Ginnastica ritmica, processo Maccarani all’ultimo atto. Le accuse sommarie al ct delle Farfalle, il ruolo di Tecchi e la mano del Coni

Venerdì a Roma il tribunale della Federginnastica emetterà il verdetto dopo le rivelazioni di due ex ginnaste su presunti abusi psicofisici subiti a Desio. Le tappe di una vicenda e il rischio del capro espiatorio
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L’ultima udienza, poi la camera di consiglio, infine il verdetto: venerdì a Roma si consumerà l’ultimo atto del processo a Emanuela Maccarani, l’allenatrice delle Farfalle azzurre ed ex direttrice dell’Accademia federale di Desio, accusata da alcune ex allieve (Nina Corradini e Anna Basta) di abusi e violenze psicofisiche. Le rivelazioni l’hanno dipinta come una sorta di aguzzina mentre altre allenatrici e le atlete (e anche ex) della nazionale azzurra hanno difeso il ct della nazionale di ginnastica ritmica che sarà giudicata dal collegio del tribunale della Federginnastica. Il quadro dipinto dalla pioggia di rivelazioni (in specie pubbliche) cadute a cascata appare però diverso da quello invece emerso nel corso di questi mesi dalle carte processuali e dall’istruttoria. I diversi pesi come si bilanceranno in un giudizio così tanto atteso? Sarà verdetto sereno, non condizionato dalla pressione mediatica né dal ruolo e dalla figura della Maccarani? Le domande penzolano nell’aria, un’aria tossica che da undici mesi ha avvolto non solo tutto il mondo della ginnastica ritmica azzurra ma che ha anche investito i vertici dello sport italiano, dal ministro Abodi al presidente del Coni Malagò.

Emersa come un’ombra a ottobre 2022, la vicenda si era poi allargata in un’imbarazzante macchia d’olio a fine anno. Scoppiata come una bomba al tritolo all’inizio del nuovo, sarebbe poi deflagrata su un campo di battaglia diviso tra accusatori e garantisti. Una vicenda accompagnata da denunce, rivelazioni e petizioni divise tra difesa e attacco, pompata dai mass-media e propagatasi in un tam-tam social. Sospesa in una sorta di gogna continua, incardinata in indagini, inchieste, procedimenti (sportivi e penali), inaugurata prima dell’inizio della primavera con un roboante battage mediatico, è proseguita nei mesi successivi senza però più troppa enfasi e slancio. Attenzione e tensione risalgono però adesso, perché adesso la delicatissima vicenda si avvicina all’atto finale. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato da un tornado: più che incollarne i cocci avrebbe bisogno di un delicatissimo intervento di kintsugi, la secolare arte giapponese che ridà (nuova) vita agli oggetti valorizzandone le fratture. La vicenda è seria e complessa, non si può certo chiuderla con un semplice verdetto di poche righe. Che sia di condanna o di assoluzione.

La vicenda. La vicenda è legata al mondo della ginnastica ritmica italiana, o meglio legata alla nazionale italiana di ginnastica ritmica, o meglio ancora: alla conduzione, alla direzione e alla guida di quelle diverse squadre di “Farfalle” tricolori che negli anni hanno raccolto sorrisi, seguito, successi e medaglie, per inciso – ma non è questo certo il punto – mondiali e olimpiche. Dentro questa storia al plurale c’è una persona finita sul banco degli imputati: Emanuela Maccarani (anche la vice Olga Tishina, alla quale nel deferimento sono state poi addossate le principali responsabilità notificate però nel pre-deferimento alla Maccarani: quindi soggetti accomunati nello stesso procedimento ma per distinte e diverse responsabilità) accusata di presunti abusi psicologici e presunti atteggiamenti vessatori che avrebbero provocato nel tempo disturbi alimentari e psicologici ad alcune atlete fuoriuscite o allontanatesi dal giro della Nazionale e che, anni dopo la fuoriuscita o il volontario allontanamento, sono venute allo scoperto denunciando – anche con la pubblicazione di un libro, con post sui social e interviste – i metodi della direttrice tecnica del centro federale di Desio nonché allenatrice della Nazionale italiana.

Le accuse nel deferimento. Al ruolo di Emanuela Maccarani è indissolubilmente legato il volo delle “Farfalle” tricolori: il commissario tecnico più vincente nella storia dello sport italiano – non solo quindi della ginnastica – diventato come una sorta di capro espiatorio dell’intero movimento, messo all’indice, accusato e deferito per “metodi di allenamento non conformi ai doveri di correttezza e professionalità, ponendo in essere pressioni psicologiche e provocando in alcune ginnaste l’insorgere di disturbi alimentari e psicologici”. Accuse di abusi, anche di pressioni mentali, riferite nel deferimento in un intervallo di tempo compreso tra estate 2019 e agosto 2020, accuse manifestate con una sorta di tam-tam mediatico però solo da ottobre 2022, prima da una ex ginnasta (Nina Corradini) figlia di un giornalista e poi autrice di un libro, ex argento europeo juniores nel 2017 mai presente tra le titolari delle Farfalle e che dice di aver scelto la via mediatica «affinché quello che ho subito non capiti ad altre», non sapendo dell’esistenza di una procura federale né tantomeno di un tribunale federale. Poi da quelle di un’altra ex ginnasta (Anna Basta) che ha rilanciato le accuse (con annesso disagio psicofisico) denunciandole con una serie di post via social – entrambe nell’audizione in Procura si sono fatte accompagnare dagli avvocati – lei sì nel giro delle “Farfalle” probabili olimpiche di un’edizione dell’Olimpiade poi rinviata per Covid e alla quale non ha partecipato l’anno dopo.

Il tribunale federale e la denuncia del 2020. Per il tribunale federale il dies a quo sta nel clamore mediatico che aveva ormai avvolto la vicenda: dunque le accuse via stampa più pregnanti di quelle avanzate davanti alla procura federale che in un primo momento aveva archiviato. Procura che poi ha avanzato accuse sostanzialmente generiche: le ha dilatate a 23 righe nel deferimento dopo le appena 13 spese nel pre-deferimento violando però così – sostiene la difesa – l’elementare regola del contraddittorio. Inoltre la procura federale non ha messo una riga di nero su bianco al termine dei tanti interrogatori e delle prime due udienze. Non una riga, come forse se si avesse timore, come se si avesse paura di “impegnare” la Federazione ginnastica italiana mentre intanto il suo presidente, al secondo mandato, è in campagna elettorale per assicurarsi la terza volta sul trono della ginnastica azzurra. Secondo la difesa della Maccarani, tra le altre cose, oltre a contenere delle contestazioni infondate, il deferimento sarebbe improponibile perché i fatti portati a conoscenza della Procura a fine ottobre 2022 sono fatti noti alla Federazione Ginnastica Italiana da luglio 2020. Lo afferma nella sua deposizione (9 novembre 2022) Anna Basta, una delle ginnaste accusatrici e lo scrive l’avvocato della ginnasta in un allegato depositato agli atti la settimana successiva. Dunque, tra tutti i soggetti non legati – direttamente e indirettamente – alla Federginnastica, è proprio l’avvocato della ginnasta-accusatrice a metterlo agli atti: ne discenderebbe che i fatti (veri o falsi) contestati erano a conoscenza della federazione già da luglio 2020. Come mai all’epoca non fu aperta quantomeno un’indagine? Perché all’epoca l’avvocato della ginnasta o la stessa ginnasta non rivelarono nulla anche pubblicamente? Le domande si legano a una questione procedurale rimarcata da precedenti pronunciamenti del Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni secondo cui la tempestività dell’azione disciplinare non può restare “nella libera disponibilità della Procura perché contrasta sia con l’effettività del diritto di difesa dell’incolpato sia con la funzione deterrente del procedimento”. Procedimento che per la difesa sarebbe dunque improponibile. Tesi rigettata dal tribunale federale. Si è andati avanti. Anche sotto la spinta di un incessante battage mediatico.

La Maccarani e il presidente Tecchi. Saette e fulmini scagliati contro il ct della nazionale e direttore del centro federale di Desio senza però che appunti e rilievi siano mai stati mossi, avanzati e documentati nella sostanza dalla Procura federale ad esempio nei confronti della Federazione italiana di ginnastica o del suo presidente Gherardo Tecchi che, dopo aver commissariato il centro federale di Desio e averne assunto la direzione temporanea, ha però lasciato a Maccarani il ruolo di allenatrice della nazionale che intanto ad agosto 2023 sulla pedana dei Mondiali a Valencia ha conquistato il bronzo e centrato l’agognata qualificazione olimpica nonostante i veleni e il peso di un procedimento incombente che da mesi avvolge e scuote il mondo azzurro della ginnastica ritmica e non solo il ct della nazionale.

L’ultimo atto. Venerdì 29 settembre si terrà l’ultima udienza del processo sportivo (l’indagine penale avviata dalla Procura della Repubblica di Monza è ancora nella fase istruttoria), il collegio difensivo della Maccarani (gli avvocati Danila De Domenico, Marco Laudani e Avilio Presutti) aveva chiesto la sospensione del procedimento sportivo in attesa che quello giudiziario arrivasse almeno a stabilire se ci sia da procedere o archiviare (gli esempi del mondo calcistico indicano che le pieghe giudiziarie spesso prendono direzioni diverse rispetto alle determinazioni della giustizia sportiva): dopo il dibattimento nel quale la difesa avanzerà ancora l’istanza di ammissione di testi (ad esempio dello psicologo e del dietista che hanno seguito le atlete della ritmica a Desio, e poi di atlete ed ex atlete della nazionale), la richiesta di nullità del deferimento ed in ultima battuta di completa assoluzione, e dopo che la Procura federale trarrà le proprie conclusioni presentando le proprie richieste, il collegio del tribunale della Federginnastica si riunirà in camera di consiglio per decidere, scrivere, emettere il verdetto. Il ventaglio delle ipotesi va dal proscioglimento all’ammenda, dalla squalifica fino alla radiazione.

La procura e il collegio del tribunale. A formulare la richiesta sarà la procura federale composta dal presidente Michele Rossetti, dai procuratori aggiunti Lorenza Mel e Giorgio Papotti e da Livia Rossi, procuratore nazionale presso la Procura Generale dello Sport del Coni che il presidente del Coni Giovanni Malagò ha successivamente “prestato” alla Federginnastica per “dare ancor maggiore trasparenza al procedimento” su richiesta del procuratore capo Rossetti, accusato dal papà di un’altra ginnasta di aver insabbiato nel 2018 un’altra denuncia. A novembre, dopo la prima valanga di accuse e le prime indagini della Procura della FGI, proprio Rossetti aveva detto che mancavano riscontri per proseguire: il dietrofront dopo una nuova pioggia di rivelazioni e pressioni. E dunque la nuova fase d’indagine portata avanti dai procuratori federali e da quelli del Coni; un collegio per il quale valorosi e volontari componenti lavorano per prestigio e non certo per altro toccheranno le conclusioni anche sotto la scure del clamore mediatico e dei riflettori, clamore e riflettori cui non sono certo abituati. E al collegio del tribunale toccherà il verdetto. Una patata bollente tra le mani. Qualsiasi decisione assumerà (assoluzione, squalifica, radiazione) sarà una decisione che farà discutere, destinata a lasciare scorie e veleni, a seminare nuove ombre e spargere altri sospetti misti a retro-pensieri. Il collegio del tribunale federale è composto dal presidente Marco Leoni e dagli avvocati Daniela Corengia (presidente dell’Ordine degli avvocati di Como) e Antonio Cippone: anche loro prestano la propria opera alla federazione per solo prestigio, anche loro sono professionisti poco abituati a clamore ed esposizione mediatica. La ginnastica però non è il calcio.

Colpevole o capro espiatorio? Su di loro peserà la responsabilità del verdetto di un processo diventato nel corso dei mesi il “processo Maccarani”, il processo a una persona e un allenatore e non magari il momento giusto, utile e necessario invece per interrogarsi su un movimento, su uno sport come la ginnastica che, come altri, specie se svolto a livello agonistico e ad alto livello – un livello olimpico, al quale vi arrivano solo pochissime atlete o atleti – comporta duri sacrifici, continue privazioni e massimo impegno psicofisico, per giunta in una fascia d’età che è ancora quella dell’adolescenza se non dell’infanzia: decideranno sulla persona o sull’intero sistema, decideranno secondo atti e giustizia, senza sentire il peso di chi “difende” la Maccarani solo perché è l’allenatrice pluridecorata dello sport italiano e senza sentire il peso di chi invece vuole e si aspetta invece una punizione esemplare per la (ex) direttrice di un movimento, tirando sassi solo contro il capro espiatorio di turno?

Il sistema. Ciò che più è mancato e che più addolora in questi undici mesi è stata la mancanza di un approccio di equilibrio e di fondo alla questione che non è (solo) e non può essere sbrigativamente la questione Maccarani ma piuttosto e soprattutto la questione di un sistema sportivo come quello della ginnastica (ritmica, ma anche artistica, e anche da questo versante sono giunte testimonianze, dalla Ferrari alla Ferlito, dopo l’esplosione del caso “Farfalle”) che si fonda su regole precise, dettate dalla foga agonistica e dal risultato sportivo, che riguarda una èlite di atlete (e atleti) e che coinvolge e investe le responsabilità e le coscienze del mondo politico, sociale, sportivo e anche familiare italiano.

La specificità e il modello dell’Est. È uno sport nel quale i criteri di scelta delle atlete e il voto alle prestazioni è dettato da norme internazionali e da protocolli certo sindacabili, ma che si ripetono e vengono copiati (specie il modello dell’Est) da anni. Il concetto di disciplina ferrea attraverso cui si selezionano atleti d’alto livello riguarda poi tutti gli sport ed è insito nei massimi livelli agonistici. Quello che rende il caso della ginnastica più complesso e delicato di altri dipende dal fatto che in questo specifico caso, e in pochi altri sport con esigenze analoghe, determinati tipi di pressioni, – conta il limite di peso che si chiede, conta il modo con cui l’obiettivo si persegue – intervengono in un’età per le ragazze particolare: quando cioè sono ancora minorenni e nel delicato equilibrio dello sviluppo.

Omettere questo stato dell’arte significa presentare una distratta, distante e distopica realtà sulla quale far piombare un giudizio (assoluzione o condanna) che non risolverebbe e non risolverà al fondo la questione col semplice giudizio sulla Maccarani. È una questione che investe invece responsabilità diffuse e spesso conniventi o interessate di soggetti che a volte escono dall’ombra perché il risultato o le aspettative non sono state raggiunte, perché ci si vuol togliere qualche sassolino o far pagare qualche presunto sgarbo, perché una nuova ribalta può sostituire quella che non si è riusciti a raggiungere o anche perché il risultato viene prima e a costo di tutto, innescando così a volte inconsciamente un perverso e confusionario meccanismo. Il mondo della ginnastica non è certo un paradiso, non è però nemmeno un inferno. Mettere sullo stesso piano l’allenamento e la preparazione che si svolgono nel centro della Nazionale (un’èlite, sono cinque le titolari e cinque le riserve nel caso delle Farfalle) a quelli che si tengono nei centri e nelle palestre (federali e private) è un esercizio corretto, è adatto ad arrivare al fondo della questione che sembra essere diventata invece solo e semplicemente la questione Maccarani?

Non esiste alcuna via semplice che porta dalla terra alle stelle. La frase è di Seneca, è di secoli fa. È una frase che ritorna ogni volta anche nello sport, specie in quelli che comportano un esercizio continuo fatto di ore e ore di allenamento, una preparazione e un aspetto fisico (legato ad esempio al peso) connessi allo svolgimento di quella specifica attività sportiva, un’età particolare e in fascia scolare perché poi dopo si “è vecchi”. Un successo che è solo sportivo, che non ha risvolti economici e profitto. Lo si fa perché ci si crede. Lo si fa per lo sport e per la gloria, insomma.

Da anni, da decenni, si discute in ambito mondiale su determinati aspetti di alcuni sport, su regole e criteri fissati dal sistema e non certo da una federazione, da un tecnico, da un atleta. Da anni se ne dibatte e se ne discute, specie a proposito di devianze, abusi, fisici, psicologici, sessuali, specie su atleti in giovane età e di alto livello, dimenticando però ciò che invece avviene nella vita sportiva (e non altamente agonistica) di milioni di giovani atlete e atleti: casi, vicende, storie affilate e preoccupanti che però non fanno mai notizia. Conta solo la ribalta, contano le stelle.

Non si è spenta ad esempio l’eco della denuncia della Biles, la ginnasta campionessa olimpica e mondiale statunitense che si è fermata denunciando presunti abusi sessuali di un allenatore. E cosa dire del libro di Agassi nei quali l’ex tennista denuncia i metodi del papà-allenatore? E come dimenticare, tornando assai indietro nel tempo, le denunce postume perché costretta e segregata, di Nadia Comaneci, l’esile bambina-ginnasta diventata il simbolo del regime di Ceausescu, in fuga dalla sua terra anni dopo come un qualsiasi rifugiato che chiede di respirare, vivere e mettersi alle spalle un incubo? E, solo per restare in tema di peso, cosa dovrebbero dire i pugili – atleti robusti e potenti – che spesso sono costretti a diete ferree pur di rientrare nel peso e nella propria categoria per poter salire sul ring? È il caso anche dei fantini o dei canottieri: anche loro devono stare dentro un certo peso. Passando dal peso alle parole, mai qualcuno ha messo il naso e le orecchie in un allenamento di una squadra di calcio, di basket, di volley o altro: lì non sono mai volati improperi, inviti coloriti, rimproveri e addirittura bestemmie, lì la questione della forma fisica non ha mai avuto albergo?

Un problema culturale, sociale, sportivo. Certo, un conto è avere a che fare con professionisti, per giunta in età più matura, un conto invece occuparsi di sport non professionistici e che in palio mettono solo – e per pochi – medaglie e gloria, sport nel quale si cimentano bambini e bambine. È però invece (lo sarebbe) una bestemmia foderarsi occhi e orecchie, mettere tutto sotto la sabbia e magari agitarla, fare scorrere nella clessidra il destino di un singolo pensando che si risolva la natura di una questione che è dell’intero sistema e che si poggia anche sulle aspettative che spesso le famiglie ripongono nei propri bimbi e ragazzi. Il problema non è solo in Italia o in Giappone, in Francia o negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Cina. È una questione planetaria. Che riemerge ogni volta davanti a una denuncia oppure davanti alla pubblicazione di un nuovo rapporto sulla violenza psicologica e fisica nel mondo dello sport. E sulle pressioni che vi regnano. In un rapporto svizzero ad esempio si legge: “Anche se i manuali con le regole delle discipline sportive tecnico-compositorie, (ginnastica ritmica e artistica, tuffi, nuoto artistico, danza, pattinaggio di figura), non contengono direttive sugli ideali fisici, le atlete vengono selezionate secondo la loro altezza e la forma del loro corpo. Alcuni studi mostrano, inoltre, che al più tardi all’inizio dei cambiamenti fisici dovuti all’adolescenza iniziano il controllo del peso, le misurazioni della massa grassa e le limitazioni e/o le prescrizioni di diete”.

L’aiuto agli ex atleti e non solo ai campioni in attività. Quello che avviene nelle palestre spesso, se non sempre, avviene senza la luce dei riflettori. Quello che percepisce e vive una bambina o un bambino di 10 anni non è quello che vive e percepisce uno di 25 anni. Sono passaggi non facili: bambini e bambine di 8-10 anni che dai giocattoli passano agli attrezzi, che lasciano le famiglie per entrare in una sorta di collegio, che vivono continue e fisiologiche fragilità soprattutto sotto il peso delle proprie e ancor peggio altrui aspettative, non certo ultime quelle delle famiglie. Se il risultato non arriva, se il sogno non si realizza, spesso viene giù il mondo, si è colpiti e abbattuti dalla sensazione del fallimento. È o non è così? E non sarebbe giusto, visto che da tanto se ne discute, che magari un’assistenza psicologica venga prestata a tutti quegli atleti e a quelle atlete che in tenera età hanno coltivato un sogno, hanno lavorato duramente con privazioni e sacrifici per conseguire un risultato che poi però non è arrivato semplicemente perché non tutti possono arrivare ad un livello come quello di atleti olimpici, per giunta in discipline come la ginnastica? Possibile poi che le famiglie non si accorgano mai di certi disagi, di certi squilibri, che non colgano quei messaggi, anche nascosti, che un figlio trasmette e che un genitore dovrebbe recepire in anticipo? Domande, certo. Ad esempio è certo che il centro federale di Desio, il centro dove da anni si allenano le “Farfalle” azzurre – una ristrettissima èlite di atlete selezionate – non sia e non possa essere un centro sportivo qualsiasi. Certo è che l’allenatore-allenatrice di questo gruppo debba spronarle, allenarle, motivarle e sostenerle in modo corretto, tenendo conto della specificità dell’attività e dei traguardi da raggiungere. Ma quali sono i modi e quali sono le modalità, quali sono le responsabilità specifiche? Chi le fissa, chi le controlla, chi le valuta?

Abodi, le denunce e le petizioni. «Il confine tra rigore e sconfinamento è una linea sottile» aveva detto mesi fa il ministro dello Sport Andrea Abodi intervenendo sul caso specifico quando il dibattito pubblico si era intanto già polarizzato tra la solidarietà alle “vittime” dalla cui parte si è schierata gran parte dell’opinione pubblica (anche oltre 200 denunce di atlete per abusi piscologici, denunce raccolte da un’organizzazione di volontariato “Change the Game”) e di fiducia nella Maccarani che ha ricevuto il sostegno pubblico delle attuali ragazze della Nazionale di ritmica e dei loro genitori (anche una petizione sulla piattaforma online Change.org da cui poi ha preso le distanze la Federginnastica). Gli schieramenti manichei però nascondono i contenuti e i contorni di un problema complesso. Se vi sono abusi bisogna perseguirli e sanzionarli a patto però di avere chiaro che il problema è collegato a una cultura che permea l’intero contesto internazionale e nazionale: giudici di gara, tecnici, atleti, dirigenti e familiari. Il cambiamento – se cambiamento deve essere – non può che passare per una spinta che parta dall’alto, dalla federazione internazionale e da quella nazionale. Commissariare solo un singolo centro, rimuovere un singolo direttore tecnico, espellere un’atleta, si traduce solo nel tamponare un sintomo senza curare una malattia che ha radici profonde. Tolto un tecnico se ne farà un altro. E il nuovo tecnico cosa farà per raggiungere il miglior risultato, quale metodo adotterà?

La genesi dell’inchiesta. Come, perché e quando nasce il caso Maccarani? Nasce nell’ottobre scorso quando l’ex ginnasta Nina Corradini muove delle accuse – attraverso un articolo e poi un’intervista (cui seguirà la pubblicazione di un libro) – che si riferiscono a due anni prima, quando era cioè nella squadra riserve delle “Farfalle” di stanza nel centro federale di Desio e che dunque – secondo la difesa – non aveva contatti diretti e continui con la Maccarani che si occupava della prima squadra. Ascoltata poi in dibattimento – contrariamente a quanto detto pubblicamente – preciserà che né lei né le altre destinatarie dei (presunti) commenti in sede di controllo del peso ”abbiamo mai pensato di parlare con la Maccarani” e sul punto un’altra ginnasta (Paris, compagna di stanza a Desio della Corradini) dirà che “né durante il periodo nel quale Nina è stata in accademia né poi, mi ha mai riferito di abusi e vessazioni nei suoi confronti che in quelli di altre ginnaste”. Alle rivelazioni della Corradini si aggiungono poi quelle di Anna Basta, un’altra ex che ora dirige una palestra di ginnastica e che nel 2020 era nella squadra nazionale a Desio in preparazione delle Olimpiadi poi rinviate di un anno: dà il via a una serie di dichiarazioni e rivelazioni, specie attraverso i social denuncia abusi e violenze psicofisiche, «a Desio pesate nude e umiliate». Un’altra ginnasta (Duranti) dirà poi: “Apprendere da Anna quelle cose ci ha lasciato sbigottite anchè perché lei, sempre espansiva, non ci ha mai detto nulla”. E un’altra ginnasta (Santandrea, compagna di stanza della Basta): “I racconti di Anna non rispondono a verità”. La giostra intanto parte: dopo la prima indagine chiusa ai primi di novembre dal procuratore federale perchè priva di riscontri tali per arrivare a un deferimento, ne inizia un’altra, anche sotto il peso del clamore mediatico e degli imbarazzi della Federginnastica. La Maccarani è all’indice mentre il mondo politico, sportivo e sociale si anima e divide. Si aggiungono rivelazioni e ricordi, attacchi e difese, mentre intanto indaga anche la Procura della Repubblica di Brescia. Si arriva così a fine 2022: il 29 dicembre anche la Procura della Repubblica di Monza apre un’inchiesta, il 4 gennaio arriva il pre-deferimento sportivo, venti giorni dopo il deferimento federale. Un mese dopo parte il processo. Dalle audizioni e dal dibattimento emergono due fronti: da una parte il gruppo delle atlete (Varallo, Russo, Duranti, Zambolin, Vignolini, Centofanti, Giovannelli, Maurelli, Mogurean, Naclerio, Ottaviani, Paris, Santandrea, Segatori) che ritiene di non aver ricevuto alcun sopruso ma che, senza fare però sconti alla verità, ammette che c’erano espressioni colorite a Desio ma sempre funzionali a correggere “errori ripetuti e gravi”, mai “diretti contro qualcuno in particolare” (Duranti) e sempre per “motivare l’atleta e mai denigrarlo” (Centofanti); dall’altra parte la Basta e la Corradini che pubblicamente e mediaticamente vanno all’attacco mentre poi nel dibattimento sembrano calare un po’ il raggio delle accuse. Emergono particolari. Ad esempio il testo di un messaggio di testo inviato dalla Basta alla Maccarani prima della bufera, “ti rubo solo qualche minuto per ringraziarti pe tutto quest’anno. Per aver creduto in me nel momento in cui io ho dubitato e per avermi spronato. Ti chiedo scusa per certe mie reazioni…”. A proposito del modalità del peso delle ginnaste, Anna Basta rivelerà che veniva svolto con le atlete vestite di solo intimo “per scelta delle atlete per sottrarre milligrammi alla bilancia”.

Per la difesa della Maccarani “la Maccarani non ha mai pesato nesun atleta e non è vero che non ha chiesto alla Federazione il suo supporto. La Maccarani non ha mai allenato la Corradini che era nella squadra riserve pur se invece la Corradini dice di aver ricevuto commenti sulla sua forma fisica. E quanto alla Basta è poco credibile: se si leggono i messaggi che prima della tempesta si scambiava con la Maccarani e le dichiarazioni nel corso della bufera si fa fatica a credere che siano la stessa persona”. La difesa poi cita la deposizione dello psicologo Mauro Gatti che, a proposito della Basta, dice: “Durante la mia professione ho visto molte volte questo tipo di disagio in atleti di varie discipline. Ho collocato il disagio di Anna nella normalità di queste situazioni perché l’attività agonistica di questo tipo è molto impegnativa. Nei miei colloqui a Desio ho riscontrato una situazione di normalità. Salvo la Basta nessuna altra atleta mi ha riferito disagi legati al cibo o alla pesatura. Ho parlato anche con Nina Corradini ma non ho mai ricevuto da lei indicazioni sul peso e sulla pesatura”. E sull’abbandono della Basta che lascia Desio e la nazionale a fine 2020. “Se i giochi olimpici non fossero stati rimandati probabilmente Anna avrebbe tenuto”. Il team manager Paola Porfiri rivela nella sua audizione che il nutrizionista a Desio l’ha voluto la Maccarani. Per la difesa, a Desio c’erano un dietista (Marco Buccianti, il figlio del compagno dell’ex ct) e uno psicologo, e soprattutto la Maccarani si “è sempre coordinata con la Federazione tramite appunto la Porfiri”. E la pesa (attività abituale nella disciplina) “mai sarebbe avvenuta in presenza della Maccarani e mai effettuata da lei”. Sempre per la difesa, le modalità della pesatura sarebbero da contestualizzare in un ambiente nel quale le ragazze vivono insieme notte e giorno, tutto l’anno. E anche sulle espressioni a volte colorite, sostiene che ci sarebbe da contestualizzare.

La penultima udienza. L’ultimo atto della vicenda si terrà dunque venerdì. Si riparte dall’udienza di luglio, nella quale la prima a essere ascoltata – presente anche la Maccarani – era stata stata Nina Corradini. «Sono andata via perché non riuscivo più a stare a Desio. È successo quando mia madre è stata trasferita in Francia. Non riuscendo più a star lì ho chiesto di poter andare con lei. Dopo sono andata anche da uno psicologo dal quale sono in cura tutt’oggi». La Corradini aveva poi confermato le parole poco gentili rivoltele ogni mattina (“a turno da tutte le allenatrici, da Olga Tishina e a volte anche dalla Maccarani”) dopo la colazione durante le operazioni di peso. «Ho un ricordo negativo perché anche se aumentavamo di uno o due etti venivano fatti commenti ad alta voce e davanti a tutti tipo “come fai a guardarti allo specchio?” oppure “non ti vergogni?”. La maggior parte delle volte erano riferiti a me, Anna Basta e Talisa Torretti». Era stato poi il turno di Martina Centofanti, figlia di Felice ex giocatore dell’Inter e nella nazionale di ginnastica ritmica. Le sue parole come un atto d’accusa nei confronti di Anna Basta: «Anna provava rancore nei nostri confronti per un suo insuccesso personale, era invidiosa. Non ha mai accettato l’esser scartata dalla prima squadra nell’anno olimpico. Lei però fu esclusa, non definitivamente, non solo per la forma fisica, ma anche per motivi tecnici. Lei però non lo accettava avendo questo carattere molto particolare, si sentiva protagonista in tutto, non era capace di accettare le critiche». Parola ad accusa e difesa.

Le conclusioni. La parola e le accuse di alcune ginnaste, a volte anche contraddittorie (Basta, Corradini cui si aggiungono altre, tra cui Galtarossa) contro la parola di altre ginnaste (chi è in Nazionale avrà scelto un profilo più soft solo per ragioni di convenienza?): in fondo il processo sarà deciso su questi elementi. Riuscirà a segnare uno spartiacque? Condannare o assolvere Emanuela Maccarani dissolverà come d’incanto tutti i soffocanti nodi legati al mondo della ginnastica?

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