Meglio un uovo oggi o la gallina domani? Meglio un uovo oggi anche se non troppo vitaminico oppure confidare nella gallina domani, anche se non s’è certi che quella gallina poi produca uova d’oro? I presidenti di serie A non hanno però più tempo per leggere (o rileggere) la favola di Esopo: dopo cinque estenuanti e logoranti mesi di trattative, offerte, proposte e riunioni, ora devono scegliere. Scegliere se è meglio prendere quel che passa ora il convento o rivolgersi a uno chef col quale allestire, accettando e accollandosi in parte il rischio d’impresa, un banchetto che possa determinare, un domani (non prima di tre anni però segnala il break-even), maggiori ricavi. Devono decidere se scegliere una strada conosciuta oppure andare incontro all’incerto, svoltando con un salto. Un salto che potrebbe proiettarli nel futuro forse, o chissà pure nel buio. Un bel dilemma.
Un dilemma al quale bisognerà per forza dare una risposta domani mattina. All’ordine del giorno c’è un solo punto. Un punto determinante. Spartiacque. Questo punto: “Diritti AV 2024-2029/campionato: esito trattative private e conseguenti determinazioni”. Un nodo da sciogliere domani prima di pranzo, dopo l’ennesima assemblea andata a vuoto giovedì scorso, la riunione terminata con un comunicato ufficiale che però faticava a trovare una sintesi e soprattutto un’unità d’intenti tra le varie anime presidenziali. Divise, combattute, in conflitto evidente: caduta la possibilità di fare un mix (broadcaster più canale Lega), c’era la maggioranza spinta da Torino, Lazio e Inter pronta a firmare l’accordo coi due broadcaster e un gruppo di club che invece, spinto da Napoli e Fiorentina (con l’aggiunta di Juve e Milan, e ancora Roma, Bologna e Salernitana) voleva e vorrebbe invece rifiutare l’offerta per dedicarsi alla messa in funzione di un canale di Lega che con l’appoggio di un fondo o di una banca d’affari, si metta in proprio offrendo il prodotto serie A.
Vorrebbero “vedere”, prima di votare. Vedere cosa c’è dentro le offerte dei fondi o banche d’affari: sono sei le proposte che poi andrebbero vagliate nei prossimi mesi (in extremis pare che il fondo statunitense Oaktree, coadiuvato da Centerview Partners, abbia inviato una nuova proposta per la realizzazione di un canale della Lega dal 2024 con un minimo garantito che si attesterebbe sui 975 milioni di euro, 25 milioni in più rispetto all’ultima proposta) con l’apporto dell’advisor scelto a suo tempo dalla Lega serie A, e cioè Lazard. L’eventuale decisione di aprire le buste però farebbe (de)cadere l’offerta dei broadcaster il cui vincolo scade domani. Prendere o lasciare, ma soprattutto cosa prendere e cosa lasciare nel piatto? I presidenti del pallone tricolore se lo stanno chiedendo ancora in queste ore febbrili, di contatti e pareri. Non è proprio il tempo più conveniente per abbinare le parole scommessa o azzardo al calcio italiano, però sono quelle che più rendono l’idea del momento: nelle prime otto giornate di A il calo di ascolti è stato evidente, meno tre milioni di spettatori secondo le cifre fornite da Dazn. L’immagine del calcio tricolore è appannata dalla credibilità del sistema oltre che dallo scarso valore tecnico delle partite e delle trasmissioni delle gare in streaming, gli abbonati sono sempre di meno, e sempre più decisi a darsi alla fuga. Molti club stanno chiudendo in queste ore i bilanci dell’ultima annata, le cifre sono quasi tutte segnate dal profondo rosso. Meglio un uovo oggi o una gallina domani? Il dilemma sarà sciolto domani.
Quando serviranno 14 voti per approvare l’offerta complessiva di 4,5 miliardi per cinque anni, e cioè la media di 900 milioni l’anno: in realtà 890 milioni di euro il primo anno (890 anche per la stagione successiva, poi si sale a 900 e nell’ultimo biennio si arriva a 910, a queste cifre vanno aggiunte quelle dei diritti della Coppa Italia, quelle dei “dati” e delle revenue, per il 2024/25 la proiezione totale sarebbe così di 1,026 miliardi di euro): anche un solo voto in meno e si dovrà ripartire daccapo. Si andrà allo scontro o si troverà l’accordo? La voce che rimbalza da ore e da giorni è sempre la stessa: è come puntare su un qualsiasi numero della roulette, come andare sulle montagne russe. Filtra però anche che alcuni dei presidenti di club che avevano manifestato giovedì l’intenzione di puntare sul canale di Lega con l’intervento del fondo o della banca d’affari, abbiano fatto qualche passo indietro. Tra questi club ci sarebbe il Bologna dell’americano Saputo e pare anche la Salernitana dell’italiano Iervolino che da ex proprietario di Pegaso ha incassato oltre un miliardo cedendo la società a un fondo (CVC, quello che due anni fa voleva entrare nella media-company della Lega A); il Milan di Cardinale che pure aveva candidato il fondo che è proprietario anche del club rossonero, starebbe invece valutando, come anche la Juventus. Le più decise sul canale resterebbero così Napoli e Fiorentina. Ma spingersi all’exit poll prima dell’urna di domani è assai azzardato. Diciamo che l’ipotesi di chiusura positiva con i due broadcaster è data in sensibile ascesa.
Il voto è previsto domani a Milano, nel salone della Lega in via Rosellini: i venti presidenti di serie A dovranno scegliere, votare sull’assegnazione dei diritti televisivi domestici per il prossimo quinquennio (2024/2029). Il tempo dei rinvii e delle riunioni è terminato, gli ultimi giorni non hanno cambiato lo scenario e neppure innalzato l’ultima offerta dei broadcaster: 4,5 miliardi di euro per cinque anni, media di 900 l’anno (890 milioni di euro per la stagione 20204/2025 e quella successiva per poi aumentare negli altri tre anni), e per il prossimo anno per la precisione sarebbero 710 milioni messi sul tavolo da Dazn (per le dieci partite) e 180 da Sky che però nelle tre co-esclusive aumenterebbe l’offerta del numero d’incontri di livello. Le due piattaforme tv sono rimaste uniche interlocutrici nella trattativa dopo l’uscita di Mediaset, candidatasi alla partita in “chiaro” del sabato sera: così l’offerta dei due broadcaster sarebbe però scesa di parecchi milioni. Seicento milioni di euro, questa era stata la proposta iniziale prima dell’estate: le trattative condotte dalla commissione ad hoc (l’ad De Siervo, i presidenti della Lazio Lotito e del Napoli De Laurentiis, Percassi dell’Atalanta, l’avvocato Campoccia dell’Udinese e Cappellini dell’Inter) nel corso di questi mesi hanno fruttato altri 300 milioni di euro: un aumento considerevole certo, anche se l’astronomico (per l’attuale calcio italiano) miliardo e centocinquanta milioni (l’anno) fissato come limite di partenza è rimasto lontano.
Abbastanza lontana nel tempo – almeno tre anni – darebbe frutti l’eventuale scelta di affidarsi a un canale della Lega finanziato dall’intervento di un fondo o di una banca d’affari. Avviare il canale di Lega significherebbe innanzitutto assumersi un rischio d’impresa che si traduce in minori proventi rispetto all’attuale minimo garantito, comporterebbe maggiori costi, spingerebbe a un maggiore rischio finanziario, costringerebbe a tuffarsi sul mercato dotandosi di strutture adeguate (comportano nuovi costi) per poter ottenere dei ricavi. Certo, il canale a Lissone è già pronto, ma bisognerebbe affinare anche la tecnologia di trasmissione: l’attuale piattaforma (quella che si è assicurata i diritti nel triennio 2021/24) ha avuto non pochi problemi e ancora li ha. Bisognerebbe poi quantificare il prezzo da offrire all’abbonato (in molti casi gli abbonamenti attuali consentono di poter vedere anche partite di altri campionati e anche altri sport) e non sarebbe possibile subito per i club farsi anticipare una quota dei proventi da diritti tv. Andrebbero poi affrontati i nodi della fiscalità, della governance e dei tempi di realizzazione dell’intera struttura e del prodotto da offrire. Nodi delicati, decisivi. Sette mesi basterebbero? Difficile ipotizzarlo, prevederlo. I soldi ai club di A servono, eccome. Tanti. Ma soprattutto servono subito. Scegliere la strada del canale comporterebbe altro tempo. E la strada non è detto che poi porti in un porto sicuro.
Chi propende invece per la scelta di accettare la proposta dei due broadcaster (890 milioni per i primi due anni, 900 il terzo, 910 l’ultimo biennio, a queste cifre bisogna poi aggiungere i proventi da diritti Coppa Italia, diritti dati, revenue, cifre tali che nell’ultimo anno si arriverebbe a 1,2 miliardi di euro) spinge anche sulla base di due determinazioni. La prima: maggiori ricavi dovuti al contrasto della pirateria; dopo l’approvazione in estate di una legge e dopo aver dotato l’Agcom di poteri di intervento immediati nella chiusura di canali pirata, è appena passato un emendamento (nel “decreto Caivano”, non si sa come c’è entrato ma c’è entrato, pare come sempre grazie al lavorìo del senatore Claudio Lotito) che dà ancora maggiori, diretti e immediati poteri per l’oscuramento. La seconda: si chiama “revenue share” e che tradotta significa che il broadcaster si impegna a versare nuove somme alla Lega serie A in base all’aumento degli abbonati, dai 41 milioni del primo anno sino ai 300 dell’ultimo anno dell’accordo. Revenue quantificate in un miliardo per cinque anni (41 il primo anno, e poi per gli altri quattro: 140, 213, 278 e 334), un bel jolly da calare per convincere gli indecisi. Accordo o rottura? Lo si saprà domani a ora di pranzo. I signori presidenti cosa gradiscono: l’uovo oggi o la gallina domani?