Attenti, non è che questi ci vogliono far firmare? Occhio, non è che qui vogliono fregarci tutti? State in campana, può essere che almeno qualcuno ai piani alti del “nostro palazzo” non sappia di quest’iniziativa? Quella vecchia volpe di Massimo Cellino che nel calcio c’è da trent’anni e che del palazzo conosce tutti gli anfratti, si domanda. E scrive ai colleghi di serie A, chiedendo aiuto: oggi a me ma se poi succede, domani tocca anche a voi. Li avverte: se passa, l’ordinamento sportivo e la nostra autonomia sarebbero carta straccia. “Si chiede di valutare l’opportunità di un intervento ad adiuvandum nel procedimento a tutela di tutti i club per evitare di incorrere in un procedimento pericolosissimo”. E ancora. “Sarebbe auspicabile che l’argomento, di assoluta criticità per la tenuta del sistema, venga seriamente approfondito dalle istituzioni sportive consentendo ai club che hanno militato in serie A negli ultimi cinque anni di avere una posizione univoca, a loro tutela”.
La lettera. Poche righe, alcune parole evidenziate in neretto (assoluta criticità per la tenuta del sistema, precedente pericolosissimo), tutte scritte in calce alla lettera inviata via pec il 13 ottobre dal Brescia alla casella di posta elettronica di Figc, Lega A, Lega B, Lega Pro e a tutte le società di A degli ultimi cinque anni. Sono solo parole ma suonano nel Palazzo del calcio come e più di un avvertimento. Risuonano assordanti, come e più di un campanello d’allarme. Evidenziano crepe, sottolineano un “vuoto”, mettono a nudo responsabilità. Chi ha scritto la lettera – è firmata dal presidente Massimo Cellino ma nei tratti si scorge plasticamente l’esperta e scafata penna normativa che ha ben compreso la portata della vicenda – mette in guardia le società di A e la Lega, le avverte di una forzatura che potrebbe tramutarsi in “piede di porco”. Quasi fa balenare il fine che potrebbe annidarsi dietro il ricorso presentato dagli avvocati di Fabio Grosso che, di suo, rivendica la semplice corresponsione del trattamento di fine rapporto. La questione invece è assai più seria. Perché il ricorso notificato qualche giorno fa (udienza il 17 novembre, sezione Lavoro Tribunale di Brescia) si configura come un intervento politicamente rilevante e che, giuridicamente e economicamente, potrebbe avere effetti dirompenti. Perché mette in discussione l’autonomia del diritto sportivo, mina le fondamenta di una legge (91/1981) elevata a rango di legge ordinaria, pone alle strette la Lega A che non ha firmato l’accordo collettivo col sindacato allenatori, mette spalle al muro anche la Figc che negli anni mai ha esercitato una funzione di controllo e indirizzo, aprirebbe la strada a una miriade di ricorsi dal valore economico assai rilevante: negli ultimi 5 anni in serie A oltre sessanta esoneri.
Il ricorso. Sulla panchina del Brescia l’ex campione del mondo c’è stato meno d’un mese, a novembre 2019 assunto e il 2 dicembre esonerato dal “mangia-allenatori” Cellino che ha superato in carriera la soglia dei quaranta tecnici divorati: tre partite, tre sconfitte, il licenziamento. Il club gli ha corrisposto tutte le mensilità stabilite dal contratto fino alla sua naturale scadenza: ad agosto 2020 Grosso avrebbe poi firmato con gli svizzeri del Sion. A distanza di tre anni, non proprio i tempi di un orologio svizzero, l’allenatore rivendica dal Brescia la corresponsione del tfr maturato. L’importo della cifra non è elevato eppure la richiesta è di portata straordinariamente rilevante. Se accolta, gli effetti sarebbero dirompenti, deflagranti, devastanti.
L’aspetto “politico”. Sembra un ricorso come tanti, eppure questo porta la firma di due avvocati “organici” al sistema calcio: Luca Perdomi e Alessandro Calcagno. Il primo è segretario generale Aiac: il sindacato allenatori è presieduto da Renzo Ulivieri, ha la sede nel centro tecnico federale di Coverciano e in consiglio federale fa accomodare Mario Beretta e Zoi Giatras. L’avvocato ligure, in passato vice-presidente Aiac, per più mandati ha ricoperto anche il ruolo di consigliere federale: per le norme vigenti non è però più eleggibile. Continua però a rivestire un ruolo determinante nel sindacato allenatori ma non solo. È stato infatti nominato da Gravina consigliere della Figc Servizi Srl (la cassaforte della Federazione), nel cda siede con Giancarlo Abete che ha preso il posto di Francesco Ghirelli e con Mauro Grimaldi. È uno dei due docenti di “carte federali” ai corsi-allenatori (l’altro è l’avvocato Pierluigi Vossi che ha preso il suo posto di vice-presidente per gli allenatori dilettanti Aiac). Alessandro Calcagno invece è il fratello di Umberto Calcagno che è il presidente dell’assocalciatori (Aic) e pure vice-presidente vicario della Federcalcio. Alessandro Calcagno, coi colleghi Luca Miranda, Alessio Piscini e Priscilla Palombi, cura l’ufficio legale di Aic oltre ad essere delegato assembleare di Aiac Liguria: ha infatti il patentino Uefa C dal 2018. Dunque, Fabio Grosso si è rivolto a due avvocati “organici” al sistema calcio che presentano però un ricorso chiaramente anti-sistema, che sposano un giudizio che mette a rischio d’implosione il sistema sportivo portandolo dinanzi ad un tribunale civile: il diritto sportivo e la sua autonomia, il suo impianto di leggi elevato (e sempre riconosciuto) al rango delle leggi ordinarie dello Stato, la sua riconosciuta, e finora indiscussa, prevalenza. Possibile? Perché? Le risposte magari si possono ricavare dall’esposizione della questione.
Il ricorso. Gli avvocati di Grosso chiedono al Brescia la corresponsione del trattamento di fine rapporto, invocando l’inderogabilità dell’articolo 2120 del codice civile. Allegano poi una sentenza della sezione Lavoro del tribunale di Verona – attori anni fa Chievo Verona e il preparatore Giovanni Brignardello – sostenendo due principi, “potenzialmente devastanti per il sistema” avverte l’esperto Cellino nella lettera ai presidenti di A, Lega e Figc. E cioè. Punto primo: la possibilità di adire l’autorità giudiziaria ordinaria in alternativa a quella sportiva, dunque dribblando la clausola compromissoria dell’arbitrato contenuta negli accordi collettivi e individuali di lavoro. Punto secondo: la nullità di tutte le clausole contenute negli accordi collettivi e nei contratti individuali di lavoro che regolano il tfr.
La questione. Per sintetizzare. La Lega serie A non ha firmato l’accordo di contratto collettivo con l’Aiac, né mai ha trovato un’intesa, sia pur negli ultimi mesi il presidente Casini ci abbia provato (leggi qui). È una questione che vede in via Rosellini a Milano fieri oppositori, primo tra tutti (e tanti) Claudio Lotito. Accordi collettivi sottoscritti da serie B e Lega Pro. È un vuoto che nemmeno la Figc di Gravina ha provato a far riempire. Dunque, al contratto di Fabio Grosso – come per tutti gli allenatori che hanno sottoscritto contratti con club di A negli ultimi cinque anni – non si può applicare il contenuto (né le clausole) degli accordi collettivi. Ancora: negli accordi individuali di lavoro relativo ad allenatori (e calciatori) è prevista anche la quota che i club versano per il destinato fondo di fine carriera. Nella lettera ai suoi colleghi presidenti, Cellino evidenzia come nell’accordo con Grosso fosse proprio espressamente incluso questo principio di omnicomprensività della retribuzione: oltre allo stipendio, ai premi e altro, anche una quota per il fondo fine carriera. Dunque già tutto versato, dunque Grosso cosa pretende? Inoltre: gli avvocati Calcagno e Perdomi invocano l’articolo 2120 del codice civile che disciplina la materia del tfr. È però previsto dal codice come “condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali”. Già da questo primo passaggio emerge come la richiesta degli avvocati di Grosso sia quantomeno temeraria se non provocatoria, se non insussistente. Però, perché l’avanzano? Però, perché Cellino si sente soprattutto in dovere di avvertire i suoi colleghi di serie A, di metterli in guardia?
Il principio. Tutto ruota intorno alla legge 91 del 1981, la legge che regola e disciplina la materia del lavoro sportivo. È una lex specialis, elevata al rango di legge ordinaria, è la legge che rende autonomo e prevalente il diritto sportivo anche nella disputa di questioni lavorative, un testo che prevede anche la sottoscrizione della clausola compromissoria da parte di tesserati e affiliati. In sostanza: il ricorso all’arbitrato per controversie tra le parti, anche individuali, legge che disciplina l’arbitrato rituale e irrituale. L’articolo 4 comma 5 inoltre stabilisce che “nel contratto individuale di lavoro dello sportivo professionista può essere apposta una clausola compromissoria con la quale le controversie riguardanti l’attuazione del contratto e insorte tra la società sportiva e lo sportivo siano deferite ad un collegio arbitrale”. E ancora. “Se l’accordo/contratto collettivo non disponesse nulla in merito, le parti potrebbero inserire nel contratto individuale una clausola compromissoria in virtù della legge n. 91/1981”. Vale solo per gli sportivi professionisti (giocatori, allenatori, preparatori) nell’ambito delle federazioni affiliate al Coni. Un margine ancora più marcato lo si ritrova nell’ambito della Figc. Il comma 1 dell’art. 4 della 91/81 sancisce che il contratto di lavoro individuale dello sportivo debba essere redatto “…secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla Federazione e dai rappresentanti delle categorie interessate”. Con “accordo stipulato” s’intendono nel calcio gli accordi collettivi che le associazioni di categoria (Aic e Aiac) sottoscrivono con le Leghe e che prevedono proprio l’arbitrato (non il giudice del Lavoro) come metodo di risoluzione delle controversie. “La soluzione di tutte le controversie aventi a oggetto l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione del contratto o delle altre scritture sono deferite al collegio arbitrale”. Quindi, nel caso specifico del Brescia: la serie A nel 2019 – ma tuttora è così – non aveva stipulato accordo collettivo con Aiac. L’accordo contrattuale firmato da Grosso e dal Brescia regolamentato dalle norme del lavoro individuale: nella retribuzione era (ed è, per i tecnici contrattualizzati in A degli ultimi 5 anni) presente la quota di “trattamento fine carriera” sia pur i club non siano vincolati all’accordo collettivo che del resto la A non ha fin qui riconosciuto e pare non voglia continuare a riconoscere.
Causa ed.. effetti. Dunque l’eventuale disputa Grosso è (sarebbe) – carte e giurisprudenza alla mano – da regolarsi all’interno del recinto sportivo. È sempre stato così. Portarla fuori, demandarne invece l’esito a un giudice del lavoro, minerebbe di fatto e pesantemente l’autonomia del diritto e dell’autorità sportiva. Una bomba a orologeria sulla legge 91, perché a cascata altri allenatori (altri calciatori, altri tesserati) potrebbero seguire la strada che gli avvocati Calcagno e Perdomi hanno scelto di seguire. Fanno parte del sistema (uno è segretario generale Aiac, l’altro è un legale dell’Aic nonchè fratello del presidente Aic) eppure sembrano minare alle fondamenta del sistema, del suo diritto sportivo, della sua autonomia. Perché? Bah, le risposte potrebbero essere diverse. Magari però quella vecchia volpe di Cellino e qualche avvocato che ha alle spalle anni e anni di consulenze con Figc e Lega, avranno avuto un velenoso sospetto: e se fosse un modo per spingere la serie A, per indurla a sottoscrivere finalmente l’accordo collettivo? Una domanda banale magari, come altre. Intanto Cellino fa sul serio, e l’ha messo per iscritto: “mi opporrò nel giudizio, sostenendo sia la validità della clausola compromissoria che trae legittimazione dalla legge 91/81 sia l’insussistenza del diritto che avanza Grosso di ricevere il tfr”. Ha scritto a Figc, Lega A e ai club di A degli ultimi cinque anni, chiedendo un intervento ad adiuvandum nel giudizio, “per evitare un precedente pericolosissimo”. Chiede alle istituzioni sportive di valutare la questione, che è “di assoluta criticità per la tenuta del sistema”. Cosa farà la Figc? Come si comporterà la Lega di serie A? Cosa decideranno i presidenti che dopodomani si riuniranno in assemblea?