Cerca
Close this search box.

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis

L’immagine che apre l’articolo è ferma su un fotogramma. È il minuto 82 di Napoli-Salernitana. Dopo aver stritolato la serie A, la capolista ha ora legittimamente il fiato un po’ corto e il passo meno arrembante però è davanti 1-0 sulla quattordicesima e conta i minuti: sono 8 più recupero che la separano dal terzo meritato scudetto della sua storia. Conta i minuti in un Maradona festante mentre fuori dallo stadio migliaia e migliaia di tifosi seguono con gli occhi e l’orecchio le ultime fasi del derby e mezzo miliardo di spettatori collegato da 200 Paesi si gode davanti alla tv la partita che sta per chiudere definitivamente i conti nel campionato italiano. Nell’immagine si scorge sorridente il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Il volto è rivolto verso destra così come verso destra guardano altri ospiti della tribuna vip: chissà, magari stanno guardando in favore d’una telecamera aggiuntiva, una di quelle che stanno ultimando la (segretissima) docuserie sullo scudetto del Napoli.

Sulla sinistra del produttore cinematografico si scorge un signore, dall’immagine pare armeggi col telefonino. Legge o forse digita lettere, compone o decritta parole, manda o riceve messaggi; lui però sta guardando altrove, è momentaneamente preso o distratto da altro. Si chiama Claudio Palomba, è il prefetto di Napoli: mancano 8 minuti più recupero e forse sta definendo gli ultimi dettagli del piano festeggiamenti, sta impartendo ordini o ricevendo un report sulla situazione. Il giorno prima della partita ha detto: «L’isola dei tifosi è pronta, sarà il trionfo della civiltà, il mondo ci guarda. Non c’è un piano. Ci sono più piani. E sono tutti dinamici, elastici, inesorabilmente intrecciati con il verdetto sul campo, quello di San Siro e quello del Maradona. Aspettiamo lo scudetto da 33 anni, vogliamo che sia una festa e che le regole siano rispettate». Due ore e mezza prima l’Inter ha battuto la Lazio, due ore e mezza dopo il Napoli sta battendo la Salernitana, mancano 8 minuti più recupero, tutto lascia pensare che sarà il piano A quello a prendere piede: il Napoli vince lo scudetto e lo festeggia nel suo stadio, davanti alla sua gente.

Quella che sta tifando dentro il Maradona, quella che sta trepidando fuori. A Fuorigrotta, Mergellina, Posillipo, largo Maradona, nei quartieri spagnoli. È ovunque, è arrivata da ogni parte d’Italia e forse del mondo. Convocata per una giornata speciale, definita da un tavolo istituzionale per “necessità pubblica”, stabilita a tavolino nel senso che è stata programmata attraverso piani, riunioni, incontri (leggi qui). A metterci la faccia e invocarla sono state le istituzioni statali e cittadine, le autorità di sicurezza, non quelle pilatesche che sbriciolano – ogni giorno che passa – il calcio italiano: la partita in extremis spostata di un giorno, nemmeno in contemporanea con l’altra il cui esito s’intreccia al destino tricolore. Una regia precisa – ma tanti indizi portano a pensare che ci sia stata una mano occulta a ispirare e che sulla regia ci sia l’ombra cinematografica – inconsapevole che il fato e la magia del calcio risiedono nella sua straordinaria imprevedibilità. Una festa come fosse un piano traffico, come se felicità, gioia, emozioni dovessero – e potessero – essere veicolate, confinate, programmate. Uno schiaffo imposto e immeritato, rifilato ai tifosi del Napoli e a Napoli, come fossero ritenuti incapaci di vivere una giornata di festa spontanea, come se su di loro si riservassero psicosi e paure. È uno schiaffo all’avversario di turno, in questo caso la Salernitana, come fosse un pacco postale o un dono da scartocciare senza nemmeno guardarlo. È uno schiaffo al campionato e al calcio. È una giornata di festa deturpata, scippata della sua bellezza.

È una giornata che si ribella al destino programmato da altri che magari di calcio masticano zero, che si fa beffe dei piani flessibili e delle tabelle scudetto: una giornata così non l’hanno però voluta i tifosi né gli spettatori allo stadio e nemmeno quelli davanti alla tv. La giornata allora prende un’altra strada, quella che vuole. La giornata viene diabolicamente ribaltata dal sinistro di un ex elettricista che di cognome fa Dia.

Perché qualche secondo dopo quel fotogramma che apre l’articolo – De Laurentiis che sorride, il prefetto che messaggia – arriva il gol del pareggio della Salernitana che lì, al Maradona, sta intanto facendo la partita che doveva fare. Una partita seria. Non s’è calata le braghe ma nemmeno s’è fatta accendere dal sacro fuoco. Gioca a testa alta, da avversaria e non da invitata. Senza tappetino rosso ma senza nemmeno la ramazza.

Come un macigno che avvolge uno stadio e una città incredula, come una pietra tombale che rotola sul piano-festa, quel gol fa cambiare radicalmente tutta la scena. Persino nella tribuna vip. Il Napoli non vince, De Laurentiis lascia presto lo stadio: niente da fare, la cena vip per 350 invitati che doveva tenersi in serata nella nuova e sciccosa area lounge del Maradona, salta. Salta dal seggiolino dello stadio anche il prefetto Palomba: è cambiato il piano, non c’è più quello per la festa, tocca a un altro. Per strada e nelle strade si riverseranno subito migliaia e migliaia di tifosi. Delusi, stanchi e forse qualcuno si sente pure preso in giro: del resto sono stati invitati alla festa ma poi festa non è stata. Vogliono solo tornare a casa. Per strada ci sono anche centinaia e centinaia di agenti, sono stati chiamati al lavoro straordinario domenicale e invece tutto inutile, compreso lo straordinario che pure va messo nel conto…

Invece è saltato il piano A di De Laurentiis ed è saltato il piano A del prefetto: una regia impietosa l’immortala e li unisce, l’uno accanto all’altro dalla tribuna come proiettati altrove, verso un’altra dimensione. Tutto in un attimo. Coautori di una giornata calcistica programmata, inconsapevoli però che il copione calcistico lo scrive il campo: si può programmare una festa ma non un risultato di calcio. A chi ha voluto e a chi ha deciso di fissare la partita in un altro giorno e in un altro orario, magari i tifosi del Napoli e il Napoli potrebbero persino chiedere risarcimento: perché non sono mica stati i tifosi del Napoli a chiedere lo spostamento da sabato a domenica, perché non stati mica loro a fissarla non in contemporanea con quella della Lazio, a questo ci ha pensato chi ha i diritti tv. Per giunta, e non è mica un dettaglio, non l’hanno mica chiesto Spalletti e i suoi calciatori. Sulle cui spalle, sul campo, è apparso tutto il peso fisico e il fardello psicologico: loro dovevano vincere, a loro spettava far sì che quel piano, programmato da altri, potesse verificarsi.

Non c’è controprova ma libero da pesi, fardello e pressione, il Napoli se avesse giocato di sabato probabilmente l’avrebbe vinta la sfida contro la Salernitana. E chissà, forse l’avrebbe vinta pure se avesse giocato in contemporanea con la Lazio: magari le difficoltà nel superare una seria e tignosa Salernitana (ancor più motivata e a ragione, perché considerata come un pacco postale) sarebbero state superate dalla crescente spinta emotiva mentre l’Inter intanto rimontava la Lazio. Chissà, magari così ci sarebbe stato lo scudetto e ci sarebbe stata pure la festa: la festa attesa da 33 anni come nelle parole del prefetto Palomba, il primo scudetto di De Laurentiis al diciottesimo anno da presidente (Ferlaino il primo scudetto lo conquistò dopo 18 anni), la prima volta che una squadra vince lo scudetto con tante giornate d’anticipo.

La festa per un meritato traguardo. Però una festa spontanea, la festa del calcio e della passione. Se si fosse giocato di sabato magari la festa sarebbe stata rimandata a domenica dopo pranzo, dopo la gara a San Siro; se si fosse giocato a mezzogiorno di domenica, la festa si sarebbe tenuta invece di sedersi a pranzo e magari sarebbe saltata pure la cena. Festa e sbornia fino a notte, fino al mattino. E invece niente: niente vittoria, niente scudetto, niente festa.

Come se il destino avesse voluto farsi beffe di chi quella festa calcistica l’aveva chiesta e di chi l’aveva programmata, recintata, confinata, motivandola per “necessità pubblica”, giustificandola perché nel fine settimana Napoli era strapiena di turisti e rassegne, spinto da pressioni potenti pur se silenti. Turisti e rassegne c’erano già sabato: senza la possibilità di festeggiare il matematico scudetto, sabato a Napoli sarebbero andate quelle migliaia e migliaia di tifosi sprovviste di biglietto? Che cosa avrebbero potuto festeggiare sabato? E poi sicuri che tutte queste migliaia e migliaia di tifosi senza biglietto giunte da ogni dove si sarebbero riversate come un fiume di domenica, a ora di pranzo, in una città dove non c’era la partita?

Migliaia e migliaia di tifosi. Ad esempio quelli che, 10’ dopo il triplice fischio dell’arbitro Mercenaro, mentre De Laurentiis lasciava il Maradona e il prefetto Palomba insieme al questore si dedicava al piano alternativo, sono già davanti all’ingresso della metro o della stazione dei Campi Flegrei. Trovano le porte chiuse, presidiate dalle forze dell’ordine. “Non si può entrare, dovete aspettare. Non sappiamo quanto”. E così, mentre la fila s’ingrossa – ci sono bambini stanchi sulle spalle dei papà, ci sono signore e anziani, e sono tutti stanchi, delusi, provati, vogliono solo tornare a casa, mettersi alle spalle una festa saltata, rimandata, una festa alla quale erano stati invitati spinti da un piano flessibile, sono arrivati dopo ore e ore di ritardo, un viaggio come un’odissea pur se i chilometri da compiere erano pochi – s’ingrossano pure le domande e anche le imprecazioni. “Ma perché è tutto chiuso? Ma non potete tenerci così, è pericoloso, ma così perdiamo il treno”. I minuti passano, un’ora dopo è ancora tutto chiuso. “Qualcuno ha lanciato un fumogeno lungo il percorso della metro, c’è tutto fumo e bisogna ripulire”, riferisce un ispettore di polizia che presidia il varco d’accesso mentre la fila si ingrossa. Chi spinge, chi protesta, chi si rassegna. È così davanti alla stazione dei Campi Flegrei ma – riferiscono – pure altrove.

Davanti agli occhi allora scoloriscono in fretta gli istanti della partita e tornano negli occhi le ore trascorse per completare il viaggio d’andata. Ammassati sui vagoni della metro, sui treni regionali. Pochi, stracarichi, non in grado di far salire passeggeri sin dalle prime fermate. Era andata così anche all’andata, così ad esempio per un regionale che ci mette il doppio – quattro ore invece delle due – per completare indenne la tratta Salerno-Napoli Campi Flegrei, arrivando appena qualche minuto prima del fischio d’inizio.

Già quasi pieno alla stazione di partenza – sul regionale anche parecchi turisti, turisti che faticheranno a scendere alla fermata di Pompei, carichi di bagagli e sorpresi, stupiti da quel pieno, disorientati e straniti – già impossibilitato a far salire passeggeri dalle prime fermate. Tanti sul marciapiede ad aspettare quel treno – mentre sul treno non c’è spazio per una mosca, c’è chi sta appollaiato sulla parete del bagagliaio e chi affolla il bagno – bambini con le maschere di Osimhen e le bandiere del Napoli che piangono perché sul treno non possono salire e magari tocca aspettarne un altro, ma pure sull’altro e sugli altri sarà la stessa storia, ragazzi e ragazze tra chi va a Napoli per godersi e respirare l’aria di festa e chi invece deve andare alla rassegna “Comicon”, e poi ci sono intere famiglie, semplici tifosi: non sono riusciti a comprare il biglietto ma vogliono andare a far festa. Quella festa programmata senza tener conto del campo, la partita spostata senza tener conto che forse se si fosse giocato di sabato molti di quei treni domenica mattina avrebbero potuto viaggiare più “leggeri”, più in sicurezza, senza esser costretti a star fermi per tanto tempo in ogni stazione, tra chi implora perché non respira, chi vuole scendere e chi prova a salire, il capotreno costretto ogni volta a chiedere comprensione, le forze di polizia sui binari delle varie stazioni che non si vedono mentre invece si vede un fiume di gente che aspetta il treno e non può prenderlo. Va così pure al ritorno quando dopo un’ora e più le porte della stazione dei Campi Flegrei si riaprono, e quel fiume che s’è ammassato fuori si riversa sui binari. A caccia del primo treno, senza sapere nemmeno quale sia e a che ora parta. E le prime fermate – che sono quelle della metro – testimoniano di come un fiume di gente si fosse riversato a Napoli per la festa, pur senza avere il biglietto per lo stadio: si fosse giocato di sabato, quel fiume non sarebbe stato il triplo. Non è però mica colpa di quel fiume triplo. Gli era stato detto che ci sarebbe stata la festa ma poi la festa non c’è stata. Semplicemente perché il calcio è destino, è imprevedibile, riserva agguati, si diverte a regalare sorprese. Tanto che la festa – mentre quella marea azzurra sta cercando conforto, riparo e la strada di casa – si tiene a cinquanta chilometri, lì a Salerno e all’Arechi dove i tifosi festeggiano la Salernitana, la festeggiano perchè è stata capace di strappare un risultato che nessuno aveva previsto, perchè ha giocato una partita con serietà e dignità. Perché nel calcio bisogna lasciar fare al destino, non forzarlo. Bisogna lasciarsi sorprendere, farsi travolgere. Il destino sa programmare meglio di piani e tabelle. Magari il Napoli festeggia a Udine, lì dove Spalletti s’è rivelato allenatore, lì dove De Laurentiis vinse la sua prima partita in A. Magari il destino aveva già deciso. Facendosi beffe di piani sicurezza e tabelle scudetto. Di patron e prefetti.

 

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

Napoli: il piano del prefetto, Dia..bolik e la festa di De Laurentiis Storiesport

© 2023 Riproduzione riservata

Correlati