Union Berlino, la passione è di ferro

Il calcio riparte dalla Bundesliga ma lo stadio più romantico della Germania resterà vuoto per la sfida Union Berlino-Bayern Monaco
Tabellone Union Berlino
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Lo stadio è in un bosco. Stadion An der Alten Försterei, letteralmente suona così: stadio vicino alla casa del guardaboschi. Davanti all’ingresso della tribuna c’è una stele di ferro, ha la forma di un caschetto rosso, sopra ci sono incisi 2.400 nomi. Sono i 2.400 tifosi che in 300 giorni l’hanno ricostruito tra il 2008 e il 2009 con le proprie mani nel tempo libero, stanchi delle promesse mai mantenute di finanziamenti comunali e quando cinque anni dopo i fondi arrivarono dissero: no grazie, noi abbiamo già fatto da soli, magari questi soldi serviranno solo per la copertura. Cazzuola e piccone, altro che ferie: senza un compenso, senza un baratto, senza nemmeno un biglietto per la gara d‘inaugurazione, un derby cittadino e dire che al mattino c’era ancora chi dava di vernice. Soltanto per amore e passione, 140.000 ore di lavoro e il vecchio stadio che si trasforma in un fiore colorato a due passi dalla foresta. Lo stadio ha una capienza di 22.012 posti ma soltanto 3.167 sono a sedere: “Gegen den modernen Fussball” – no al calcio moderno – qui è sostanza, mica soltanto uno slogan come quello che gridano ogni sabato i tifosi nella curva del Bayern Monaco. Il tabellone manuale è un cimelio stretto in una torretta di mattoni rossi tra la Gegengarade – la gradinata di cemento che sta di fronte alla tribuna – e la Waldeisete, la curva del bosco, quella riempita dai fans degli Eisernen, gli uomini di ferro. Dal lato opposto c’è pure il tabellone luminoso ma quello azionato a mano ha ancora i numeri di carta che fissano – a imperitura memoria – un risultato che è storia e sballo, rivincita e riscatto: 8-0. E’ lì da 14 anni e nessuno si sognerà mai di rimuoverlo. E’ li fisso dall’ottobre del 2006, dal giorno del derby vinto contro la Dynamo. Il giorno atteso da una vita.

Veduta stadio
Una veduta dello stadio dove gioca l’Union Berlino: nel cuore del bosco della Sadowa

E nel giorno di un altro sogno realizzato, questo però dopo 99 anni – lo stadio fu infatti inaugurato nel 1920 nel bosco della Sadowa – il 18 agosto 2019, il giorno della prima volta in Bundesliga, in curva sarebbero comparse più di mille fotografie. Una scenografia senza retorica e senza insulti. Una scenografia semplice. Una scenografia proprio bella. Solo i volti e i sorrisi dei compagni scomparsi, festeggiati e celebrati nonostante la prima violenta secchiata d’acqua, testimoni loro pure in quella curva della storica prima volta dei biancorossi nel massimo campionato della Repubblica federale di Germania: cosa vuoi che siano quattro gol presi dal Lipsia in un giorno così? Appena una carezza per i tifosi dell’Union che prima di ogni partita cantano a squarciagola “la vittoria negli occhi, gli occhi in avanti, avanti insieme per l’unione di ferro”. E’ una strofa del tostissimo inno composto e cantato da Nina Hagen, icona del punk rock, figlia di esuli. Anche lei cresciuta fin da bambina nello stadio accanto al bosco. Anche lei figlia di quella Berlino. Ora non più divisa tra Est e Ovest però la differenza resta, si vede. La coglie chi c’è stato, chi ci passa, chi ci andrà.

Coreografia
Berlino, 2 novembre 2019: la coreografia dei tifosi dell’Union Berlino nel giorno del primo storico derby di Bundesliga contro l’Herta (foto Maja Hitij/Bongarts/Getty Images)

Lì nel quartiere Kopernick, distretto con duecentomila abitanti, all’estremità Est di una città sterminata, la profonda periferia di una metropoli bella e struggente. Così nostalgica e vera lì dove scorre il fiume Dahme che sfocia nella Sprea, lì dove il calcio è davvero dei tifosi: 4.141 sono comproprietari dello Stadion (unico caso in Germania), 32.374 hanno diritto di voto nell’assemblea degli azionisti dell’Union e l’ultimo bilancio di esercizio è stato chiuso con un utile di 300mila euro. Un condominio di anime e storie che ha l’epicentro nel bosco, lì dove c’è lo Stadion, lì dove gioca l’Union Berlino. Lì dove i giocatori arrivano ancora in bici, lì dove – era il 2014 – furono sistemati sul prato un maxischermo e 700 divani, come in un gigantesco salotto per godersi tutti assieme le partite al coro di Deutschland über alles.

Tifoso in alto 1
Il capo tifoso dell’Union Fabian Voss salutato dai giocatori e da tutto lo staff tecnico dell’Union Berlino nel giorno del suo addio da lancia-cori nella curva Waldeisete

Lì sul prato dove il 23 novembre del 2019 Fabian Voss è stato sollevato e portato in trionfo dai giocatori e dall’allenatore, manco fosse lui la bandiera e invece un simbolo resterà comunque: tutto lo stadio ad applaudirlo, a piangere per lui, a salutarlo. Persino gli avversari, quelli del Borussia Mönchengladbach nella curva di fronte, a dedicargli uno striscione: “Onore a te Fabian, sei stato grande”. Tredici anni di onorato servizio, dall’Oberliga alla Bundesliga, dalla quarta serie al match contro l’allora capolista, e la decisione di passare ad altri quel megafono. Tredici anni da lancia-cori di una curva che è tutta un blocco, non c’è un colore politico e non ci sono sigle differenti di ultras, non c’è un elenco di cori fissato perchè tutto va come viene. Conta solo l’Union Berlino e un codice che va letto e sottoscritto altrimenti niente da fare, si resta fuori. Un codice in appena due punti: neppure un fischio durante la partita e non si esce mai prima del novantesimo. Tredici anni da bandiera di un club che in 114 anni di storia tante ne ha viste, tante ne ha passate. Fusioni e scissioni, rifondazioni e ridenominazioni, eppure un’identità mai smarrita. Anzi sempre più forte, sia pur senza chissà quali successi da tramandare di padre in figlio: in bacheca da tempo immemore ci sono appena una Dritte Liga e una Coppa della Germania dell’Est. E’ una fede, appunto. E’ un fascino che fu più forte delle pressioni della Stasi, la famigerata divisione di polizia segreta della Ddr e sentimento mai vinto dai dieci scudetti di fila della Dynamo Berlino il cui presidente era Erich Mielke, guarda un po’ il numero uno della Stasi.

“Non ogni tifoso dell’Union era nemico dello Stato, ogni nemico dello Stato era tifoso dell’Union”: così c’è scritto in un articolo della rivista Eulenspriegel che ricorda quegli anni tremendi. Gli anni della dissidenza, gli anni contro l’establishment politico-militare. Un giuramento di amore eterno più forte delle fughe all’Ovest, perché scavalcarono quel muro che divideva in due Berlino pure giocatori e allenatori, presi dal desiderio di libertà più che dai soldi mentre altri – come il tecnico Nippert – furono presi a pedate perché sospettati di collaborazionismo con la Stasi. Fede e passione rinvigorite e rinforzate da torti e ingiustizie. Quante. Nel 1968 l’Union vinse la Fdgb Pokal – la Coppa della Repubblica Democratica Tedesca – superando il Carl Zeiss Jena, campione della Germania Orientale – eppure non partecipò alla Coppa delle Coppe perché lo Stato decise il ritiro dalle competizioni internazionali dopo il braccio di ferro con l’Uefa: erano i giorni della restaurazione che soffocava il soffio d’aria della “Primavera di Praga”. Per due anni consecutivi nella Germania ormai riunita – il ‘93 e il ’94 – conquistò la vittoria in terza serie eppure entrambe le promozioni vennero cancellate dalla Federazione: la prima volta per una presunta fideiussione bancaria fasulla, la seconda volta niente licenza per un controverso ma vistoso rosso in bilancio. Più forte delle difficoltà finanziarie, e quando si dice una storia di sangue e sofferenza sembra proprio si tratti dell’Union. Nel ’97 una marcia di cinquemila tifosi fin sotto la porta di Brandeburgo scongiurò il fallimento della società salvata da un contratto di sponsorizzazione della Nike. L’anno dopo fu il tempo dello slogan “fünf Marken für Union“, cinque marchi per l’Union: tifosi e residenti del distretto infilarono in un gigantesco salvadanaio cinque marchi e tutti rinunciarono anche alle trasferte destinando così altro denaro alla causa della società. Sempre in bilico, sempre sull’orlo del baratro. Senza mai finirci dentro semplicemente perchè mai abbandonata dalla sua gente.

Perchè l’Union è di ferro. Roba da darci il sangue. Davvero. La sottoscrizione di 1,4 milioni di euro lanciata nel 2004 per l’iscrizione al campionato si completò grazie ad una straordinaria campagna di civiltà: migliaia e migliaia di tifosi dell’Union donarono sangue in ospedale, e ogni donazione fu ricompensata in media con trenta euro perchè in Germania funzionava, e funziona, ancora così. Unione di ferro, Eisern Union, non è solo il nomignolo del club. E’ un patto di ferro tra società e tifosi, è un legame indissolubile cementato dal sacrificio e dal senso di appartenenza in una città, la capitale riunificata della Germania riunificata, che non è mai stata la capitale del calcio tedesco. Non c’è il Bayern, non c’è il Dortmund, non c’è il Borussia. L’Herta è la rivale, e proprio nello stadio dell’Herta l’Union Berlino sfiorò il suo successo più significativo. Allenata dal bulgaro Georgi Vasilev denominato Der General, conquistò nel 2001 la finale di Coppa di Germania dopo aver eliminato Bochum e Borussia: giocava in terza serie e all’Olympiastadion davanti a settantamila spettatori perse 2-0 contro lo Schalke ‘04 di Bohme e Andreas Möller. Conquistò però il diritto di partecipare alla Coppa Uefa dell’anno dopo uscendo al secondo turno, sconfitta dai bulgari del Litex Lovech. Dalla terza serie direttamente in Coppa Uefa: un salto così non si sarebbe più visto in Germania.

Natale allo stadio
Natale allo stadio per i tifosi dell’Union Berlino: qui la festa del 23 dicembre 2019

Come non s’era mai visto che un gruppo di tifosi si ritrovasse alla vigilia del Natale in uno stadio a intonare cori natalizi e di calcio, a bere vin brulè e mangiare dolci, a scambiarsi auguri e regali. La prima volta nel 2003 quando 89 tifosi dell’Union entrarono di soppiatto nello “Stadion An der Alten Försterei”: l’idea venne ad un tifoso dopo la sconfitta casalinga. No, non si poteva chiudere l’anno senza un sorriso. Lo scorso 23 dicembre – perché il  Weihnachtssingen si tiene ogni 23 di dicembre – in ventinovemila (in 22mila sulle tribune e gli altri sul prato) hanno riempito lo stadio lasciando anche un obolo da dividere tra un sostegno agli immigrati nel quartiere e una raccolta fondi per le cure di un ex giocatore malato di cancro: uno spettacolo nello spettacolo, un evento ormai cult per la capitale diventato anche un fenomeno di imitazione. Ci hanno provato a Colonia e Dortmund senza però raggiungere l’atmosfera dell’originale. Che Natale.

Un Natale diverso quello del 2019, il primo Natale in 114 anni di storia in Bundesliga per l’Union e per i tifosi dell’Union. Un anno fa arrivò la storica promozione, conquistata nello spareggio contro lo Stoccarda, la terza della 2 Bundesliga contro la terz’ultima della Bundesliga. La squadra dei carpentieri e manovali contro la società nella quale la Mercedes investe 50 milioni di euro l’anno: un doppio pareggio e la festa casalinga grazie ai due gol segnati in trasferta. A guidarla lo svizzero Urs Fisher; in attacco Andersson, centravanti svedese preso a parametro zero dal Kaiserslautern e tra i pali Gikiewicz, un polacco capace di segnare al 94’ in giravolta una rete pesantissima contro l’Heidenheim nemmeno fosse Rampulla e adesso pezzo pregiato del mercato. Una campagna acquisti senza squilli – l’investimento più danaroso l’ingaggio dell’attaccante Ujah per 2 milioni di euro, nella squadra giocano il fratello di Toni Kroos e il veterano Subotic – dando sempre un occhio al bilancio: in Germania vige la regola del 50%+1, un singolo azionista cioè non può detenere più della metà delle azioni di un club, e del resto i 32mila soci dell’Union con diritto di voto in assemblea sono sentinelle difficili da eludere. Indimenticabile l’esordio nonostante lo 0-4 dal Lipsia in uno stadio vestito a festa, come indimenticabile il primo punto conquistato la settimana seguente contro l’Augsburg. E quando al minuto 75 di Union Berlino-Borussia Dortmund, terza gara della stagione, Sebastian Andersson ha insaccato la palla del 3-1 regalando ai berlinesi la prima storica vittoria nella massima serie tedesca, il mondo calcistico è diventato un luogo leggermente migliore, almeno dal sapore d’altri tempi, capace di trasmettere e restituire tutto quel senso di passione, unicità e appartenenza ad un club che nasce e vive semplicemente per il pallone.

Tifosi Union Berlino
La coreografia dei tifosi dell’Union Berlino nel giorno di esordio in Bundesliga: in curva le foto di tutti i tifosi scomparsi (foto di Adam Berry/Bongarts/Getty Images)

Un calcio ormai perduto, lontano dai palcoscenici di plastica dell’Uefa, dagli sponsor onnipresenti, dal business che ha sempre la meglio sul gioco, sui giocatori, sul tifoso. Il calcio di adesso, che se ne frega delle paure e dei morti, che cerca acrobaticamente di saltare un virus che ha paralizzato il Mondo inventandosi protocolli e piani di riserva pur di portare a casa il risultato. Un gioco in maschera e non è mica una metafora, queste che decidono e impongono sono maschere di cera: in ballo ci sono quasi due miliardi di euro, perché è questa la stima del calcio europeo costretto a fare i conti con gli sponsor e i proventi televisivi. Sì perché il loro calcio è quello che si vede in tv, non quello giocato tra la gente che allo stadio ci va per tifare e palpitare. Come quelli dell’Union che lo stadio nel cuore del bosco a Berlino se lo son ricostruito con le mani, col sangue e l’orgoglio. E di orgoglio, amore e passione lo riempiono ogni settimana. Bisogna tornare a giocare, e chi se ne frega se gli stadi saranno vuoti: così hanno deciso i capi dell’Uefa e delle principali federazioni europee, chi se ne importa se i tifosi, in Germania e in Italia, in Inghilterra e in Spagna, protestano e dicono no, “noi così non ci stiamo”. «La vera gioia tornerà solo quando potrò tornare a giocare guardando negli occhi i tifosi, solo quando i miei occhi torneranno a vederli in uno stadio. Non mi piace quello che è stato deciso ma capisco che è una situazione difficile per tutti. In questo momento ha prevalso l’aspetto finanziario ma a me interessa soltanto la felicità dei tifosi», ha detto il 32enne Neven Subotic, difensore dell’Union Berlino.

E sì perché il calcio tedesco, il primo tra i top europei, sarà il primo a ripartire in questo fine settimana. E oggi e domani tutto il mondo sarà incollato alla tv. Un’esclusiva mondiale che riempie d’orgoglio una nazione, almeno quelli che ne governano Stato e pallone. Vale per tutti la dichiarazione di Karl Heinz Rummenigge rilasciata a SportBild: «Avremo un miliardo di telespettatori, non sarà pubblicità solo per il nostro calcio ma per tutta la nazione, per la nostra politica che ha permesso il contenimento della pandemia. Il made in Germany tornerà grazie al calcio a essere un marchio di qualità mondiale». Certo, anche i conti del calcio tedesco sono da primi della classe. Senza paragoni: fatturato di 3,3 miliardi di euro, gli stipendi sono coperti dal 51% dei ricavi, con 700 milioni di debiti netti è il campionato meno in rosso d’Europa, appena un quarto dei debiti netti del calcio italiano che ammontano a 2,5 miliardi di euro. La perdita stimata per la mancanza di spettatori è di 91 milioni di euro ma quella calcolata per la chiusura definitiva della stagione è di 770 milioni di euro. Ma il dato più significativo e romantico della Bundesliga oltre al fatto che si segni in media 3 gol a partita, è un altro. E’ la media spettatori: 42.738 a partita, la più alta media spettatori nel calcio mondiale, la più alta media spettatori per sport di squadra nel mondo. Perché in Germania le partite si vedono allo stadio. E invece da questa settimana gli stadi saranno desolatamente vuoti e sembra un paradosso, proprio la Bundesliga farà da pilota al calcio degli egoisti e dei prepotenti. Uno spettacolo senza attori, così come una recita a soggetto continua a interpretarla dall’Inghilterra Mourinho che ai colleghi di Premier che non ne vogliono sapere di tornare, ha provocatoriamente urlato: “Allora guardatevi dal divano i tedeschi”. Eppure i tedeschi tutta questa voglia non ce l’hanno. Non il 60% di staff e giocatori. Verstaete, un giocatore del Colonia ha detto: «Se i giocatori potessero votare in forma anonima non parleremmo di ripartenza». Non il 56% di cittadini che l’opinione l’hanno data con un sondaggio anonimo dicendo “Riaprite le frontiere per andare a mare e chiudete gli stadi”, non la quasi totalità dei tifosi che apertamente hanno protestato contro la decisione. Per tutti il calcio dentro stadi vuoti non è calcio. E’ una farsa.

Gol Union
Esultanza dei giocatori dell’Union dopo un gol in Bundesliga 2019/2020

Eppure si torna a giocare. Tranne che dar calci al pallone, sarà vietato di tutto in uno stadio tedesco rigorosamente a porte chiuse e in quello del Borussia Moenchengladbach hanno finito di installare le foto di seimila tifosi sui sediolini delle tribune: ne hanno vendute 13.500 e ogni tifoso pur di esserci almeno virtualmente ha sganciato 19 euro. Saranno 321 le persone ammesse tra campo (97), spalti (115) e fuori l’impianto (109). Polizia e agenti speciali eviteranno assembramenti. Si temono proteste ma la situazione è sotto controllo. In Germania funziona così: quando si prende una decisione quella è. E quasi tutti si adeguano. Squadre in ritiri blindati ma c’è già chi ha abbandonato. Herrlich dell’Augsburg s’è auto-sospeso eppure doveva essere il giorno del suo debutto: ha violato le regole uscendo dall’albergo per comprare un dentifricio. E in panchina domani non ci andrà nemmeno Urs Fisher, sì proprio lui, l’allenatore dell’Union Berlino: se ne è andato per motivi personali però pare che a giocare senza tifosi lui proprio non volesse. Poi in extremis ha dato notizie. Se n’è andato in Svizzera per un lutto, tornerà ma prima dovrà osservare altri quindici giorni d’isolamento: il presidente dell’Union l’ha già perdonato. I suoi giocatori, prima della quarantena forzata in ritiro (in Italia cresce la protesta di club e giocatori), hanno rinunciato a due mensilità (marzo e aprile) senza farsi nemmeno un briciolo di pubblicità: volevano garantire lo stipendio agli altri dipendenti del club. Cose soltanto da Union, così come sono stati gli unici calciatori della Bundesliga a richiedere il kurzarbeit, una sorta di cassa integrazione, pari al 60% dello stipendio netto. L’Union è undicesimo in classifica, ha 8 punti sulla terz’ultima e viaggia verso la prima storica salvezza. L’ultima partita l’ha giocata il 7 marzo perdendo 3-1 a Friburgo. L’ultima casalinga l’ha invece disputata l’1 marzo, 76 giorni fa: quel giorno finì con un pirotecnico 2-2 contro il Wolfsburg, il club nel quale l’azionista principale è la Volkswagen. Anche quel giorno c’erano 22.012 spettatori festanti che urlavano “la vittoria negli occhi, gli occhi in avanti, avanti insieme per l’unione di ferro, noi e voi siamo gli uomini di ferro”. Quel coro di orgoglio e identità che avrebbero voluto urlare alla capolista Bayern Monaco che domani per la prima volta metterà piede nello stadio, la “Vecchia Foresteria”, quello vicino alla casa del guardaboschi. Il club dei 300 milioni di soli ricavi commerciali e della mastodontica Allianz Arena che per la prima volta assaporerà il fascino di storia e sacrifici, di sangue e sudore, che emana lo Stadion An der Alten Försterei, quello ricostruito con le mani di 2.400 tifosi operai. Lo stadio dove finisce la gente e comincia un pallone. Lo stadio che si trova nel cuore del bosco della Sadowa. La squadra più povera contro la squadra più ricca: una sfida così avrebbe meritato uno stadio pieno. E invece vedere i gradoni di pietra della Waldeisete e della Gegengerade desolatamente vuoti regalerà una fitta nel cuore. Però è bello sognare, però è bello pensare che il calcio conservi ancora un suo lato romantico. E allora lì domani – 17 maggio 2020, inizio ore 18 – in un vuoto spettrale batteranno i cuori di tutti quelli che ripudiano il calcio moderno. Gegen den modernen Fussball: adesso vale più di prima.

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