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L’eroe Tull e un altro muro da abbattere

Il razzismo torna a scuotere le coscienze. Calcio e guerra: la storia di un centravanti inglese morto in guerra e discriminato per il colore della pelle
Sport e razzismo

Andre Gray è inglese, ha 28 anni, è il centravanti del Watford. Adora i tatuaggi come tanti suoi colleghi però sulla pelle non ha impresso donne o palloni, animali o familiari: la schiena è un murales in bianco e nero, è una mappa che ripercorre le tappe di una battaglia culturale e civile mai definitivamente vinta. Un muro del pianto, dell’indignazione, del ricordo: un muro che ogni volta pare distrutto e che invece spesso torna a dividere, separare, distinguere. La sua schiena dritta e tatuata è un’infografica sulla lotta al razzismo, vi campeggiano campioni e simboli di campagne civili e lotte sportive: Martin Luther King e Rosa Parks, Malcom X e Bob Marley, Muhammad Alì e Tommy Smith. Storie d’inchiostro e qualcuna di sangue come un’altra storia, scritta col sangue e che da 102 anni attende una riga, una sola riga ufficiale che renda onore e giustizia a un ex centravanti del Tottenham e tenente dell’esercito britannico, caduto in guerra nel 1918. A Walter Tull la “Military Cross”, una delle più alte onorificenze militari del Regno Unito, non è mai stata assegnata solo perché Walter Tull era di colore: il primo calciatore inglese e poi il primo tenente dell’esercito di Sua Maestà ad avere un colore della pelle diverso dal bianco. Sport, razzismo, povertà, giustizia sociale, guerra: mai come ora, una storia attuale.

“Darkie Tull”, “Tull il negretto”. E’ il 2 ottobre 1909 e questo è l’epiteto meno volgare che piove dalle tribune dello stadio dove sta disputandosi Bristol-Tottenham, match di First Division. Tull ha 21 anni, un mese prima ha debuttato in casa del Sunderland, poi ha felicemente calpestato l’erba del White Hart Lane: nel 2-2 contro il Manchester United s’è infatti procurato un rigore e l’ha pure segnato. “Darkie Tull” gli vomitano dagli spalti dello stadio del Bristol, ed è persino l’insulto più gentile: in campo ci sono ventidue giocatori che corrono e se le danno, come da sempre capita nel calcio d’Albione. E’ la prima pagina nera del calcio. Ventuno di quei giocatori sono bianchi, uno ha un colore diverso sotto la maglia. Per chi c’è quel giorno, è un marchio, una macchia. Da bollare con i peggiori insulti. Quel giorno il reporter del Football Star ne resterà così tanto scandalizzato da scrivere, letteralmente così: “Let me tell those Bristol hooligans that Tull is so clean in mind and method as to be a model for all white men who play football”. “Lasciatemi dire a quegli hooligans di Bristol che Tull ha un modo di giocare e di pensare talmente pulito da essere un modello per tutti gli uomini bianchi che giocano a calcio”: questo il resoconto in prima pagina di quella pagina, a suo modo storica. Quel giorno però è il primo filo nella vita di Walter Tull a spezzarsi: perde equilibrio e fiducia, finisce nella squadra riserve, finisce indietro e calpestato, nelle retrovie. Solo perché la sua pelle non è bianca.

A 21 anni il carico che porta nel cuore, e che pesa sulle spalle, è già pesante. E’ nato nel 1888 in un villaggio vicino allo stretto di Dover. E’ figlio di Daniel, a sua volta figlio di due schiavi che si rompono la schiena lavorando nelle piantagioni delle Isole Barbados: all’abolizione della schiavitù, Daniel prende una nave e approda sulle coste meridionali inglesi. In una chiesa metodista conosce Alice, figlia di contadini. Si sposano, non c’è la radio, figurarsi la tv: fanno figli. Uno dopo l’altro. Walter è il quarto di sei: a sette anni diventa orfano perché la mamma muore di cancro. Il papà si risposa ma dopo due anni anche lui va via per sempre. La matrigna non è cattiva anzi: da sola, senza sostanze e con sette figli, deve assumere decisioni delicate, difficili, dolorose. Per due di quei bambini si aprono allora le porte di un orfanotrofio. Magari potrebbero essere una speranza, una via di fuga dalla povertà: Walter ha dieci anni quando col fratellino Edward entra nel Children’s Home & Orphanage, un istituto di Londra. Le porte sembrano chiudersi per sempre alle spalle, e invece davanti a quegli occhi neri si spalanca un orizzonte. Può studiare, gli piace il cricket, gioca al pallone.

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Walter Tull in azione in una foto dell’epoca

E’ bravo, entra nella squadra dell’istituto, è felice sino al giorno di un altro doloroso addio: il fratello Edward viene adottato da una famiglia scozzese e Walter resta completamente solo. Deve cavarsela da solo, da solo deve trovare la propria strada. Sogna una maglia da centravanti in quel gioco per il quale l’Inghilterra già impazzisce ma deve pur guadagnare per mantenersi e inseguire il sogno. Così si divide tra una tipografia e un campo di calcio; a 19 anni viene notato dagli osservatori del Clapton, la più grande squadra amatoriale inglese. Gioca centravanti, segna caterve di gol. Nemmeno un anno, il Tottenham l’acquista per dieci sterline e l’inserisce nella squadra B. Con gli Spurs in estate va in tournée in Argentina e Uruguay; è nelle amichevoli americane che si mette in luce tanto da essere inserito in prima squadra per la stagione calcistica 1909/1910. A 21 anni debutta in First League, segna al Manchester United poi però arrivano lo stadio di Bristol, quella maledetta partita, quei maledetti insulti che non andranno più via, accompagnandolo ancora: “Walter il negretto”. “Darkie Walter”.

Demoralizzato e scosso, da quel giorno – è il 2 ottobre 1909 – pare non riprendersi più. Corre poco, non segna, non combatte, non sorride. A dicembre ritorna nella squadra riserve, il sogno della First League sembra già svanito e invece nel cielo grigio di Londra spunta un altro timido raggio di sole. Quattro mesi dopo. E’ febbraio, il Northampton ne prende sette dalla squadra Riserve del Tottenham: tre gol li segna quel centravanti di colore, potente e agile, che fa a fette la difesa del Northampton allenato da Herbert Chapman. Il tecnico prende nota, si appunta il nome di quel centravanti e se lo fa acquistare per la nuova stagione. Con la maglia dei Cobblers – “i ciabattini” – giocherà 110 partite nella Southern League, all’epoca la seconda lega inglese. Tull segna, il Northampton per due volte sfiora la promozione: giorni felici per quel ragazzo di colore che ha finalmente dimenticato gli insulti e che si diverte giocando a cricket nella primavera del 1914.

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Walter Tull da militare

La quiete prima della tempesta. I colpi di pistola sparati a giugno da un irredentista bosniaco uccidono l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e la moglie Sofia: è la miccia che darà fuoco all’Europa. E’ l’inizio della Prima Guerra, e il Regno Unito s’iscrive al conflitto il 4 agosto 1914. Tull è il primo del Northampton ad arruolarsi volontario entrando nel “Footballers’ Battalion”, il battaglione dei calciatori: calciatori britannici che prima di arruolarsi devono però prima chiedere il permesso ai propri club. Nel battaglione c’è pure Vivian Woodward, per due volte medaglia d’oro (Londra e Stoccolma) alle Olimpiadi, ex compagno di squadra di Tull nel Tottenham. Il battaglione viene spedito sul fronte francese. E’ la guerra che si combatte dalle trincee, una snervante e logorante tattica che nell’attesa infinita dello scontro frontale consuma i nervi. Sulle trincee piovono le bombe, e quando dal cielo non arriva nulla se non la neve, sembra sempre di sentire quel rumore sinistro. Ci si ammala e si muore, anche così: Tull viene rispedito a casa ma dopo tre mesi chiede di poter tornare al fronte. Sul campo di battaglia. Anche lui imbraccia un fucile nella sanguinosa campagna di guerra combattuta sulla Somme, così cruenta che ventimila soldati inglesi vi lasciarono la vita. E in quei giorni sul campo di battaglia Walter Tull sentirà un’altra offesa, una delle più terribili per il genere umano, peggio ancora di quel “Walter il negretto” ascoltato dagli spalti dello stadio di Bristol. Perché nel cielo di Francia in quei giorni si sparge una strana nuvola giallastra. E’ gas, sono cloro e ossido di carbonio contro i quali non bastano gli elmetti: la morte sopraggiunge anche dopo giorni. Il battaglione è decimato ma Tull respira, resiste anche alla “trench fever”, la febbre da trincea. Si riprende e per il valore dimostrato sul campo viene premiato: l’esercito britannico lo promuove infatti sergente.

Il Manuale inglese di legge militare del 1914 però non prevede altro.  Non più del grado di sergente. “Any inhabitant of any British protectorate, or any negro, or person of colour”. Il pregiudizio. La stupidità. Il razzismo. Per la seconda volta Walter apprende sulla propria pelle cosa siano realmente. Prima sul campo di pallone, poi sul campo di guerra. Ma cuore e forza d’animo non l’abbandonano. L’esercito di Sua Maestà è in difficoltà, ha bisogno di uomini come lui che sappiano fare da centravanti, che guidino la squadra all’attacco. E così viene spedito a Glasgow, dove sarà addestrato e promosso allievo tenente. Il primo tenente di colore britannico, il primo a guidare un manipolo di uomini – sono in tutto 26 – in una pericolosa incursione sul fronte del Piave, in Italia. Un’azione premiata con una lettera d’encomio dal generale Sydney Lawford, che ne sottolinea “l’eleganza e la freddezza”.  E così che Tull, tenente di secondo grado, riconquisterà la prima linea, l’area di rigore. Gli era successo nel 1911, scartato dal Tottenham e valorizzato dal Northampton, gli risuccede nel 1918: da soldato semplice e confinato a tenente sul campo, a guidare l’attacco. Un campo e un attacco purtroppo fatale.

A marzo del 1918 è di nuovo in Francia: stavolta guida lui il 23° Middlesex Regiment, un battaglione di soldati e calciatori che a fine guerra perderà 500 dei suoi 600 uomini. Tra quei 500 anche Walter Tull, colpito da un proiettile alla testa il 25 marzo del 1918, nel corso di un assalto alla trincea tedesca. Muore sul colpo, a 29 anni. Lì, su quella terra di nessuno tra un filo spinato e un fosso, lì dove resta il suo corpo. I suoi uomini cercano di recuperarlo ma le mitragliatrici tedesche non danno tregua. Devono abbandonarlo lì. “Suo fratello era amato dai suoi uomini. Era coraggioso e coscienzioso, il suo nome era stato segnalato per la Croce Militare e se la sarebbe certamente guadagnata”: così c’è scritto nella lettera spedita a Edward Tull per informarlo della valorosa morte del fratello.

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La strada intitolata a Walter Tull nei pressi dello stadio di Northampton

Il suo corpo non sarà mai ritrovato, così come non è stato mai insignito della Military Cross: il pregudizio sul colore della pelle un macigno che avrebbe pesato fin dopo la Seconda Guerra, persino in una nazione come l’Inghilterra. E anche dopo, quando nel corso degli anni più volte sarebbe stato perorato il suo caso. Tornato d’attualità dieci anni fa grazie allo storico Phil Vasili che gli ha dedicato una documentata biografia e poi nel 2018 in tutto il Regno Unito nel centesimo anniversario della fine della Prima Guerra. Il nome di Walter Tull compare tra le 34.785 lapidi del cimitero di guerra di Arras in Francia mentre in patria, all’esterno dello stadio di Northampton, c’è una lastra commemorativa lungo la “Walter Tull Way”, la strada che porta al campo sportivo. Tre mesi fa il Manchester United ha invece organizzato una mostra all’interno del proprio centro sportivo, evento dedicato a tutti i ragazzi del settore giovanile, per ricordarne l’esempio. Il deputato laburista David Lammy ha scritto al Primo Ministro. «Dopo oltre cento anni è tempo che questo pregiudizio sul colore della pelle venga meno. Walter Tull è stato ed è un eroe nazionale: è arrivato il tempo che gli venga riconosciuta la Croce Militare». La BBC ha realizzato un toccante documentario, andato in onda due anni fa in prima serata. «Non conoscevo la sua storia, mi ha davvero emozionato. I ragazzi dovrebbero leggerla sui libri di scuola, così come leggono di Martin Luter King o di Rosa Parks»: così chiude il docufilm della BBC Danny Rose, giocatore del Tottenham. La prima squadra di Walter Tull. Il primo giocatore di colore nella storia del calcio inglese, il primo tenente di colore nell’esercito britannico. Sbeffeggiato su un campo di calcio, morto su un campo di guerra: chissà, in attesa della Military Cross uno spazio sulla schiena Andre Gray lo troverà per ricordarlo.

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