Gravina interrogato dalla Procura, alla vigilia la Figc deferisce i club sulle plusvalenze. E Infantino evita il presidente federale

Domani il presidente federale sarà ascoltato nell'ambito dell'indagine Prisma sui conti della Juventus. Dopo mesi di letargo e dopo le segnalazioni della Covisoc, Chinè deferisce cinque club di A: Juve, Napoli, Empoli, Genoa e Sampdoria. Oggi sorteggio Mondiale, l'Italia a Doha rappresentata da Brunelli. Al convegno su Franchi il presidente della Fifa non incrocerà Gravina
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Guai a fissare date sul calendario, si rischia di restare lì impietriti, a dover cambiare prospettiva, agenda, appuntamenti. Prendete il caso di Gravina: era pronto a volare in Qatar per il sorteggio Mondiale, la sua Italia lì pronta a una nuova conquista. E invece niente, gli è toccato restare a casa. A Roma, blindato in via Allegri, lì dove domani sarà ascoltato dalla magistratura piemontese sull’indagine Prisma, sui conti della Juve. Tempi da cambiare, tempistica bizzarra. Così, dopo un lungo letargo della giustizia sportiva, ecco che il giorno prima dell’audizione arriva il deferimento federale della Juve e di altri club (Napoli, Genoa, Samp ed Empoli i club di A) sulle operazioni di plusvalenza. Magari un modo per farsi trovare preparati. Non tutto va sempre come si pensa. L’ha capito forse sulla propria pelle Gravina. Altro che sorteggio Fifa. La Fifa magari stavolta è altra cosa. Il suo biglietto aereo è rimasto in tasca, nervosamente l’aveva appallottolato pietrificato (accanto a lui Ghirelli e Calcagno, la vetta della vetusta piramide calcistica federale tricolore) in tribuna mentre sul prato del Barbera la rasoiata del macedone Trajkovski gonfiava la rete dell’Italia: per la seconda volta consecutiva niente Mondiale per la Nazionale italiana quattro volte campione del Mondo, niente prima volta di Gabriele Gravina da presidente della Federazione, proprio l’uomo eletto dalle componenti del calcio italiano all’indomani della disfatta contro la Svezia. «Un Mondiale senza l’Italia è tragico», disse all’epoca Gianni Infantino, presidente della Fifa che qualche mese dopo – era l’autunno del 2018 – avrebbe presenziato all’elezione di Gravina come numero uno della Figc. Doveva essere il giorno della ripartenza, della ricostruzione, del riscatto, della rivincita. Si chiudeva quel giorno il traghettamento del commissario Fabbricini seguito al ribaltamento di Tavecchio, ribaltamento azionato proprio da Gravina, all’epoca presidente della Lega Pro, l’accordo siglato con una scrittura privata benedetta da Giancarlo Abete e pare custodita da Giancarlo Viglione, accordo raggiunto grazie alla confluenza dell’Aic, dell’Aiac, dell’Aia sull’ex presidente del Castel di Sangro che due anni dopo avrebbe dovuto cedere il testimone a Sibilia, l’altro regista del “ribaltamento Tavecchio” e adesso ribaltato pure lui grazie ad un accordo di Gravina anche con Tavecchio. Un accordo a più mani. Come sempre. «Cinque volte in ventuno anni: non c’è in Italia una federazione più commissariata di quella del calcio: in questo salone vedo le persone giuste per ripartire»: così quel giorno del 2018 si pronunciò chi aveva fatto strada a quell’accordo. Erano le parole di Gianni Malagò, all’epoca numero uno del Coni e numero uno del Coni pure adesso. Adesso mantiene il silenzio, preso com’è dalle beghe di Milano-Cortina: c’è da cambiare l’ad della Fondazione, in uscita Vincenzo Novari, sottilmente vengono fatti circolare i nomi di Uva e Battisti mentre il nome del candidato (o meglio, della candidata) viene tenuto ancora sotto traccia. S’è limitato a qualche consiglio, proprio oggi al termine della Giunta nazionale. «Il presidente Gravina ha ricevuto una forte condivisione elettorale, ma al tempo stesso, un po’ come successe al Coni, è indispensabile nei momenti di complessità, facendo alcuni sforzi e magari qualche passo indietro, compattare la squadra. Mi riferisco alla Lega di A. Lo abbiamo auspicato, lo abbiamo suggerito, perché se ci sono interessi contrapposti non c’è alcuna possibilità che le cose si sistemino in modo strutturale. Gravina ci ha raccontato di un cronoprogramma interessante». Prova a correre, il presidente Figc.

Deferimenti e interrogatori. Se l’immaginava diverso questo fine settimana, Gabriele Gravina. Se l’immaginava a Doha, grande tra i grandi, pronto a commentare il sorteggio dei gironi, la sua Italia – l’Italia di cui è presidente del Club Italia – pronta alla conquista dei Mondiali. E invece nulla, il biglietto accartocciato, l’Italia rappresentata da Brunelli e lui asserragliato, costretto in via Allegri. Dove domani, in qualità di persona informata sui fatti, verrà ascoltato dal pm Marco Gianoglio, magistrato della Procura di Torino che da novembre lavora all’inchiesta “Prisma” sui conti e sui movimenti della Juventus, sugli stipendi dei calciatori e sulle operazioni di plusvalenza. “Sapeva la Figc di questi accordi sulle mensilità congelate? E sulle operazioni di mercato tali da definire il quadro dei conti del club? E la Procura federale cosa ha fatto quando la Covisoc a ottobre ha segnalato l’indagine aperta dalla Consob? Perché non si è mossa prima? Perché ha dovuto attendere le notizie di stampa? E cosa ha fatto la Covisoc? Potrebbero essere queste alcune delle domande che gli saranno rivolte, mentre proprio oggi primo d’aprile (passa per il giorno degli scherzi) la Procura federale ha deferito (protocollo 7506) al tribunale federale nazionale la Juventus, il Genoa, il Napoli, la Sampdoria, l’Empoli (questi i club di A coinvolti insieme ai dirigenti, insieme a Parma, Pisa, Pescara, Po Vercelli e quelli che furono Chievo e Novara, la posizione più delicata è per i due club di B mentre per le società di serie A dovrebbe risolversi tutto con un’ammenda e inibizione per i dirigenti deferiti) a completamento dell’indagine espletata nel procedimento disciplinare “Segnalazione della Co.Vi.So.C. in ordine alla valutazione degli effetti della cessione dei calciatori sui bilanci di alcune società professionistiche ai fini dell’iscrizione ai rispettivi campionati, iscritto nel registro dei procedimenti della Procura Federale in data 26 ottobre 2021 al n. 233pf21-22”.

DEFERIMENTI

Così il procuratore capo Giuseppe Chinè che è ancora capo Gabinetto del Mef. Si andrà a processo sportivo, lì le società proveranno a dimostrare come le operazioni di compravendita e le valutazioni economiche siano state effettuate rispettando valutazioni tecniche. Un campo minato. Difficile da dimostrare come siano stati artifici. Lo aveva detto proprio Gravina, mesi fa. Rispondendo piccato – guarda caso – anche ai rilievi di Gianni Infantino. «Ho parlato con Infantino, se ritiene che ci sia un criterio oggettivo contro le plusvalenze lo comunichi. Ho motivo di ritenere che non c’è, ma non voglio entrare nel merito dell’algoritmo. Ci sono leggi di mercato su cui nè io nè Infantino possiamo intervenire o incidere. I criteri oggettivi di oggi arriverebbero dalle leggi di mercato, che sono di natura soggettiva: nessun tribunale ordinario accetterà un criterio di questo tipo. Ci sono altre modalità alle quali stiamo lavorando, ma solo ai fini di valutazioni nostre interne, per esempio, basterebbe non considerare le plusvalenze ai fini dell’iscrizione ai campionati e dire che non possono impattare a livello di bilancio di società di capitali. Tra l’altro le licenze nazionali le dobbiamo mandare alla giunta del Coni, che le manda alla Covisoc: io ho ricevuto l’approvazione, sono state ritenute molto stringenti e severe, mi sembra che le modalità attraverso le quali procediamo siano chiare». Da mesi, assicura e rassicura. Solo dopo però che la Procura federale è stata “svegliata” dalle indagini di varie Procure, da Torino a Milano. «Dopo diversi mesi, forse anni, di veleni, illazioni e ipotesi varie, la posizione della Figc è che sia fatta chiarezza. Il concetto di plusvalenza è fondamentale nell’economia di mercato. Il tema e capire il modo in cui si arriva a valorizzare alcune plusvalenze. Stiamo lavorando a delle norme. Dobbiamo stare attenti a non confondere quelli che sono dati di bilancio cosiddetti a specchio, basarci solo su supposizioni è un terreno molto scivoloso». E così, proprio il giorno prima di essere ascoltato dal pm piemontese, ecco che la Figc di Gravina (e Chinè) presenta i deferimenti. Ci sarebbero tante domande da farsi e da porre, tante le parole ascoltate in questi giorni da opinionisti, giornalisti, dirigenti, calciatori sul presente e sul futuro del calcio italiano. Tra tutti i pensieri, basterebbe forse questo dell’ex bianconero e campione del Mondo, Barzagli. Il calcio italiano? «Abbiamo una Lega che non va d’accordo con la Figc, i settori giovanili dei club che pensano a vincere e non a crescere i talenti e gli arbitri che non sempre ricevono il giusto supporto. Servirebbe una persona che aiuti a superare le divisioni, ma non saprei chi». Magari deponendo la corona di fiori sulla tomba di Artemio Franchi lì dove è atteso domenica, Gravina troverà una risposta?

La finestra dal quinto piano. Non sarebbe in uscita invece Gabriele Gravina: almeno non si sente in uscita lui, asserragliato com’è al quinto piano di via Allegri guarda il mondo dalla finestra. Come un passante distratto davanti al disastro aspetta che la tempesta passi, che la propaganda (i media partner sempre in sella, del resto il “Io sto con Gravina e l’Italia” era stato titolato alla vigilia della sfida con la Macedonia, giorni di vigilia passati a rilasciare interviste «io non me ne vado in caso di eliminazione, non coltivo la cultura delle dimissioni come qualche mio predecessore», come presagio della sventura in arrivo) faccia come sempre i suoi effetti. Stordenti, come quelle parole pronunciate a caldo al Barbera, in quella sala stampa ridotta come un bunker, parole lunari subito dopo l’umiliante sconfitta al novantesimo. «Non me ne vado, devo difendere gli interessi della Nazionale e del calcio italiano, non è una sconfitta che determina certe scelte, dobbiamo capire cosa non va nel calcio italiano»: come se non fosse lui il capo del calcio italiano, come se non fosse lui il presidente del Club Italia (“organismo che riunisce le squadre nazionali e ne coordina la gestione delle attività”, così testuale sul sito Figc), incarico per il quale il consiglio federale dell’aprile 2021 (quello delle norme anti Superlega) gli ha riconosciuto uno stipendio da 240mila euro (lordi) l’anno, in aggiunta ai 36mila euro da presidente federale.

SCHERMATA

La scialuppa Mancini e la propaganda. Aggrappato a Roberto Mancini – se il ct avesse rimesso il mandato sarebbe tutto tornato sul tavolo, la tempesta non sarebbe passata in fretta, perché Mancini mette a disposizione il mandato e Gravina no? – pare affidandosi a una frase di Saramago (“La sconfitta ha qualcosa di positivo, non è definitiva”) ha così convinto il ct a restare al proprio posto. Altrimenti sarebbe stata una valanga, altrimenti sarebbe stato difficile mantenere il posto, almeno quello da presidente del Club Italia. E proprio per dare luce al ruolo, proprio per convincere che quei 240mila euro sono un investimento giusto, ecco sei giorni dopo (il 30 marzo) il titolo del dispaccio pubblicato sul sito federale (coraggio, c’è di che è esultare, uno studio pubblicato proprio oggi da “Osservatorio digitale” afferma come il sito della Figc sia il migliore tra tutti i siti web delle federazioni calcistiche europee): Primavera di successi per le giovanili azzurre. Gravina: “Risultati straordinari frutto del lavoro del Club Italia”. Sette giorni dopo sembra tutto già finito, l’Italia calcistica pensa al campionato di serie A mentre il presidente federale pensa al domani assicurando riforme e rinnovamento confrontandosi – assicurano i dispacci dal fronte – con la sua governance: il 73enne Ghirelli diventato vice-presidente federale dopo il buio di Calciopoli (da segretario Figc poi prosciolto fu però costretto alle dimissioni nel 2006), il 71enne Abete imposto da Gravina come nuovo presidente (senza voto in consiglio federale) della Lnd dove ha ripreso ruolo decisivo il 78enne Tavecchio, e il presidente dell’Aic Umberto Calcagno (diventato presidente dopo aver “convinto” Marco Tardelli a lasciar perdere velleità accettando l’incarico di direttore del centro tecnico azzurro – ancora in divenire – al Salaria Village) che come ricette per il rilancio oggi propone «le seconde squadre e più risorse ai vivai».

Silenzi e imbarazzi. Nel ginepraio italiano restano voci e silenzi da interpretare, invece. «Il calcio italiano ha bisogno di una serie di riforme per essere credibile e vincente, veniamo da una settimana delicata. Il risultato della Nazionale non è stato quello che tutti ci aspettavamo, questo ci impone una riflessione», ha detto la sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali con la quale da mesi Gravina ha ingaggiato un lungo e animato duello. Parole pronunciate alla vigilia della prima riunione del tavolo tecnico organizzato dal Governo (Mef, Mise, Dipartimento Sport, Agenzia Entrate) per individuare le misure del rilancio. Non c’era il pallone e non c’era Gravina, che da due anni chiede soldi, ristori (qualche volta con frasi robuste, “almeno un miliardo, quei soldi ci spettano, si tratta solo di mettersi d’accordo sul come” il virgolettato in un’intervista a “Il Corriere dello sport” a febbraio) aiuti di Stato. In silenzio per ora resta Gianni Malagò: il rapporto con il presidente della Figc appare meno saldo rispetto a qualche mese fa. Imbarazzo e sconcerto, non tanto per l’eliminazione quanto per come il numero uno del calcio si sia sottratto ad assunzioni di responsabilità e autocritica. Un atteggiamento imbarazzante: così la pensano anche gli uomini della politica romana mentre si susseguono scambi di opinione e di valutazione sul da farsi: qualcosa accadrà, solo questo per ora arriva sul taccuino. Che non registra posizioni ufficiali governative, eppure da mesi i segnali – da Palazzo Chigi al Dipartimento Sport, dal Mef al Mise – evidenziano come la politica federale di Gravina sia ritenuta senza fondamenta: basterebbe l’esempio del “Piano Fenice”, piano presentato la scorsa estate e subito appallottolato dal Governo, per capire l’aria che tira quando parla e promette Gravina che intanto al Club Italia ha spalancato le porte alla figlia del ministro Giorgetti. Gravina che prova a prendere boccate d’ossigeno, blindatosi com’è in consiglio federale dove conta sull’appoggio della LegaPro, della Lnd, dell’Aic e dell’Aiac. Certo non della Lega A che da mesi ha avviato la campagna del distacco. “Proposte sulla nazionale”: è la risposta in tre parole alle parole pronunciate da Gravina a commento dell’eliminazione, come se non aver rinviato una giornata di campionato (ma anche altrove è andata così) avesse deciso le sorti della nazionale azzurra. Martedì l’assemblea a Milano della Lega A esprimerà il proprio pensiero: la presidenza di Lorenzo Casini si avvia a diventare ancor più un problema per Gravina (che intanto ha mandato Cairo all’avanscoperta, pranzo con Casini la settimana scorsa a Roma, tavola apparecchiata da un qualificato dirigente del Mibact) stoppato dalla voglia di inserire l’indice di liquidità come criterio per l’ottenimento delle licenze nazionali. Al lavoro c’è la commissione interna dentro la quale lavorano i due consiglieri federali Marotta e Lotito, l’atalantino Marino, il milanista Scaroni, Dallocchio. Paletti e richieste precise sono state appuntate, come pure sul percorso della giustizia sportiva: venti di guerra continuano a spirare mentre Gravina aziona la mano della procura federale su De Laurentiis, l’altro presidente che con Lotito guida la “nuova era” di affrancamento in via Rosellini, lì dove non c’è più il fidato Dal Pino. Adesso c’è invece Casini che ha preso carta e penna e scritto a Gravina e Malagò: basta con questo pallone che rotola tra tribunali federali e Coni, troppo tempo che si perde, troppi giudizi che si perdono o che si accelerano a seconda dei giudicati, bisogna riformare. Un’altra lettera che la Figc ha letto con sconcerto, una lettura anche questa andata di traverso a chi siede sulla poltrona della presidenza federale. Dalla finestra al quinto piano di via Allegri c’è chi vede solo azzurro, mentre intanto l’Italia per la seconda volta consecutiva non parteciperà ai Mondiali, mentre il flop mondiale porterà alla riduzione dei proventi e la Rai piange sul disastro. Piange pure la cassa federale mentre piange l’Italia pallonara.

Infantino e la Fifa. «Un Mondiale senza l’Italia è tragico», disse cinque anni fa Gianni Infantino. «Mi viene proprio da piangere, per tutti gli italiani è triste, è il secondo Mondiale di fila che vedranno senza partecipare». Affranto, così adesso da Doha in Qatar dove al termine della tre giorni della Fifa si terrà oggi pomeriggio il sorteggio dei gironi. Non c’è il bussolotto con l’Italia e non c’è Gravina che in Qatar ha mandato il segretario generale Marco Brunelli al congresso. Un’assenza pesante, che ha fatto rumore: delle 211 nazioni appartenenti alla Fifa mancava l’Ucraina per evidenti ragioni e mancava lo Zimbabwe, tutte le federazioni rappresentate dai rispettivi presidenti tranne l’Italia. Un segnale anche questo, un segnale di come i rapporti tra il presidente Fifa Gianni Infantino e il presidente Figc Gabriele Gravina non siano più così tanto amichevoli. Eppure alla fine degli anni ’90 fu Gravina tra gli artefici dello sviluppo del corso di management sportivo ad Atri, in provincia di Teramo, e tra i professori c’era pure un giovane Infantino. Di tempo ne è passato da allora: sembra un secolo persino quell’assemblea elettiva del 2018 nella quale proprio Infantino benediva l’elezione di Gravina a numero uno e salvatore dell’Italia calcistica appena eliminata dalla Svezia. Magari l’appoggio sempre più incondizionato di Gravina a Ceferin (da cui spera di ottenere l’assegnazione degli Europei del 2032 dopo il clamoroso dietrofront sulla candidatura del 2028 sbandierata e poi ripiegata in un amen), il presidente dell’Uefa – tra Zurigo e Nyon ci sono appena cento chilometri eppure proprio nella nazione per antonomasia più neutrale da tempo si consuma la guerra pallonara planetaria – ha finito con l’incancrenirsi dei rapporti. Del resto Gravina nella primavera dello scorso anno ha ottenuto l’ingresso nell’esecutivo Uefa, carica per la quale gli viene riconosciuto un corrispettivo economico (oltre 150mila euro) da sommarsi a quello di presidente Figc (36mila euro), di presidente del Club Italia (240mila euro) e quello di membro della Giunta Coni (45mila euro), altra carica ottenuta nella scorsa primavera da Malagò appena rieletto per la terza volta presidente del Comitato Olimpico Italiano. Sempre da Doha, Infantino ha poi aggiunto, magari con un accenno perfido, sulle prospettive azzurre. «Se si qualificano al prossimo Mondiale saranno 12 anni di assenza». Troppo tempo per una nazione che si considera tra le grandi del calcio mondiale. Un calcio che perde pezzi, che perde seguito, che perde tifosi. «Penso a quando ero ragazzino io, le emozioni col Mondiale del ‘78 e l’82, sono cose che ti fanno innamorare del calcio. È triste per i ragazzi italiani. Ma questo è...»: così Gianni Infantino che ha il passaporto e sangue italiano.

Il convegno su Franchi e l’assenza. Era un altro calcio. Era un’altra Italia. Era anche un’altra nazionale. Era anche un altro sistema. Erano anche altri personaggi. Con le loro specifiche competenze. E il loro peso si rifletteva sul peso dell’Italia nel consesso calcistico mondiale. Era ad esempio l’Italia pallonara di Artemio Franchi, presidente dell’Uefa e vice-presidente della Fifa. Una figura sportiva di livello mondiale: quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita. Proprio per celebrarne la figura e la grandezza ecco il programma. La Lega Pro, con il Comune di Firenze, la Figc e il Museo di Coverciano, ha organizzato una serie di eventi, dal 2 al 4 aprile. Domani l’inaugurazione del Museo a Palazzo Vecchio. Domenica verrà poi deposta una corona di fiori nel cimitero di Soffiano, alla presenza del presidente Figc Gravina. Lunedì, a Palazzo Vecchio, due dibattiti: “Racconto tra il privato e il calcio” con gli interventi di Giancarlo Abete, Franco Carraro, Antonio Matarrese, Luciano Nizzola e Carlo Tavecchio. E poi un altro dall’eloquente titolo: “Artemio Franchi, il dirigente più bravo del calcio italiano”, al quale parteciperanno Valentina Vezzali ed i ct delle nazionali maggiori maschile e femminile, Mancini e Bertolini. Le conclusioni toccheranno invece al presidente della Fifa, Gianni Infantino. Una presenza importante. Non ci sarà invece Gravina: un’assenza strana – dovuta pare ad altri precedenti impegni assunti – di certo pesante. Ma come: in Italia arriva il presidente della Fifa che rende omaggio al calcio italiano e alla sua massima espressione, e il presidente federale non c’è? Pare – ma questi sono soltanto spifferi e veleni – che il presidente della Fifa non gradisse troppo la presenza del presidente federale e che si sia sincerato della sua “assenza”. Qualcun altro invece, sarcastico, ha commentato. “Il dirigente più bravo del calcio italiano pensa di essere lui, Gravina”. E qualcun altro: all’altro convegno, quello con Tavecchio, Abete, Nizzola, Carraro, Matarrese, ha declinato: non vuole farsi vedere insieme ai vecchi dirigenti, sarebbe come favorire un’altra valanga di commenti…”. Certo è che Gravina e Infantino non si incroceranno. Tempo ne è passato da quel 22 ottobre 2018 quando Infantino presenziava all’elezione di Gravina a presidente Figc. Quel giorno anche le sue orecchie avrebbero ascoltato questo programma di ricostruzione, di ripartenza, di riscatto, di rinascita. «Dobbiamo dare il massimo ora, gettare il cuore oltre l’ostacolo, mettere idee e capacità al servizio del nostro mondo. Siamo il primo linguaggio dei bambini, il linguaggio di chi non parla la nostra lingua: con questo senso di responsabilità dobbiamo ripartire per quello che può essere un mondo magnifico. Voglio il calcio dei giovani, che non fa differenze di genere, in grado di fare impresa, con certezza delle regole, risanato, che si gioca in impianti funzionali, attento alla tecnologia, del ritorno della Nazionale. Dobbiamo fare squadra nel rispetto dei ruoli. Il calcio non si gioca da solo». Il suo programma: “Criterio del rating per le società. Nuove classi di età, sistema premiale, riorganizzazione dei campionati giovanili, seconde squadre, Accademie Federali in collaborazione con i club, protocollo per le scuole calcio, tecnici diplomati a tutti i livelli, progetto stadio Italia, revisione di quote e maggioranze statutarie, Club Italia strutturato come un club con area tecnica e organizzativo amministrativa, riforma dei campionati (area pro 40 squadre, 20 in A e 20 in B, 60 club nei semipro, 162 club LND)”. Da uomo solo al comando, appena un anno fa avrebbe assicurato riforme e rinnovamento. Gli avrebbe dato anche il titolo, al suo programma: “Rinascimento azzurro”. Il suo programma: riforma campionati, sostenibilità e stabilità di sistema, riforma strutturale che coinvolga l’intero sistema ma che guardi sia ai “profili sportivi” sia a quelli “economico-gestionali in un’ottica di medio-breve proiezione, flessibilità strutturale, budget e tetto salariale, giustizia sportiva, settori giovanili e nazionali da supportare, un sistema dove sanare le lacerazioni”. Programmi e progetti, parole per adesso perché tutto ma proprio tutto è rimasto ancora sulla carta, un programma accompagnato da una citazione di Seneca: “Non c’è un vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Mentre il mare è in tempesta, il marinaio Gravina dal quinto piano di via Allegri continua a vedere il cielo dipinto di azzurro. Ha oltre cinquecentomila motivi per farlo, perchè rovinargli la rotta? Da qualche parte arriverà…

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