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Il derby serbo e il perizoma di Grecia

Partizan-Stella Rossa in uno stadio pieno. Ad Atene il patron del Panathinaikos sfascia il bar di un capo ultras, i tifosi assaltano la villa
Il perizoma rosso sulla panchina dell'Olympiacos

Da perderci la testa. Da una parte all’altra del mare Adriatico ma pure sulle coste dell’Egeo. Lo sport è alla deriva, il naufragio è alle porte. Succede tutto in un giorno, un giorno da ricordare e raccontare. Il calcio senza contrasti, il basket senza rimbalzi, i fumogeni in uno stadio pieno in Serbia, ad Atene l’assalto dei tifosi al presidente del club dopo che il patron ha sfasciato un bar: roba da restare in mutande, Anzi, in perizoma.

Si parte dall’Italia. Un’ordinanza regionale in Abruzzo ha fissato le regole per la ripresa sportiva nei centri, sui campi e nei circoli, dentro i palazzetti e sulle spiagge. Calcio, basket, pallavolo, beach-volley: per tutti i praticanti linee guida da osservare alla lettera, altrimenti si torna tutti a casa. Tra le linee guida al protocollo di sicurezza è fatto divieto assoluto a calciatori e cestisti di recuperare il pallone con un contrasto oppure in scivolata. Soltanto i portieri possono toccare il pallone (le rimesse laterali sono state abolite?) e solo se muniti di guanti da igienizzare prima e dopo la partita, partita nella quale sono vietate scivolate e marcatura a uomo. Una regola che – non si sa come – dovrebbe essere osservata pure da chi gioca a basket, dove il contatto fisico è l’essenza stessa della disciplina. Nel volley e nel beach invece “gli atleti dovranno indossare guanti igienizzabili prima e dopo la pratica sportiva, atleti e atlete ai quali è vietato invadere il campo opposto”. Roba da prender fiato, anzi no. Perché nella stessa ordinanza è specificato che i giocatori potranno farlo solo “da seduti o sdraiati nell’area di gioco”. Tutto a distanza in un mondo sportivo sempre più distante da se stesso e che si rimangia quanto stabilito dopo un giorno.

Derby di Serbia
Il derby di Serbia tra Partizan Belgrado e Stella Rossa giocato con ventiduemila spettatori allo stadio nonostante le prescrizioni in tema di covid 19

Eppure, dall’altra parte dell’Adriatico, nelle stesse ore, ventiduemila spettatori affollavano gli spalti della “Partizan Arena”. In scena il derby numero 200 di Belgrado: il sentitissimo Partizan-Stella Rossa, semifinale di Coppa nazionale. Dall’1 giugno in Serbia il calcio è tornato a porte aperte, l’unica prescrizione della federazione è che sia osservata la distanza di un metro tra un tifoso e l’altro. Però, in uno stadio presidiato da oltre mille agenti – il derby di Belgrado è una bolgia spesso finita anzitempo per incidenti e intemperanze – c’erano 22mila spettatori. Dato ufficiale da leggere insieme a un altro: la capienza massima della Partizan Arena è di 29mila spettatori. La prescrizione della distanza di un metro? Al vento, come i fumogeni la cui accensione ha costretto l’arbitro a sospendere la partita per cinque minuti. I tifosi delle due squadre? Uno addosso all’altro, in curva e in tribuna, in barba a divieti e obblighi: sugli spalti di Belgrado non sarebbe potuto cadere uno spillo, del resto le immagini fotografiche e televisive sono eloquenti. Come la risposta della federazione serba: zero provvedimenti, niente revoca, nemmeno una multa. Per la cronaca il derby se l’è aggiudicato il Partizan allenato da Savo Milosevic, ex centravanti del Parma che s’è preso così la rivincita su Dejan Stankovic, allenatore della Stella Rossa. Qualcuno dirà: colpa dei tifosi. Sempre loro, e invece.

Invece basterebbe scendere un po’ più giù della Serbia e approdare sulle coste del mare Egeo per accorgersi che spesso la follia alberga altrove, magari nella testa di qualche presidente miliardario al quale è stato messo in mano il giocattolo e di quel giocattolo ha deciso di farne mille pezzi. Mentre a Belgrado si disputava il derby di calcio, ad Atene cento tifosi di basket del celebre e glorioso Panathinaikos assaltavano la villa del proprietario del club, Dimitris Giannakopoulos. Scene riprese dallo stesso proprietario in un video. Urla, insulti, lancio di pietre e persino spari a salve, esplosi dalle guardie del corpo del rampollo di una famiglia miliardaria, tra le tante attività c’è la più grande azienda farmaceutica ellenica. Secondo Giannakopoulos, gli ultras, appartenenti allo storico gruppo del “Gate 13” erano armati di coltelli e piedi di porco. Qualche ora prima c’era stata una conferenza stampa di fuoco nella sede del club – 37 scudetti e 6 Eurolega – nel corso della quale il patron aveva annunciato la cessione del titolo dopo aver lanciato pesanti accuse: «Lascerò il Panathinaikosbasket da campione e a testa alta. Il mio ciclo qui è finito definitivamente. Metto in vendita la società per 25 milioni di euro, anche se ne varrebbe 100; dal 1987 abbiamo speso oltre 400 milioni per restare sempre ai vertici del basket europeo». L’assalto dei tifosi pareva così la barbara e inaccettabile risposta a quell’annuncio. E invece.

Invece un video postato su twitter da un tifoso dell’acerrima rivale – l’Olympiacos – avrebbe inquadrato da altra prospettiva la vicenda. Nelle immagini si vede Giannakopoulos entrare come una furia in un locale di Atene accompagnato dalle guardie del corpo e che all’improvviso sfascia tutto: all’aria piatti, sedie e bicchieri. Il bar? Di uno dei capi del “Gate 13”, il gruppo ultras della squadra di calcio e di basket, quello che poi avrebbe guidato la protesta armata davanti alla villa dell’imprenditore greco.

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Un personaggio spesso agli onori della cronaca e mai con onore. Mesfistofelico nell’aspetto, velenoso negli atteggiamenti, martellante sul suo canale di sfogo principale, Instagram. Sempre a testa bassa, contro avversari, arbitri, istituzioni. Tutti nemici, tutti da offendere e da combattere. Più volte squalificato e multato: 150.000 euro una volta per essere entrato nello spogliatoio della terna dopo una sfida persa contro il Cska Mosca ed essersi rivolto così a uno degli arbitri. “Ti ammazzo. Questa sera non esci vivo dalla Grecia. Te lo prometto sui miei occhi. Ammazzo te e la tua famiglia: è una promessa. Mi faccio tua madre, al cimitero tua moglie e i tuoi figli, fottuto bastardo”: così a uno dei fischietti della terna. Stesse ingiurie e minacce vomitate a Vassilis Spanoulis, un ex poi bandiera dell’acerrima rivale Olympiacos in un derby perso all’Oaka. La tripla decisiva del capitano biancorosso, le mani sulle orecchie a mo’ di provocazione e le ingiurie del proprietario del Pana, riprese in un filmato poi allegato alla denuncia penale presentata dall’Olympiacos. “Ammazzo te e poi tutta la tua famiglia, mi faccio tua madre, al cimitero ci mando tua moglie e i tuoi figli, Vassilis sei un fottuto bastardo”. Dopo aver indossato una t-shirt sulla quale campeggiava la scritta “Euroleague mafia” fu squalificato per due anni.

«In 42 anni di carriera pensavo di aver visto tutto». Così Rick Pitino, leggenda tra i coach del basket americano universitario e al tempo coach Pana, commentò l’epilogo di un derby di Coppa, l’ennesima sfida per la madre di tutte le disfide. Febbraio 2019. All’intervallo il Pana è avanti di 15 punti, il presidente dell’Olympiacos pensa che gli arbitri stiano dalla parte dei “verdi” e decide di ritirare la squadra. In Grecia e nel basket, soprattutto quando ci sono Pana e Olympiacos, funziona così: ogni cosa è un pretesto, è sempre una tragedia greca. I biancorossi prendono il bus e se ne vanno. Nell’inferno dell’Oaka, dove non c’è mai un posto vuoto, dove il caldo è asfissiante e il canto dei tifosi non si ferma mai, comincia allora un’altra partita. Senza canestri, senza pallone, senza avversario. Dimitrios Giannakopoluos – “il figlio di…” visto che 13 dei 15 scudetti e le 6 Eurolega sono state vinte con padre e zio al timone – si prende la scena, troppo ghiotta per non assestare un altro colpo a rivali. Un gesto plateale. Prende un perizoma rosso – perché rosso è il colore della maglia dei rivali – e lo poggia sulla panchina vuota dell’Olympiacos, l’avversario che se l’è data a gambe. Quel ritiro, per lui, è una cosa da codardi, non da uomini, non da greci. La foto fa il giro del web in un nanosecondo. Per quel gesto sessista non sarà nemmeno multato. «Le scuse? E’ stato un gesto dettato dall’entusiasmo. Mi scuso con il mondo del basket ma non con l’Olympiacos». Se questo è sport non c’è che da restare in mutande. Anzi, meglio pure senza.

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