Seduti su una montagna di debito crescente eppure consapevoli delle potenzialità economiche e dei margini di crescita ancora inesplorati, divisi in blocchi sulle strategie da attuare eppure compatti nell’esigenza immediata di trovare nuove risorse, ondivaghi sulla rotta da scegliere e sulla struttura di cui dotarsi eppure obbligati a trovare una soluzione condivisa che metta finalmente fine a ritardi atavici tra continui rinvii e rimpalli, e che soprattutto consenta di incamerare nuovi indispensabili introiti per mettersi al riparo dai venti di tempesta: i venti club di serie A si riuniranno domani, in programma c’è una nuova assemblea di Lega che non si terrà nella sede istituzionale di via Rosellini ma nei saloni dell’hotel Gallia, un tempo fastosa e scintillante sede di calcio-mercato e stavolta invece scenario delle contrattazioni tra presidenti e amministratori delegati di un condominio sempre rissoso e troppo spesso inconcludente. Quindici giorni fa il consesso dei venti club aveva sospeso e rinviato il pallone sulla questione più dirimente per la quale si discute, si combatte, ci si divide e ci si spacca da almeno tre anni. Nessuna risposta a domande stringenti. E cioè. Per incamerare nuove risorse meglio aprire il portone della Lega all’ingresso di un fondo di private equity che investirebbe nell’acquisto di una percentuale di una costituenda media-company limitando però i poteri della goverance interna e dei club? Oppure è preferibile e più vantaggioso aprire a una linea di finanziamento di un colosso bancario, finanziamento che verrebbe diviso e distribuito tra i club, ma poi con quali criteri? Oppure fondere le due strade imboccando una via ibrida, che contempli cioè capitale e debito? Tre domande da quasi due miliardi di euro, tre domande ancora inevase che difficilmente troveranno una risposta compiuta anche domani. La questione è lunga e complessa, prima di affrontarla c’è almeno da segnalare come su altri punti all’ordine del giorno ci dovrebbe essere accordo. Su due, almeno.
Il canale radio e la partnership con Ice. In attesa di un canale televisivo proprio, la Lega serie A si dota di un proprio canale radio. Dopo quasi due anni, si è arrivati a dama. Le manifestazioni d’interesse erano state inizialmente cinque (tra queste c’erano anche Radio Capital e Rtl), due però le emittenti che hanno poi continuato il percorso e presentato l’offerta: le buste sono state aperte, le proposte vagliate. Domani saranno illustrate in assemblea che andrà al voto per definire l’accordo sul canale radio tematico che h24 si occuperà del calcio di serie A. I due canali radio in lizza sono Rds (Radio Dimensione Suono) e il consorzio composto da Triboo e da TC&C (editrice di Tuttomercatoweb), diventato quindi Tmw Radio sport. Un altro punto all’ordine del giorno è il rinnovo anche per la prossima stagione dell’accordo di sponsorizzazione con l’Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) che rientra nella partnership avviata con il Ministero degli Affari Esteri grazie al lavoro dell’ad De Siervo e del direttore marketing Ciccarese. Sono nove i milioni di euro che arriveranno sul tavolo. Grazie a questa partnership il calcio italiano continuerà così a essere una piattaforma di promozione del “made in Italy” nel mondo, una strategia di soft-power con la quale le eccellenze del territorio (economiche, turistiche, enogastronomiche) troveranno una finestra privilegiata spalancata sul pianeta considerati i 200 Paesi che attraverso 60 broadcaster seguono le partite della serie A.
Proventi dai diritti tv, ripartizione e assegnazione. Già su questo punto si comincerà a scendere più nell’agone: la questione è delicata, le opinioni dei club non univoche. Bisogna stabilire le quote di ripartizione dei proventi dai diritti tv ai venti club sulla base della quota di spettatori paganti e abbonati in base all’articolo 8 del decreto Lotti datato 2018. La legge dispone che la valutazione, la ripartizione e la suddivisione vengano stabilite sulla base dell’ultimo triennio calcistico. Però le stagioni 2020/21 e 21/22 sono state penalizzate dal Covid, praticamente nel 2021 si è giocato in stadi vuoti e nella stagione successiva si è gradatamente arrivati all’apertura piena. Quindi i dati dei primi due anni sono – sarebbero – non pienamente rispondenti. C’è poi chi, pare ad esempio il Monza di Galliani, sta conducendo una battaglia perché lo scorso anno era in B e dunque la base di calcolo sarebbe penalizzante. In sostanza, tra i 20 club c’è chi vuole affidarsi al computo degli ultimi tre anni e chi invece solo sull’ultimo (quello in corso) con una sorta però di adeguamento-correzione. Al voto dei club è demandata oggi la soluzione finale. Per quanto riguarda invece il nuovo bando sui diritti tv c’è ancora tempo anche se, rispetto agli anni precedenti, la Lega A si è mossa in anticipo e non si arriverà in extremis. Fino al 2024 i diritti tv nazionali sono di Dazn e Sky, entro maggio la Lega definirà il bando per il prossimo triennio, entro ottobre si dovrebbe partire con la contrattazione. Al momento è assai difficile ipotizzare che un’offerta arrivi a pareggiare quella dell’ultimo contratto: si è ben sotto la soglia dei 920 milioni di euro mentre resta in piedi l’apertura di un centro di produzione e distribuzione televisivo proprio. L’assegnazione dei diritti tv nazionali entrerà quindi nella fase calda soltanto in autunno. Sul versante internazionale intanto, dopo l’internalizzazione della gestione (prima affidata a soggetti esterni, Img e poi Infront), la Lega di serie A sta aumentando i contatti per la valorizzazione del prodotto grazie anche al lavoro della dottoressa Anna Guarnerio, la manager assunta da Infront qualche mese fa (leggi qui). Il filone sui diritti tv porta di filato alla questione principale, quella legata cioè all’eventuale ingresso dei fondi di private equity oppure all’apertura di una linea di credito con istituti bancari o ancora alla via ibrida, compendio delle due: è una questione all’ordine del giorno anche domani ma che anche domani non porterà a una direzione precisa e condivisa. Non alla scelta. Non al voto.
L’allargamento del consiglio, l’advisor, le offerte. Le spaccature, le divisioni, i rinvii continuano da almeno tre anni e mezzo, da quando cioè sotto la presidenza Dal Pino e per il caldeggiamento del presidente federale Gravina, era nato il progetto legato alla creazione di una media-company e all’acquisto di una sua percentuale da parte di un fondo. L’accordo con Cvc-Advent-Fsi pareva ad un passo (per 1,6 miliardi di euro) e invece da lì sarebbe tutto andato a rotoli. Tutto in discussione, tra spaccature, veti, meline e cambi di bandiera. Da almeno due anni. E su questo tema se ne innesta un altro, legato alla partecipazione. Anni fa il consiglio di Lega era composto da nove consiglieri: si scese poi a cinque (quattro rappresentanti di club più un consigliere indipendente) anche sotto gli sferzanti colpi ad esempio di Aurelio De Laurentiis. «Così non si decide mai nulla, troppo teste». Il pensiero deve essere però (ri)cambiato, visto che De Laurentiis e un gruppo di club che si sentono scarsamente rappresentati puntano invece adesso a un nuovo allargamento, ad un migliore e diverso modello organizzativo: il consiglio di Lega deve essere portato a 8 consiglieri perché si chiede maggiore centralità. Su questa proposta domani si discuterà, eccome. Come si discuterà sulla questione più importante. Aprire ai fondi, dire sì a un finanziamento, percorrere una strada ibrida? Le domande rimbalzano mentre, dopo le manifestazioni d’interesse mostrate da fondi e banche nel corso di questi mesi (Citi, Goldman Sachs, JPMorgan e Barclays sono tra i finanziatori elencati nel documento trasmesso dalla Reuters che cita anche le società di private equity Apollo, Apax, Carlyle, Three Hills Capital Partners e Searchlight) l’univoco – almeno questo – pensiero di tutti i club di serie A è che il mercato calcistico italiano sia un mercato appetibile a patto però che vengano meno frizioni e divisioni e che si decida il da farsi. Il momento è delicato, il debito cresce, il rosso nei bilanci non può sempre essere compensato da aumenti di capitale, il divario con le altre principali leghe europee aumenta e la situazione degli impianti sportivi è drammatica. Bisogna arrivare a una scelta. Aprirsi all’esterno oppure procedere a una gestione in house? La questione terrà di sicuro banco anche nei prossimi mesi, al momento la sensazione è che i club non sbatteranno la porta alle offerte (siano fondi o finanziamenti) pur se la fila dei sostenitori dei fondi resti minoritaria rispetto a quella che punta su un finanziamento, pare per non meno di 1,3 miliardi di euro. Però, per portare avanti comunque la questione, molti club si sono persuasi che vada affidata a un soggetto esterno cui affidare i compiti di studio, valutazione, elaborazione, presentazione: innanzitutto che faccia una sintesi delle richieste dei club e poi che s’interfacci con gli interlocutori, siano essi fondi o banche. Ed è su questo aspetto che oggi l’assemblea dei venti riottosi e rissosi club dovrebbe discutere: chiudere definitivamente la porta (difficile) oppure se si decide di proseguire che ci si affidi ad un advisor esterno (in piedi i profili di Lazard ma anche altri di altri big del mercato internazionale) che recepisca le istanze interne, che tracci una dimensione qualitativa e quantitativa delle offerte, che definisca anche una dimensione prospettica compensativa nella ripartizione dei proventi (il divario tra i club stabilmente in A e quelli che poi retrocedono è rilevante, le quote da destinare agli investimenti e alle infrastrutture e non al mercato) e che alla fine della giostra porti a casa la migliore soluzione per il futuro della serie A. Alla quale spetterebbe poi il voto. Il problema è proprio questo. Quando? Come? Per cosa?