Arbitri, la velenosa lotta al voto. Messina si candida, Rocchi riflette pressato da Gravina che lo vuole unico candidato all’Aia

Corsa elettorale tra veleni, pressioni e tranelli. Il ruolo della Figc, dell'attuale governance e dell'ala Nicchi. Le valutazioni del designatore Can. Giannoccaro con Messina
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Appena sei mesi fa erano insieme. Tutti e tre nel ritiro a Sportilia. Gomito a gomito a preparare gli arbitri per la nuova, affilata, stagione agonistica. Facevano squadra: Alfredo Trentalange era lì come presidente dell’Aia, Gianluca Rocchi da designatore della Can e al suo fianco il vice (nei fatti, visto il passato rispetto agli altri componenti) Domenico Messina. Sei mesi passati come un soffio. Sei mesi spazzati e spiazzanti. No, non batte più il sole sul pianeta Aia, colpito – nel corso dei mesi che dalla calda estate avrebbero portato al generale inverno – da fulmini e tempeste, squassato da uragani e tsunami in serie. Costretto a dimettersi, Alfredo Trentalange è adesso sotto processo per il caso D’Onofrio (la prima udienza del 13 febbraio al Tribunale federale vissuta tra la caduta in fallo della Procura Figc, lo sbiancamento di Chinè e il rigetto da parte del Collegio delle richieste difensive su ammissione di testi e documenti, leggi qui, si ritornerà in aula il 17 marzo) mentre la giustizia sportiva è stata commissariata dalla Figc pur se procede ancora sui casi aperti al 31 dicembre 2022. Domenico Messina si è dimesso dal ruolo nella Can per buttarsi nell’agone elettorale. Pronto, e spinto a prendere, il posto del suo ex presidente. Gianluca Rocchi invece resta ancora al proprio posto però i suoi pensieri adesso si affollano sempre più di domande, dubbi e valutazioni: non ha più solo da pensare alle delicate designazioni arbitrali, deve anche valutare la proposta pervenutagli dal presidente della Figc in persona e sciogliere in fretta le riserve.

Gabriele Gravina prima l’ha gentilmente invitato, adesso invece lo sta pressando. Vuole che Rocchi si candidi alla presidenza dell’Aia, vuole che la sua candidatura sia unica: tanto per sbaragliare il campo, tanto per dare un’energica virata a un mondo – quello arbitrale sempre più intrecciato, avvinghiato e avviluppato alle vicende federali – che vorticosamente continua a sbandare in una girandola di veleni, faide, inchieste, sospetti, tranelli, tanto per dare un segnale di netta discontinuità col passato, provando così a uscire dalla contesa tra nicchiani e trentalangiani-baglioniani (stona assai, ma tanto per intendere è la continua sfida tra il gruppo Nicchi e quello di Trentalange e soprattutto del suo vice e attuale reggente Aia, il toscano Duccio Baglioni). L’interpello chiesto alla Figc ha dato risposte a inizio febbraio: secondo la sezione consultiva della Corte federale d’Appello presieduta da Gianpiero Paolo Cirillo gli arbitri italiani devono tornare al voto non soltanto perché devono scegliere il nuovo presidente ma perché c’è da definire l’intero e nuovo Comitato Nazionale, decadono tutti i componenti e dunque è tutto da rifare. Bisogna tornare al voto: quando deve deciderlo però Baglioni che è il reggente dell’associazione arbitri. Tra meline e regolamenti, tra giungla e gangli, bisognerebbe provare a fare chiarezza: Trentalange s’è dimesso il 18 dicembre, entro 90 giorni bisogna fissare la data elettorale, dunque entro il 18 marzo dovrà essere stabilita la data e l’appuntamento non può (non potrebbe) andare oltre i 40 giorni. Ergo, le elezioni dovrebbero tenersi entro il 28 aprile. Il condizionale è d’obbligo, perché trovare una scappatoia al regolamento oppure trovare una deroga è esercizio già iniziato: magari si troverà una soluzione appellandosi alla circostanza che il campionato di serie A terminerà agli inizi di giugno senza dimenticare che non si indica nel regolamento un “dies ad quem”, e cioè in pratica che se venissero indette le elezioni il 18 marzo (ultimo giorno utile), l’assemblea deve essere convocata non prima dei 40 giorni, dunque non prima del 28 aprile, e dunque anche dopo (quindi anche a maggio, anche a giugno, per intendersi). Il timer è comunque partito.

La sfida, il patto, il pressing e la minaccia. Ad accenderlo, rompendo così gli indugi, è stato Domenico Messina. Il vice designatore Can si è dimesso dagli incarichi con una lettera. “I recenti accadimenti che hanno scosso il nostro mondo arbitrale, hanno imposto a ognuno di noi delle riflessioni ponderate sul futuro della nostra Associazione e sul benessere dei nostri arbitri. Mai come in questo momento, anteporre l’interesse generale a quello personale mi sembra doveroso, anche nei confronti di migliaia di associati che hanno come unico desiderio, quello di coltivare con fiducia la loro passione per l’arbitraggio e per il calcio. Pertanto, al fine di poter valutare con serenità ed indipendenza di giudizio, quale sia la miglior strada da percorrere e il mio contributo all’interno della nostra associazione, con la presente rassegno – con decorrenza immediata – le mie dimissioni da componente della commissione arbitri nazionale. Un saluto particolare e un grande in bocca al lupo, va a i miei compagni di viaggio, dal responsabile della Commissione, ai suoi componenti, oltre che agli arbitri, agli assistenti ed ai Vmo della Can”. Nella lettera imbucata il 15 febbraio si scorge il saluto e il grande in bocca al lupo rivolto al responsabile della Can, Gianluca Rocchi. Che sia anche un modo per dirsi: ci vediamo alle elezioni? Oppure un modo per bruciare e troncare le valutazioni dell’attuale designatore, inducendolo a desistere? Le domande rimbalzano insieme agli spifferi impetuosi che si registrano da giorni nelle stanze dell’Aia e della Figc. Pare che tra Messina e Rocchi ci fosse un accordo, pur se i rapporti si fossero un po’ deteriorati: l’ex arbitro della sezione di Bergamo (origini di Cava de’ Tirreni) candidato e poi eletto presidente, il secondo confermato come responsabile della Can. La “discesa in campo” di Messina pare però non sia stata molto gradita dal presidente federale: anzi, senza farne mistero, pare proprio che il presidente federale l’abbia inequivocabilmente detto a Messina. In un incontro a quattr’occhi gli avrebbe manifestato il desiderio di avere invece Rocchi come candidato, e per giunta come candidato unico. A seguire, Rocchi avrebbe confessato a Messina di non poter rifiutare l’invito rivoltogli dal presidente federale che intanto – carte, inchieste e scheletri da una parte e dall’altra dell’armadio alla mano – alimenterebbe e agiterebbe ancora l’eventualità di commissariare l’Aia evitando così, al momento, di mandarla alle elezioni. Vuole un segnale di rottura decisa col passato, vuole troncare faide e veleni mentre la base – gli arbitri, i trentamila arbitri italiani – sono sempre più scontenti, delusi, disorientati. Da questo scenario di bagarre Messina ha pensato di tirarsi fuori facendo il primo, deciso e dirompente passo: rassegnare le dimissioni in attesa di ufficializzare la candidatura alla tornata elettorale. Forse anche un modo per stanare Rocchi, forse un modo per alimentare i suoi dubbi, forse per insinuarsi nei pensieri del designatore Can che non ha ancora definitivamente sciolto le riserve.

Le squadre, il gradimento, amici-nemici e l’attuale governance. Non è un mistero che Gianluca Rocchi sia profilo assai gradito alla presidenza federale, anzi l’unico: il suo nome poi, assicurano, metterebbe quasi tutti d’accordo nel frastagliato e velenoso mondo arbitrale. Lo pensano a via Allegri, lo pensano in via Campania. Al bivio intanto resta (ancora) fermo Rocchi. Non ha sciolto ancora le riserve, non ha dato risposte ai dubbi, non ha risposto (ancora) all’appello. C’è chi sostiene come gradisca portare prima a termine il delicato compito di designatore: se decidesse di candidarsi dovrebbe dimettersi anzitempo. Questo, da regolamento. Però magari si potrebbe trovare una deroga, affidargli su mandato Figc, un interim: una soluzione da concordare con Baglioni (i rapporti con la federazione vivono di alti e bassi, dopo la discesa in picchiata registrata a dicembre a Coverciano in un teso confronto con Giancarlo Viglione, i rapporti paiono ora in leggera risalita) che del resto non potrebbe tirarsi indietro se vuol ancora mantenere (o provare) una sorta d’ipoteca sul futuro. Secondo pensiero sul tavolo: il presidente Aia ha diritto a una semplice e modesta diaria, il ruolo di designatore prevede invece uno stipendio annuale che arriva quasi a duecentomila euro. Anche su questo pare possa trovarsi una soluzione, arrivare a un compromesso.

A proposito di compromessi: l’attuale governance potrebbe appoggiare la candidatura Rocchi anche e soprattutto in antitesi a Messina, ma pare che Baglioni voglia inserire nel ticket-elettorale, come vice-presidente Katia Senesi che nel corso di questi mesi era data come la candidata preferita dell’attuale Comitato Nazionale nella successione a Trentalange. È un profilo però che ha via via perso inesorabilmente la forza, la spinta, il consenso, le opportunità. Ieri a Coverciano, ai margini di un incontro (on line) con i club di B, Rocchi ha incrociato e parlato con Baglioni e Senesi. Rocchi che, se proprio dovesse scegliere un vice tra gli attuali componenti del comitato nazionale, gradirebbe pare Antonio Zappi oppure Carlo Pacifici. Il primo è un dirigente veneto di origine laziale che proviene dai ruoli amministrativi. È stato per molti anni il presidente del Sin (Servizio ispettivo nazionale), era stato sconfitto da Nicchi nelle elezioni nazionali del 2016 e nella vita di tutti i giorni opera nel settore tributario. Il secondo è stato presidente del CRA Lazio, è stato commissario CAI e Can D, ha arbitrato in serie A. Nella vita di tutti i giorni fa il dirigente bancario mentre in campo arbitrale è quello che ha seguito più da vicino la vituperata riforma della CON, la Commissione osservatori nazionale che nemmeno un mese fa ha visto registrare le dimissioni (ufficialmente per motivi familiari) del responsabile Luigi Stella, piemontese direttore generale della Onlus F.A.R.O. dove lavora (come formatore) Alfredo Trentalange: il suo posto – col beneplacito federale – è andato a Domenico Celi dopo aver scartato la soluzione ad interim Matteo Trefoloni (responsabile del Settore Tecnico, forse per evitare rischi mediatici derivanti da una coda giudiziaria di una vecchia vicenda) e pare dopo il rifiuto di Tarcisio Serena.

Mentre Rocchi valuta, studia, decide, e mentre Gravina e la Figc aspettano, Domenico Messina si dedica alla definizione della propria squadra. Al suo fianco, come vice, è pronto a candidarsi Danilo Giannoccaro: nel 2021 aveva ricevuto dalla Figc l’incarico di coordinatore delle relazioni arbitrali con le società di A e B (in passato a Rocchi), incarico che poi la governance Aia Baglioni-Trentalange aveva spinto affinché venisse affidata al toscano Riccardo Pinzani. Giannoccaro avrebbe l’appoggio di una parte delle truppe nicchiane (Narciso Pisacreta, ex vice di Nicchi, Maurizio Gialluisi, ex componente pugliese del Comitato Nazionale, Massimo Cumbo, arbitro e dirigente internazionale di calcio a 5): il bacino elettorale di Messina, che pur si batte per un segno di discontinuità col passato, questo sarebbe, almeno così racconta o prova a far passare chi si pone contro la candidatura. Che, comunque, non avrebbe il gradimento federale. E nemmeno quello dell’attuale governance (pronta ad appoggiare la soluzione Rocchi, dopo aver inteso che oltre alla Senesi anche il candidato Zaroli non avrebbe fatto strada e che la candidatura Pacifici avrebbe bisogno di troppi puntelli) il cui peso e la cui immagine però, sono in netto calo anche nella base che – divisa, disorientata, dispersa – aspetta un nuovo raggio di luce. La primavera è alle porte, come alle porte è un nuovo consiglio federale. Che arrivi qualche altra sorpresa…?

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