Cara Lega serie B e cara Covisoc, noi volevamo pagare i debiti fiscali e tributari in scadenza, ma il Tribunale di Reggio Calabria ce l’ha impedito: non è colpa nostra, noi cosa potevamo mai fare? Alla domanda di “grazia” avanzata dalla Reggina però se n’è aggiunta un’altra: caro presidente Balata, aspettiamo una tua presa di posizione ferma, ci aspettiamo che non vengano applicati pesi e misure diverse, ne va della regolarità del campionato, se una squadra non ha ottemperato alle scadenze fissate dai termini (perentori) federali, deve essere sanzionata. La palla avvelenata, dopo che il caso è stato valutato dalla Commissione licenze nazionali nella sede della Lega in via Rosellini, rimbalzerà proprio oggi nel corso dell’assemblea dei club di serie B in programma a Milano. E poi dovrebbe arrivare di filato a Roma, tra via Allegri e via Campania: insomma nelle stanze della Figc e in quelle delle giustizia sportiva. Perché la Reggina non ha versato 2,8 milioni di euro al Fisco: doveva ottemperare entro il 16 febbraio (come tutti gli altri club di A, B e Lega Pro) agli adempimenti relativi alle ritenute fiscali e agli altri debiti tributari, non i contributi Inps perché – per tutti i club di A, B e Lega Pro – il presidente federale Gravina li ha posticipati di un mese (16 marzo), e dunque dovrebbe essere deferita e poi giudicata in primo grado dal Tribunale federale Nazionale. In base alle Noif, dovrebbe essere sanzionata con due punti di penalizzazione.
Un caso dirimente, complicato, scivoloso. Il condizionale è d’obbligo, perché il caso è intricato assai e rischia, in un modo o nell’altro, di trasformarsi in un precedente giurisprudenziale pericoloso, obliquo, scivoloso. Una sorta di pietra angolare, miliare. Perché se deferimento sarà e se il deferimento porterà poi alla penalizzazione, la Reggina ricorrerebbe sicuramente, appellandosi al diniego della sezione fallimentare Tribunale di Reggio Calabria: nelle motivazioni della sentenza c’è scritto che “le norme dell’ordinamento sportivo non possono derogare nemmeno implicitamente all’applicazione della disciplina dell’ordinamento statale ovvero comportarne la sua disapplicazione”. Una presa di posizione forte, inedita, un assunto che va però contro i principi e le norme dell’ordinamento sportivo che da sempre ha avuto rilievo “principale” e goduto di autonomia. Se invece passasse l’assunto della sentenza della Fallimentare qualsiasi futura “azione” e “decisione” calcistica sarebbe presa nelle aule della giustizia ordinaria. Sarebbe un precedente clamoroso. E non finisce qui: perché sempre nelle motivazioni, il collegio della Fallimentare scrive che “i crediti contributivi e tributari non rientrano tra quelli essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa”. A parte il refuso (sono debiti e non crediti, e non sono debiti contributivi ma ritenute fiscali), c’è da sottolineare come si evidenzi che non siano essenziali per la prosecuzione dell’attività: ma se la Reggina fosse penalizzata di due punti, e per ipotesi per quei due punti poi non raggiungesse la serie A che le consentirebbe entrate di sicuro maggiori e tali da poter sciogliere la massa debitoria, come si fa a sostenere che non siano impattanti? Questa potrebbe essere la linea difensiva del club amaranto per uscirne indenne. Però. Però c’è il risvolto della medaglia, oltre all’irritazione degli altri club di serie B e specie di quelli in lotta per la promozione. Ci sarebbe un evidente dismisura nell’applicazione delle Noif (il Genoa, ad esempio, è stato penalizzato di un punto appena un mese fa, perché è riuscito a dimostrare, errore a parte, che alla data della scadenza federale aveva le risorse disponibili per pagare mentre sulle capacità del club amaranto i giudici della Fallimentare di Reggio avanzano perplessità) e un precedente pericolosissimo: se non ci fosse il deferimento, o se al deferimento non seguisse la penalizzazione, significherebbe “tana libera” per la Reggina che da qui alla fine del campionato potrebbe saltare anche le prossime scadenze federali su pagamenti e versamenti, in attesa che il Tribunale decida sulla richiesta di ristrutturazione del debito. Come la prenderebbero gli altri club? E anche loro si sentirebbero autorizzati a non pagare più fino al termine della stagione?
Genesi. All’imbuto si è arrivati perché, al solito, nel calcio italiano si va avanti a colpi di deroghe, stralci, misure ad hoc, provvedimenti in extremis e persino in chiusura d’anno, come ad esempio accaduto col famoso decreto “Salva-calcio” ribattezzato “decreto Lotito”. Grazie a questo decreto, ad esempio, tutti i club a fine anno hanno avuto la possibilità di rateizzare i debiti (in tutto, un miliardo) accumulati grazie ad un anno di sospensione dei pagamenti, misura ottenuta l’anno precedente sempre nella Finanziaria e sempre negli ultimi giorni dell’anno. Ora, per non complicare il quadro che è già assai complesso, basta dire che nel caso della Reggina (la nuova proprietà ha ereditato una pesante situazione debitoria, circa 13 milioni di euro ma ha regolarmente investito nel mercato estivo puntando alla promozione) la cifra delle ritenute fiscali da versare entro il 16 febbraio era di 2,8 milioni di euro. Inciso: le ritenute Irpef di uno stipendio si versano il mese seguente. Per le scadenze federali gli stipendi di settembre e ottobre potevano essere pagati entro il 16 dicembre e se quindi pagati entro il 16 dicembre, ma dopo ottobre, le relative ritenute Irpef non rientravano nel rateizzo legge di bilancio, stessa cosa per le ritenute relative agli stipendi di novembre e dicembre che andavano pagati entro il 16 febbraio del 2023. Quindi, che abbia o meno usufruito del decreto “Salva-calcio”, la Reggina doveva ottemperare a questi versamenti. È comunque il collegio della Fallimentare a scrivere l’importo preciso, definito “considerevole”: 2.896.708,94, così c’è scritto nella sentenza che ha come data il 16 febbraio, cioè la decisione assunta proprio nel giorno di scadenza federale. Ma perché la Reggina chiede(va) al tribunale di autorizzarla al pagamento? Perché a dicembre aveva presentato domanda per avviare una speciale procedura di concordato nella quale i debiti vengono sterilizzati, cioè in sostanza non possono essere aggrediti. Un’operazione di ristrutturazione patrimoniale che deve essere autorizzata dal Tribunale: il club è ancora in attesa di una risposta, e confida nell’omologa. Poiché però c’era questa scadenza del 16 febbraio, aveva chiesto di essere intanto autorizzata a metter mano al portafoglio. Autorizzazione negata, motivata con vari interessanti punti dal collegio.
La sentenza. Al primo punto c’è scritto: “Non risulta possibile avere certezza alcuna in merito alla possibilità che la società possa assicurare il soddisfacimento integrale di tutti i crediti assistiti da una causa di prelazione di grado antergato rispetto a quello di Inps e Agenzia delle Entrate Riscossione”. Secondo punto: “I crediti contributivi e tributari non rientrano tra quelli “essenziali” per la prosecuzione dell’attività d’impresa né tra quelli “funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”. Terzo punto: “Il considerevole importo (pari ad euro 2.896.708,94) di cui si chiede autorizzarsi il pagamento rischia di intaccare la garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ex art. 2740 c.c.”. Quarto punto: “Il commissario ha espresso parere negativo in ordine all’accoglimento della domanda”. Quinto punto: “Le norme dell’ordinamento sportivo non possono derogare nemmeno implicitamente all’applicazione della disciplina dell’ordinamento statale ovvero comportarne la sua disapplicazione”. Tra tutti, colpiscono due punti. Il pagamento di questi debiti non impattano nella prosecuzione dell’attività e l’ordinamento sportivo non può derogare da quello statale. Sono i due punti cardine di una bussola come impazzita: la scelta della giustizia sportiva tra l’uno o l’altro porterà comunque a una strada senza ritorno.