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Pallone e pasticci, la Lega Pro deve tornare al voto 20 giorni dopo le urne: manca un consigliere nel direttivo di Marani

L'elezione per il neo presidente ha lasciato una parentesi: il presidente dell'assemblea Mazzoni costretto a richiamare i 59 club per decidere sul ballottaggio per un posto nel consiglio

Sarà stato sicuramente un esercizio democratico, così come l’ha definito il presidente federale Gabriele Gravina che aveva fatto capolino nel salone d’onore del Coni prima per un saluto prima del voto e poi, dopo la proclamazione elettorale, commentato così «è stato un grande esercizio della democrazia, in un momento complicato per il calcio italiano, una componente importante come la Lega Pro ritrova stabilità dopo pochissimo tempo», però il voto dell’assemblea elettiva della Lega Pro che ha portato venerdì scorso (come negli auspici del numero uno di via Allegri) Matteo Marani sul soglio di Firenze s’è chiuso con un mezzo pasticcio. Una macchia da lavare, e levare anche in fretta, altrimenti la macchina resta ferma, altrimenti non si può voltare pagina. È un vizio che deve essere sanato. La tornata elettorale (le precedenti puntate qui e qui) si è conclusa infatti con una parentesi aperta, una finestra che andrà chiusa (ri)chiamando ancora una volta al voto i 59 club della terza serie italiana, ai quali è stato già inviato il nuovo invito: dovete tornare a votare. Nemmeno un mese dopo dovranno così rimettersi in viaggio, e affrontare nuove spese: tutto perché c’è da infilare nell’urna soltanto una scheda, un’altra scheda. Stavolta l’appuntamento è stato fissato a Firenze e non a Roma ma è una prosecuzione del voto celebrato nel salone del Coni: pare uno scherzo ma è tutto vero, c’è un’altra assemblea straordinaria alle porte.

Una casella vuota. Sarà stata la fretta di celebrare la vittoria, sarà stata la confusione a spoglio ultimato, sarà stato il desiderio di voltare in fretta quella pagina di due mesi di reggenza obbligata dopo la rumorosa caduta di Francesco Ghirelli, sarà stata la sorpresa di trovarsi con due candidati a pari voti e (forse) la non completa conoscenza del regolamento: di certo c’è che il nuovo governo della Lega Pro non può ancora partire a pieni giri. Perché manca una casella, manca un nome, manca la sesta pedina del consiglio direttivo che è una sorta di parlamentino della Lega Pro da cui poi bisogna designare tre (su sei) componenti del comitato esecutivo che affiancano presidente, vice presidente vicario e l’altro vice che, tutti insieme, formano il governo della lega.

Il voto. Matteo Marani è il nuovo presidente, 39 voti gli sono bastati per succedere a Ghirelli e superare nettamente nella contesa il rivale Marcel Vulpis. Con lui regolarmente eletti i due vice, un plebiscito per Gianfranco Zola che sarà il vicario e proclamazione avvenuta anche per Giovanni Spezzaferri, l’altro vice: per anni presidente dell’Aversa Normanna, non ha cariche in alcun club eppure rientra a pieno titolo nell’agone calcistico, pare anche grazie alla “sponsorizzazione” di Ghirelli che tra i club di terza serie manterrebbe ancora un discreto ascendente, pur se quella sua voglia di arrivare alla riforma del format l’ha fatto inciampare e soprattutto ne ha tranciato il feeling con Gravina. I due pare siano ormai distanti anni luce, Ghirelli conta ancora di rientrare nelle questioni federali pur se Gravina pare gli stia facendo erba bruciata intorno: tra le tesi federali ne spiccherebbe una nel vocìo indistinto e velenoso che striscia nel palazzo, e cioè che Ghirelli sia ormai ineleggibile, o meglio non più “presentabile” e “candidabile”, per il grave “danno” creato dalle sue dimissioni. Una voce che non trova riscontro nei regolamenti e nelle norme, magari è solo velenosa, magari non risponde al vero. Però resta annotata nel registro.

Poltrone e riforme. Nel registro elettorale invece manca ancora un nome. Il mandato di governo della Lega Pro l’ha ricevuto a pieno titolo Marani: sostenibilità economica, diritti tv, impiantistica, format e seconde squadre sono solo alcuni dei nodi da sciogliere, sulla riforma dei campionati e sul destino della terza serie Gravina ha parlato con i presidenti ai quali ha promesso aiuti e sostegno, è pronto a ripresentare l’idea di una serie B a 20, di una serie B2 (20 club) e poi una serie C divisa in tre giorni in formato semi-professionistico. Magari chissà, a Firenze andrà a lavorare anche Paolo Bedin, ex dg della Lega B: è un profilo caldeggiato dal ministro Andrea Abodi ma pare molto gradito anche a Gabriele Gravina mentre per il momento resta sulla poltrona di segretario generale Emanuele Paolucci, altro uomo voluto, al tempo, da Ghirelli. Non è mistero che molti club e il vertice federale ne auspicherebbero il congedo, pur se c’è da far conto con lo stipendio a cinque zeri del segretario generale (Bedin mica andrebbe a lavorare gratis), con i professati auspici di sostenibilità, con la compatibilità tra i due (Bedin fa cosa?, Paolucci cosa?) e con una richiesta di “sensibilizzazione” che sarebbe stata indirizzata al neo-presidente (ex direttore di una storica testata periodica sportiva) da un suo predecessore della stessa testata.

Il pasticcio. Di certo c’è che, ben saldo sulla poltrona e regolamento alla mano, venerdì scorso il presidente dell’assemblea elettiva a Roma, l’avvocato Mauro Mazzoni che è pure presidente della terza sezione della Corte federale d’Appello, aveva stoppato tutti dopo la conta dei presenti: non c’era più il numero legale per poter definire completamente chiusa la tornata elettorale, serviva un’altra votazione ma la soglia dei club non raggiungeva il quorum necessario. Ok il voto per Marani, ok quello per i vice-presidenti, ok anche quello per cinque dei sei componenti il consiglio direttivo: Antonio Magrí (presidente Virtus Francavilla), Patrizia Testa (presidente Pro Patria), Alessandra Bianchi (presidente e a.d. Padova), Andrea Langella (presidente della Juve Stabia) e Carmelo Salerno, presidente della Reggiana eletto in extremis al posto di Matteo Matteazzi, ritenuto non eleggibile dal comitato di presidenza elettorale (oltre a Mazzoni c’era anche il giudice sportivo Stefano Palazzi) perché ancora “iscritto all’albo dei direttori sportivi”. Cinque eletti e un ballottaggio, questo l’esito del conteggio delle schede estratte dall’urna: in parità il numero di preferenze assegnate al presidente dell’Albinoleffe Gianfranco Andreoletti e a quello dell’Ancona, Roberta Nocelli. I rappresentanti dei club avrebbero dunque dovuto (ri)esprimersi scegliendo, nel segreto dell’urna, uno dei due. Tra la fretta, la voglia di festeggiare e quella di rimettersi in viaggio, il salone d’onore del Coni si sarebbe però così svuotato, inutile e senza risultato la corsa a richiamare gli assenti, inflessibile poi l’avvocato Mazzoni, costretto da regolamento a chiudere il verbale dell’assemblea straordinaria elettorale con una postilla. Un’appendice necessaria: per completare il consiglio direttivo, per poter avviare il nuovo corso, bisognerà tornare al voto. A Firenze, tutti convocati il 3 marzo, a nemmeno un mese dal voto celebrato in pompa magna: tutti i club chiamati a infilare un’altra scheda nell’urna, chiamati a scegliere chi tra Nocelli e Andreoletti dovrà sedere nel consiglio direttivo. Per voltare definitivamente pagina. Per partire davvero, dopo la falsa partenza.

 

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