Galliani, Iervolino e quei consigli del diavolo

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Nella variegata e variopinta rassegna stampa sportiva di oggi – sulla ribalta nazionale come quella locale quello che era sicuro ieri già non lo è più oggi ma nulla di cui stupirsi e da rimproverare, va da sempre così, il mercato è labile, fatto di voci, veleni e veline, nessuno può insegnare nulla, mica ci sarebbe da mettersi in cattedra o no? – c’è poco da segnalare. Strategie, obiettivi, trattative accompagnano come ogni giorno pensieri reconditi e motivi (qualcuno farsesco) filtrati: succede – non dappertutto – perchè ormai anche nel pallone la deriva ha cancellato l’obbligo e il dovere sacrosanto della notizia separata dal commento. Ognuno scrive e sostiene (verbo sostenere, dal dizionario dei sinonimi: sorreggere, puntellare, rinforzare, soccorrere, aiutare, favorire, difendere, appoggiare, patrocinare, perorare; dal dizionario dei contrari, invece: contrastare, combattere) ciò che gli pare, ciò che gli aggrada, ciò che gli conviene, ciò che gli viene sussurrato, persino ciò che gli può tornare utile. Una persona di mente sana e di sano giudizio rifugge da quest’ozioso e utilitaristico giochetto.

Un esempio. Sostenere che Adriano Galliani sia simpatico o no, che sia un dirigente vincente solo perché il portafoglio da cui attinge è senza fondo, che sia stato quel modo di fare calcio ad aver provocato poi buchi e disastri nel sistema pallonaro italiano, che sia uno che fa le pentole e pure i coperchi, che sia un diavolo sia pur negli ultimi mesi abbia preso a frequentare duomi e parrocchie: l’elenco potrebbe proseguire senza mai mettere il punto. Un punto però va messo, perché è una verità storica, acclarata dai fatti, dalle date e dai numeri: Adriano Galliani è il dirigente italiano in attività di più lungo corso e tra i più vincenti, del calcio ne conosce diavoli e… parrocchie. Ha oltre quarant’anni di calcio sulle spalle, lo stabile in via Rosellini dove ha sede la Lega serie A è praticamente casa sua (un modo di dire, eh), lì tanto per dire ci lavora ancora gente che ha messo lui quando l’amministrava (qualcuno poi è passato su poltrone importanti in Figc) e persino quando non l’amministrava. Lui che per anni è stato il deus ex machina dell’associazione che riunisce i club italiani di serie A. Il tempo passa per tutti, ma a volte per qualcuno mica tanto.

«Sono il giovane dirigente di una società neopromossa e sono qui per imparare»: si è ripresentato così il ragioniere Adriano Galliani nell’assemblea di Lega di ieri l’altro. Come il titolo di quel film di Luca Miniero, una commedia-satira con il bravissimo Massimo Popolizio che impersona il Duce tornato in Italia dopo cinquanta anni: “Sono tornato”.

“Siamo tornati”. È così che titola oggi “Il Corriere dello Sport”: è il titolo dell’intervista firmata dal direttore Ivan Zazzaroni ad Adriano Galliani. Il ricordo dei successi, «sono l’unico ad aver vinto serie C, B, A, Champions e Mondiale per club, il mio amico Florentino Perez no», Berlusconi, i fondi, la spaccatura Lega-Figc, gli obiettivi del Monza che persegue un’illuminante e saggia strategia, «faremo una squadra di giovani, ci servono tanti under e ci servono bravi», la questione dei diritti tv e qualche messaggio subliminale, tra cui ad esempio questo: «Ho ricevuto 165 messaggi dai procuratori, li ho segnati tutti con l’asterisco».

Da annotarselo, perché in fondo lui è il re delle antenne, con quelle del resto ha aiutato Silvio Berlusconi a costruirci un impero. Roba da drizzare le antenne, quando Galliani parla. E risponde. Ad esempio, a domanda senza interrogativo di Zazzaroni: “Mi hanno raccontato che in Lega ha subito battezzato il presidente della Salernitana, Iervolino”. «In che senso?» ribalta asciutto Galliani, quasi a favorirsi una domanda più specifica. Zazzaroni – è sì il direttore nella redazione di piazza “Dell’Indipendenza” a Roma ma gira il mondo e l’Italia, radio e tv, evidente che sa e sa pure come funziona: “Gli ha detto che nel calcio i soldi non s’investono: si spendono”. Risposta: «Ho ricordato che il calcio è un’azienda che non distribuisce dividendi ogni anno. Solo se si fanno le cose benone garantisce profitti, ma soltanto al momento della cessione». Così. Punto.

Che all’elenco dell’improvvida, impreparata e pittoresca corte di consiglieri, procuratori e scrivani se ne sia aggiunto un altro? Oppure è solo il consiglio del diavolo? O invece è solo il consiglio spassionato e “amichevole” di chi nel calcio c’è da quarant’anni e per giunta adesso ha preso a frequentare le chiese? Che si nasconde – «ho ricordato che il calcio è un’azienda che non distribuisce dividendi ogni anno. Solo se si fanno le cose benone garantisce profitti, ma solo al momento della cessione» – dentro e dietro questa frase?

Bah, ognuno potrà trovarci la risposta che vuole, del resto nelle vicende d’un pallone che rotola sostenere non costa nulla. Sarebbe gratis. Ma mica tanto…

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