tra rilievi e sottolineature? Si metteranno d’accordo su funzioni (c’è chi spinge per una vera e propria MediaCo, chi invece per una DistribuCo), su poteri, risorse? Intanto Casini ha messo qualcosa su carta mentre De Siervo attende il via libera. Ad esempio. Quali funzioni? “Commercializzazione dei diritti audiovisivi. Produzione audiovisivi e social”: questi i due punti fermi. Seguiti da un terzo, con punto di domanda: “Anche commercializzazione NAV e marketing?”. Un altro punto, poi, quello sulla forma giuridica da dare alla media-company: “Una Srl oppure una SpA?”. Seguito da una questione: “a) Partecipazione della Lega serie A (integrale o maggioritaria): b) SpA da quotare in borsa?”. Un’altra questione di rilievo è poi quella legata ai rapporti della Media-company con la Lega serie A. Sulla brochure ve n’è un accenno. “Nomina degli organi: presidente/ad e cda, più revisori nominati dalla Lega A”. Poteri di indirizzo: “a) obiettivi strategici fissati dalla Lega A; b) piano annuale e triennale approvato dalla Lega A”. Poteri di controllo e vigilanza: “a) partecipazione al capitale della Srl o della SpA (integrale o maggioritaria); b) obbligo di rendicontazione della MediaCo alla Lega serie A; c) reportistica periodica”. Alla luce di ciò, tre sarebbero le alternative di governance: “a) modello con rappresentanti della Lega A; b) modello con figure indipendenti; c) modello misto (figure indipendenti e rappresentanti”. E infine a chiudere, una domanda su quali risorse, per costituirla: risorse finanziarie (capitale iniziale) e risorse umane (in parte da Lega serie A). Tutti punti fondamentali, tutte questioni delicate. Tutto, per ora, resta allo stato embrionale.

Il centro di produzione. In realtà un punto fermo c’è. Il centro di produzione tv (allo studio della Lega anche un canale radio, trattative sono partite con due emittenti private nazionali e poi si lavora alla costruzione di una piattaforma per distribuire gli highlights, la società milanese Adplay ha presentato un progetto) della serie A è già in funzione da un anno. È a Lissone, in provincia di Monza, nella sede di EI Towers, società detenuta al 40% da Mediaset e al 60% da F2i, uno dei principali fondi infrastrutturali a livello europeo e il maggiore in Italia. Mentre le cronache si occupavano di Superlega e del relativo disinnesco (le dimissioni del consigliere di Lega Scaroni mai accettate, il foglio di via a Marotta accartocciato, la Juve e Agnelli son pur sempre la Juve e Agnelli), tamponi e diritti tv, ecco che l’assemblea di Lega il 13 aprile 2021 (leggi qui) approvava l’accordo con EI Towers spa per la creazione del centro di produzione televisivo, primo e decisivo passo per la costituzione di una “media company” capace di generare un flusso di ricavi netti – almeno un miliardo l’anno è la stima – dalla licenza dei diritti audiovisivi del pallone italiano in fiduciosa attesa che i nemici vadano tutti fra panca e tribuna e che la partita sui fondi mai sepolta potesse così finalmente e ufficialmente ritornare a centrocampo. Le cifre e i termini dell’accordo? Dodici milioni di euro (più Iva) l’anno per sei stagioni sportive (2021/2027), il prezzo controfirmato per la fornitura del servizio dopo lo sconto a listino di 1,1 mln di euro e senza possibilità per le due parti di recedere anticipatamente dal contratto. Trovandosi, quel giorno a Milano le società avrebbero poi spedito anche gli arbitri in casa del Biscione e della famiglia Berlusconi: anche il centro Var sistemato a Lissone e non più a Coverciano dopo l’avvio dei lavori, canone di 500mila euro l’anno per sei anni e clausola di rinnovo tacito per altri sei ma stavolta con la facoltà della Lega di recedere.

Fondi: ritorni di fiamma e nuovi intrecci. Il fondo F2i potrebbe dunque anche tornare in pista: in fondo ha una partecipazione italiana, un tratto considerato favorevole all’epoca dell’accordo con la cordata guidata dalla britannica Capital Parters perché v’era una quota del fondo Fsi. Tra le società che controllano il 60% del pacchetto azionario del fondo infrastrutturale F2i vi sono fondazioni bancarie (Unicredit, Intesa) e vi è anche la Cassa Depositi e Prestiti, azionista anche di Tim che a sua volta ha tra gli azionisti Vivendi dell’ex nemico (in realtà dopo il patto di non belligeranza dello scorso anno pare che le schermaglie siano riprese) di Berlusconi, Bollorè. Magari tracce da cui partire per mettere sul… prato i possibili acquirenti di una percentuale della media-company, se si decidesse appunto per un apporto azionario esterno. Chissà, magari potrebbe essere della partita anche “Amber Capital”, il fondo di Joseph Oughourlian che in questi giorni starebbe puntando su Mediaset. In fondo ci sono legami con Bollorè (trattativa Lagardere) e nel calcio, visto che possiede tra gli altri, club come Racing Lens, Real Saragozza e Padova. In pista potrebbe chissà magari tornare – i vertici al momento lo escludono – anche Cvc Capital Partners che sedici mesi fa aveva praticamente in pugno il 10% della costituenda (mai costituita) media-company. Aveva superato al fotofinish la proposta di un altro fondo, quello di Bain Capital in combinazione con Nb Reinassance: quest’ultimo aveva offerto un po’ di meno (1,3 miliardi di euro a fronte dell’1,6 miliardi di euro) ma per molti club sarebbe stato da preferire per una serie di condizioni. Ad esempio: valutazione economica della futura media company; minimo garantito; modalità di distribuzione del prezzo; exit dei fondi dalla media company. Inoltre la “distribuzione del prezzo di CVC” sarebbe stata soggetta a contestazioni perenne da parte delle squadre di B promosse in A, mentre per quella di Bain gli importi di competenza di promosse e retrocesse sarebbero state gestibili mediante il meccanismo del “paracadute”, evitando così problemi con la serie B che guidata all’epoca da Galliani s’era rivolta allo studio Chiomenti (lo stesso al quale i 7 club tra cui il Milan avevano chiesto ad aprile 2021 la testa di Dal Pino) per evitare discriminazioni nella ripartizione del prezzo. Il gruppo guidato da Bain Capital poi non avrebbe posto clausole e penali sul passaggio della serie A da 20 a 18 club. Una questione, anche questa, che continua a essere all’ordine del giorno, visto che Gravina ne ha riparlato in occasione dell’ennesimo suo annuncio di “svolta epocale” del calcio italiano. La serie A al momento di scendere a 18 non ne vuol proprio sapere. Chissà se i vertici di Cvc sarebbero ancora interessati: dopo la rottura con l’Italia, l’estate scorsa sono entrati nella Liga. In Spagna la federazione era contraria mentre la Lega di Tebas favorevole (tranne le due big), così contraria che il presidente Rubiales (“è una cosa illegale”, aveva sbottato) ricevette una telefonata da Gravina. “Non puoi osteggiare l’ingresso dei fondi, sono una risorsa, sono la nuova via del calcio”. Chissà se a (ri)perorare la pratica Cvc possa essere l’ancora presidente del Milan, Scaroni. Già fedelissimo di Berlusconi, il consigliere di Lega è pur sempre vice-presidente della banca Rothschild che è advisor di Capital Partners. Oppure potrebbe favorire un riavvicinamento il neo arrivato presidente della Salernitana, Danilo Iervolino. Ribattezzato “mister miliardo” proprio per aver ceduto al fondo Cvc le quote della Pegaso. L’imprenditore di Palma Campania in questi mesi ha bulicamente aperto molti canali finanziari: è prima entrato nel fondo di private equity di matrice napoletana Vertis, come “strategic advisor” dividendo il ruolo con Massimo Della Ragione che siede anche nel consiglio d’amministrazione della Juventus, poi pochi giorni fa ha acquistato il 6,2% delle quote. Si racconta come sia una mossa per aprirsi e accreditarsi sul mercato finanziario, operazione più o meno simile avvenuta anche con Nextalia, sedendo nello “strategic board” curiosamente insieme a Monica Mondardini che per anni è stata amministratore delegato del gruppo Gedi uscendone nel 2018 e dunque non partecipando alla vendita proprio a Iervolino dello storico settimanale L’Espresso che era intanto passato da qualche anno sotto il controllo della Exor di Elkann-Agnelli. Un anno fa aveva lasciato Sky invece Maximo Ibarra, fratello della compagna di Gabriele Gravina. Aveva lasciato l’incarico passando a Engineering Ingegneria Informatica SpA, società detenuta dai fondi Bain Capital e Nb Reinassance, proprio quelli della proposta antagonista a quella di Cvc (leggi qui). Da quel giorno nuove proprietà straniere – legate a fondi – sono entrate nel calcio italiano. Si aspettano che le promesse vengano mantenute, partendo innanzitutto dalla costruzione di nuovi impianti. Nell’attesa, potrebbero prendersi un’altra fetta di quella torta rancida che è il calcio italiano.

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