La stagione della Salernitana continua ad assumere contorni sempre più cinematografici. Non c’è settimana, anzi no, non c’è giorno che passi senza che il management (sta per conduzione e gestione societaria prima ancora che tecnica, si perdoni il termine anglosassone – management sta per l’insieme dei dirigenti di un’impresa o di un’azienda – ma in anglosassone ammanta le sue dichiarazioni l’amministratore delegato Maurizio Milan e bisogna mettersi al passo per reggere il confronto) non aggiunga pagine al copione.
Passaggi e pagine a volte esilaranti, a volte desolanti, le une e le altre come se fossero rivolte a una platea sprovveduta da catturare con dichiarazioni a effetto cui non seguono mai però i conseguenti fatti. Al contorno si aggiunge chi ancora continua a disquisire su scelte e moduli tattici, su giocatori, acquisti e cessioni. Certo è legittimo pensare e guardare ancora alla classifica perché c’è ancora margine di speranza anche se il quadro nero della classifica è nulla al confronto del disastro gestionale e societario: più che gli 8 punti dovrebbero inquietare i 29,6 milioni di perdite con le quali si è chiuso il bilancio, 30 milioni di perdite accumulate in un anno a fronte di un’ingente ricapitalizzazione del proprietario e a fronte di ricavi per 56 milioni di euro (33,7 da diritti tv, quasi 9 proventi da stadio, 6 da sponsor, etc etc): la si può considerare una conduzione societaria oculata, attenta, degna di una società innovativa e all’avanguardia? I fatti però contano per pochi, quasi tutti sono presi dalle parole, abbacinati dal fascino suadente dei voli pindarici che volteggiano nel metaverso.
Solo nell’ultima settimana si è passati dalle solite dichiarazioni d’aria del proprietario Danilo Iervolino nel corso del galà del calcio a Milano alle ultime rilasciate dallo “sfiduciato” ds Morgan De Sanctis in un’intervista (il dibattito in queste ore è acceso) il cui unico scopo era quello di “lanciare” messaggi in codice destinati a proprietà, management e alla platea calcistica nazionale (ah, se si potessero registrare i commenti e i pensieri non certo all’acqua di rose disseminati qui e lì in questi mesi): la verità è che De Sanctis ha “skippato” alla grande su alcune domande eppure tra le pieghe si è compreso (da tempo) tutto e benissimo…
Si dirà: ma che significa skippato? Deriva da skippare, un neologismo ormai in uso che sta per eludere, passare oltre, saltare. “Non per skippare”: è così che l’altro giorno l’ad Milan ha risposto a una domanda rivoltagli negli spazi del liceo classico Torquato Tasso dove (ancora) si insegna il greco e il latino. “Non voglio skippare”: così a chi gli chiedeva lumi sulle prossime operazioni di mercato. Così per dire: non è che voglio eludere la domanda ma…. Eppure questo momento così alto non è stato il più alto della settimana perché l’irraggiungibile vetta era stata raggiunta un paio di giorni prima.
Quando, impegnato in una doppia inaugurazione di club di tifosi in provincia, l’ad Milan aveva prima assicurato: «Col Bologna sarà un check point importante per la squadra» (check point sta per verifica, banco di prova?) e poi tuonato: «I ragazzi partiranno per il ritiro, perché vogliamo che siano concentrati. Andranno in una struttura molto basica, non sarà certo un hotel a 5 stelle come le altre volte: questo perché capiscano il senso della fatica che in tanti mettono per questa maglia, comprando un biglietto o un abbonamento. Devono ritrovare un po’ se stessi e anche un po’ di spirito di gruppo. Per questo motivo non c’è bisogno di andare in alberghi di lusso».
Parole forti. Al che uno si aspetta un ritiro lungo e invece poi si scopre che il ritiro inizia a meno di 48 ore dalla partita. Una struttura non di lusso come le altre volte e poi si appura che nella struttura dell’altra volta ci sono cerimonie e che l’aria di festa potrebbe portare distrazioni invece che conciliare attenzione e cementare coesione e spirito di gruppo. Una struttura basica, non a cinque stelle.
Dichiarazioni forti, tanto che giustamente il titolo del principale quotidiano cittadino spara: “Tutti in ritiro. Ma non sarà un 5 stelle”.
Poi però si scopre che l’hotel basico, la struttura non di lusso, per giunta nella stessa località dell’hotel a cinque stelle, è una struttura a quattro stelle con tanto di spa. Altro che struttura basica nella quale capire e comprendere i sacrifici del tifoso che compra il biglietto. Ma poi chissà cosa avrà pensato la proprietà di questa struttura, a quattro stelle con spa, equiparata («una struttura molto basica, non di lusso, non come le altre volte») a un alberghetto qualsiasi, una specie di pensione, una sorta – visto che non saranno nemmeno 48 ore – di motel con camere ad ora? Non è che chiederà i danni d’immagine? Ma poi, se malauguratamente dovesse andare male col Bologna, che si fa: si ritorna nell’hotel a cinque stelle o si manderanno i giocatori a spalare pietre?