L’Italia s’è candidata per ospitare l’Europeo 2032. «Sarebbe una grande opportunità per il Paese, aumenterebbe la credibilità dell’Italia a livello internazionale», frequentemente ripete Gabriele Gravina. «L’Europeo è un’opportunità straordinaria per l’ammodernamento infrastrutturale del Paese, non solo sul lato calcistico. Il calcio è una tra le prime dieci industrie del Paese, merita più attenzione e rispetto», ripete frequentemente Lorenzo Casini: si fanno la guerra ma almeno su questo vanno in sintonia. Il presidente federale in questi giorni ha assistito in silenzio al balletto di parole, date e orari per Napoli-Salernitana che giocano nel principale campionato della sua federazione, nel campionato vetrina del calcio tricolore. Il secondo invece, a tre giorni dalla sfida, quando tutto era già compiuto pur senza il timbro burocratico dell’ufficialità, s’era sbottonato le braghe. «Siamo in contatto con l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive del Ministero dell’Interno, se ci saranno motivi di ordine pubblico per spostare la partita, la Lega si adeguerà. Ma deve essere questa l’unica condizione».
Come dire: fate voi, basta che alla decisione ci appiccicate ‘sta cosa dell’ordine pubblico e della sicurezza. Così, tanto per mettersi al riparo soprattutto dagli strali della piattaforma televisiva che ha investito 920 milioni di euro (una bella fetta sono di Tim tra i cui azionisti c’è pure “Cassa Depositi e Prestiti”, dunque anche se un po’ semplicisticamente, anche coi soldi degli italiani, tifosi e non) e che s’è trovata col buco profondo in palinsesto. Un istante dopo la frase del presidente della Lega serie A – quella che chiede rispetto, risorse e attenzione – è rotolato via pure l’ultimo argine alla figuraccia. Planetaria. In tutto il mondo i media non sapevano quando si sarebbe giocata la partita del (possibile) scudetto del calcio italiano, soprattutto non sapevano spiegarsi il perché.
Figc assente e silente (da tempo Gravina pare accettare di buon grado qualsiasi diktat-paturnia di De Laurentiis), la Lega A che se ne lava le mani rimettendo la decisione alle istituzioni e alle autorità di pubblica sicurezza. Non sarebbe una commedia – una commedia tutta all’italiana – se tutti gli attori non avessero recitato bene la parte sul copione. E così ecco il prefetto di Napoli Palomba annunciare urbi et orbi il provvedimento per «necessità pubblica». Proprio così, necessità pubblica. Dunque non un provvedimento calibrato, studiato sulla base di un allarme sicurezza. Soltanto e piuttosto una motivazione camuffata, confinata, come il recinto chiesto dal sindaco Manfredi per tenere e contenere dentro “l’isola che non c’è” la gioia e la felicità di un popolo per lo scudetto del suo Napoli. Un recinto dentro il quale è stato assicurato il potenziamento delle misure di ordine pubblico.
Qualche giorno fa a Napoli la linea metro principale si è fermata per un’ora (non accade solo a Napoli) per un guasto e i mezzi su gomma hanno sopportato un accumulo di passeggeri. Un caos. Ecco, ma alle questioni di sicurezza e di ordine pubblico non dovrebbero lavorare le istituzioni e le autorità? Non tocca a loro occuparsi di queste problematiche e non impicciarsi e imprigionarsi e immolarsi su data e ora di una partita, partita (come le altre) tra club affiliati alla Figc, club azionisti di un’associazione privata qual è la Lega serie A?
Dovrebbe toccare ai vertici di Figc e Lega assumere decisioni, assumersi responsabilità. Dovrebbero essere loro a muoversi nel perimetro calcistico tenendo fuori tutti, compresi i presidenti che a volte parlano troppo, e a volte in silenzio parlano il triplo. Dovrebbe toccare a loro dar credibilità al campionato, assicurandone la regolarità che significa innanzitutto certezza e condizioni eguali per tutti i club. Non invece costruire sempre eccezioni (perché questa mica è la prima) ma ne sono totalmente e miseramente incapaci, come mostra di esserlo un intero Paese – dunque non solo Napoli nello specifico – se ad esempio il consolato Usa è costretto a emettere una nota per avvertire i connazionali del “potenziale pericolo” di ritrovarsi nel bel mezzo di una festa scudetto. Una festa scudetto.
Già, ci sarà la festa scudetto? Dipenderà dalla Lazio, dipenderà dall’Inter. E poi magari dipenderà dalla Salernitana e dal Napoli. Però. Indipendentemente dalle questioni campanilistiche – senza ritornare ancora una volta sulle accuse, i sospetti e i veleni che hanno caratterizzato questa lunga vigilia, senza voler prendere la parte dell’uno o dell’altro – bisogna fissare qualche punto. Punto uno: questa decisione ha completamente ammazzato una giornata di calcio che poteva essere vibrante, ne ha azzerato il pathos, ha preso a cazzotti la passione dei tifosi, ha anestetizzato emozioni, attese, palpitazioni. Come fosse una squallida differita. Perché se proprio fosse stato giusto e corretto (ma si fatica a comprendere) spostare la partita dal sabato alla domenica (spostando tra l’altro tante altre partite di tanti altri campionati non calcistici) perché non far disputare Napoli-Salernitana nello stesso orario di Inter-Lazio?
Già aver cambiato data – a due giorni dalla gara – ha creato un precedente pericoloso, ma almeno assicurare la contemporaneità delle due gare avrebbe regalato emozioni e imprevedibilità alla giornata, lasciando intatti i crismi della regolarità delle due partite. Ovvio che Napoli-Salernitana sarà inevitabilmente condizionata dal risultato del Meazza che arriverà trequarti d’ora prima del fischio d’inizio. E invece no, via libera all’orario sfalsato. E così si arriva al punto due: Napoli-Salernitana si gioca dopo Inter-Lazio perché così ha voluto – anzi preteso – chi ha pagato per assicurarsi i diritti tv. Perché nel calcio italiano comandano loro, le piattaforme televisive, le detentrici dei diritti tv e a questo punto dei diritti calcistici. Tutto il resto è finzione. Tutti gli altri devono accodarsi: i club, i vertici di Figc e Lega, le istituzioni. E qui si arriva al punto tre: Napoli-Salernitana si gioca di domenica e non di sabato perché così in fondo voleva Aurelio De Laurentiis. È appena tornato da Los Angeles, s’è tenuto lontano (fisicamente) dall’agone nascondendosi con le dichiarazioni ma in fondo l’incessante e impetuoso pressing ha dato i frutti sperati. Perché sporcarsi le mani, perché sprecare la voce? Si gioca di domenica, si gioca dopo la Lazio. E così se Sarri fa la (dis)grazia, si festeggia prima ancora di cominciare. E magari così si completa al meglio la docuserie tv che attende l’ultimo atto e la festa scudetto nello stadio Maradona e negli spogliatoi darebbe valore aggiunto alla produzione.
Ecco, ma perché non dirlo dall’inizio, perché non manifestare questo desiderio senza trincerarsi dietro inesistenti motivazioni, senza aggrapparsi alle istituzioni? “Il Napoli deve vincere lo scudetto giocando nel suo stadio”. Si sarebbe almeno fatto a meno di questa tragicomica commedia all’italiana. Quella nella quale il presidente della Figc resta in silenzio e il presidente della Lega A si cala le braghe. Quella in cui i sindaci giocano a fare i presidenti, i presidenti si vestono da prefetti e i prefetti scendono in piazza per fare i vigili urbani.