Sampdoria, Reggina e Pordenone, non solo Juve: il pallone italiano è bucato. Norme e scappatoie, il caos dalla A alla Lega Pro. Il ruolo della Figc, i silenzi di Abodi e Malagò

La regolarità dei 3 principali campionati professionistici a rischio: ordinamento sportivo e statale. Coni e Ministero potrebbero intervenire. Trust doriano, piano amaranto, crac friulano
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L’ultimo a parlare di campionato condizionato se non falsato, per la precisione del campionato di serie A italiano, è stato Mourinho. A proposito del -10 inflitto alla Juventus poche ore prima che disputasse la terzultima di campionato, non sulla questione di merito ma sull’abusato e dilatato fattore temporale, alla domanda ha risposto chiedendosi: «È uno scherzo?». Chissà cosa avrebbe risposto se solo la domanda avesse allargato un po’ il campo, chissà cosa avrebbe detto se il portoghese avesse avuto il tempo di buttare un occhio anche alla serie B e pure in Lega Pro. Magari avrebbe potuto aggiungere, rischiando certo un deferimento: lo svolgimento dei campionati italiani è un rebus, la regolarità alterata da disparità di trattamento, le classifiche e le competizioni condizionate e modificate da controlli e provvedimenti che non si rivelano uguali per tutti. Di esempi (anche nel corso degli anni precedenti) ce ne sono tanti e poi, proprio mentre la Juve incassava il -10, la Reggina in B si preparava ai playoff promozione (stasera ha il Sudtirol) così come il Pordenone che dalla Lega Pro spera di risalire in cadetteria, lì dove conta almeno di esserci la Sampdoria che s’è appena vista aprire in anticipo il paracadute milionario ricevendo così un gentile cadeau dalla Lega serie A.

Sampdoria, Reggina, Pordenone. Tre società, tre diversi campionati, un unico filo denominatore (la Figc presieduta da Gabriele Gravina che regola i campionati, fissa le regole, sovraintende ai controlli, amministra la giustizia sportiva) e solo una domanda: potevano iscriversi e partecipare al campionato che stanno ultimando, o meglio ancora erano in regola e nella stessa condizione degli altri club, almeno nelle ultime stagioni sportive (nulla nasce per caso, nulla nasce dal niente)? «Che qualcosa vada rivisto è evidente. Bisogna fare tesoro dell’esperienza rendendo la giustizia sportiva efficiente, comprensibile e garantendo i giusti profili d’indipendenza. Esprimo un principio: che l’efficienza della giustizia si debba combinare con la regolarità della competizione. Contrariamente al resto della giustizia, quella sportiva interviene in ambiti dove ci sono anche altri portatori d’interesse. Per questo sarà opportuno alla fine del campionato recuperare questo patrimonio di esperienza e metterlo a disposizione di una riforma o di un’evoluzione del modello della giustizia che consenta di raggiungere obiettivi, anche di chiarezza». Sono le parole che il ministro dello Sport Andrea Abodi ha pronunciato solo qualche giorno fa, riprendendo una filastrocca che risuona da mesi (è un coro, da Gravina a Malagò passando per Petrucci e Giorgetti) sulla necessità di una riforma della giustizia sportiva, rispondendo però nello specifico al caso dei diversi pronunciamenti sulla Juventus. Ecco, senza entrare nel merito della lunga e complessa vicenda bianconera, sottolineando però come l’inizio di questa vicenda risalga alla precedente stagione agonistica al tempo contrassegnata dalla pronuncia in due gradi di giudizio, basterebbe per un attimo focalizzare l’attenzione sulle vicende esplose nel corso della stagione in corso (ci sono anche tanti altri club il cui stato di salute economico-finanziario meriterebbe attenzione) per segnalare al ministro che probabilmente «la regolarità dei campionati» vada ricercata, perseguita e ottenuta prima che i campionati abbiano inizio, assicurando così «la chiarezza necessaria anche per i terzi portatori d’interesse», l’equità tra club e l’uniformità dei controlli e dei provvedimenti. Già.

La politica e lo sport. Sampdoria, Reggina, Pordenone. Sono solo tre esempi, tre vicende che plasticamente dimostrano come le norme, i controlli e i provvedimenti della Figc non siano uniformi e spesso addirittura mancanti, oppure spiazzanti, o ancora contraddittori, che creino disparità di trattamento e giudizio. Azioni e omissioni che nel concreto finiscono col condizionare e alterare le competizioni sportive, che non si rivelano uguali per tutti. Forse più che pensare a modificare la giustizia sportiva bisognerebbe metter mano alle fondamenta del palazzo federale per evitare che anche nel prossimo anno i tre principali campionati professionistici diventino un rebus. La Figc si è battuta in più sedi per giungere a campionati ai quali partecipano solo soggetti con i “conti a posto”. Questo ovviamente per rispondere ai teatrini degli ultimi anni, caratterizzati da fallimenti, ripescaggi, slittamenti di classifica e da connesse, palesi alterazioni della competizione sportiva (che spesso e volentieri alla fine dell’anno ha visto escluse squadre che nonostante ciò avevano partecipato, “contaminandolo”, al campionato precedente). Ebbene, nonostante questa situazione si ripeta pari pari adesso per la Sampdoria (che non a caso ha svolto il ruolo di cuscinetto in questo campionato di serie A, di fatto facendo sì che quel campionato si sia disputato a 19 squadre anziché, come previsto, a 20), nessun intervento si è fin qui registrato per estrometterla dalle competizioni sportive professionistiche. E non si dica che finché la società non è formalmente fallita per il diritto statale, la Figc non potrebbe far nulla. I campionati professionistici sono disputati a numero chiuso da soggetti che devono tutti trovarsi nelle stesse condizioni e quindi la Figc non solo ha il potere ma anche il dovere di stabilire regole apposite per garantire affidabilità e solidità della gestione economico-finanziaria delle società che partecipano alle competizioni professionistiche.

È di tutta evidenza, d’altra parte, che senza un immediato intervento in questo senso, la Sampdoria (se non vi sarà ad horas il passaggio quote a un proprietario in grado di tener testa a 200 milioni di debiti) potrebbe dar vita nel prossimo campionato di B alla stessa identica situazione che si è già verificata in questo campionato di A: si giocherebbe di fatto con una squadra in meno, penalizzando i tifosi doriani, mortificando gli sforzi degli altri competitors e soprattutto contaminando clamorosamente la regolarità della competizione. Sarebbe doveroso dunque che la Federcalcio e insieme gli organi di controllo pubblici (Ministero e Coni) intervengano nell’esercizio dell’autonomia che caratterizza l’ordinamento sportivo per cancellare ogni possibilità che le distorsive situazioni generate in questo caso dalla Sampdoria abbiano a ripetersi. La regolarità del campionato ha rilevanza pubblica anche per l’ordinamento giuridico italiano e quindi ogni sua potenziale compromissione costituisce valido motivo per un commissariamento degli organi preposti della Figc. Prendiamo poi il caso della Reggina. La sua mancata estromissione ha comporta gravissime conseguenze sul piano della regolarità della competizione sportiva e, insieme, danni ingentissimi nei confronti delle altre società. La Reggina è stata mantenuta in organico grazie all’ammissione a un concordato preventivo nel quale è stato offerto ai creditori il 5% dell’importo complessivo del debito, vale a dire una somma che certamente non sarà accettata dai creditori. Solo un espediente messo in capo e mantenuto al solo fine di far sopravvivere la Reggina nel diritto italiano per quanto più tempo possibile? Forse. E ancora: se per lo Stato conviene accettare comunque una somma (800mila euro invece di 15,7 milioni…) può valere la stessa cosa per la Figc, per la Lega calcistica di riferimento, per gli altri club (molti sono stati esclusi negli anni anche per molto meno) che si troverebbero nello stesso campionato di un club che grazie a questo cavillo riesce addirittura a chiudere in utile l’esercizio e quindi “alterando” così anche la futura nuova stagione, potendo investire di più e meglio sul mercato? Non sarebbe un illecito amministrativo? Magari alle domande potrebbero rispondere Gravina, Abodi, Malagò.

È certo evidente che nel diritto sportivo la situazione non potrebbe tenere neppure per altre poche ore. Mentre infatti nel diritto comune ciascuno è libero di avere rapporti con le società che crede (comprese quelle, come la Reggina, già sostanzialmente fallite), nel diritto sportivo le imprese in regola (cioè quelle che non hanno debiti e che si adoperano mese per mese per pagare stipendi, oneri e contributi) sono obbligate ad avere rapporti anche con le imprese che si comportano come la Reggina. Questo però altera profondamente la competizione sportiva nella quale per definizione tutti dovrebbero trovarsi a gareggiare ad armi pari. Il mantenimento della Reggina, la disparità di trattamento riservata, le varie penalità, l’intromissione nell’ordinamento sportivo di quello statale, hanno così creato un virus che ha alterato i risultati di tutto l’anno (ma non è la prima volta) e hanno condizionato la classifica finale, compreso i playoff. Stesso vale per il Pordenone, il cui stato d’insolvenza s’è scoperto a fine maggio.

Ma la regolarità del campionato è il compito fondamentale della Figc e quindi l’omesso intervento federale in relazione ad una situazione così grave può essere motivo di commissariamento dell’organo pubblico vigilante, ossia del Coni. Già. Che ne pensa Malagò? Che ne pensa il ministro Abodi? Intanto ecco un veloce rinfresco sulle tre situazioni: Samp, Reggina, Pordenone.

La Samp, il trust, la composizione negoziata. Le quote societarie dell’appena retrocessa Sampdoria (18 punti e 24 sconfitte in 36 gare) da novembre del 2020 sono inscatolate in un trust, date a garanzia dei creditori di altre società che stavano fallendo della galassia Ferrero, società poi fallite. Una lunga e complessa vicenda (l’articolo è del 15 dicembre 2021, subito dopo l’arresto di Ferrero, leggi qui) che avrebbe creato grattacapi e imbarazzi in via Allegri: in fondo il giudice delegato poteva (o potrebbe ancora?) ipoteticamente coinvolgere anche la Figc nel reato di concorso in bancarotta. Da anni alla Samp sono stati accostati numerosi acquirenti tutti poi però sempre evaporati, da anni versa in una crudele agonia mortificando la passione dei doriani e alterando la regolarità dei campionati: si può dire ad esempio che quest’anno la Samp abbia partecipato al campionato di A o si può dire che il campionato di A si sia in realtà giocato a 19? Alla domanda se la Sampdoria riuscirà ad evitare il crac in tanti in queste ore provano a dare risposte: la contesa per il club sarebbe in una gara a due tra Barnaba e Radrizzani (lo stesso che a giugno del 2022 disse di essere interessato alla Salernitana che stava per finire anch’essa in un trust anche se per necessità diverse da quelle doriane) che avrebbe ricevuto il sostegno qatariarota del padrone del Psg. Si vedrà. Intanto la Lega serie A ha aperto in anticipo il paracadute: subito 10 milioni alla Samp, 10 milioni che sono il 40% dei 25 che il club dovrebbe incassare per la retrocessione. Da regolamento (art. 18 statuto Lega A) il materiale introito avviene solo al momento dell’ottenuta iscrizione in campionato. Alla Samp che finora ha rispettato le scadenze federali però quei soldi servono subito, altrimenti e nell’attesa dell’eventuale e ipotetico passaggio di quote, non potrebbe ottemperare agli adempimenti economici necessari per ottenere l’iscrizione. Quei 10 milioni servono per pagare entro il 30 maggio gli stipendi e le ritenute del trimestre gennaio/marzo (l’Irpef e il resto sono rateizzati; anche altri club fanno pagamenti secondo scadenze federali, ad esempio Inter e Torino) evitando così una penalizzazione (4 punti) per il prossimo campionato e bisogna dimostrare il 20 giugno di averli pagati in tempo presentando domanda d’iscrizione. Ma la Sampdoria ha debiti complessivi per 200 milioni e non ha molto tempo, e poi le sue quote sono inscatolate in un trust gestito da Vidal che Ferrero ha detto di non sentire da tempo: il 6 giugno salta lo schermo dei 120 giorni di protezione che la VII sezione del tribunale di Genova ha alzato a febbraio, accogliendo con un’autocertificazione la richiesta della composizione negoziata, una misura protettiva del patrimonio che impediva – da febbraio fino al termine del campionato di A – ai creditori di presentare istanza di fallimento. Dal 6 giugno la Sampdoria potrebbe dunque ricevere l’assalto dei creditori: il 20 giugno riuscirà a presentare la domanda d’iscrizione al campionato di B?

La Reggina e i debiti sterilizzati. Ce la farà a presentare domanda d’iscrizione la Reggina? Anche qui, sulla vicenda del club amaranto, c’è un articolo di mesi fa (inizio febbraio, leggi qui) che anticipava gli eventi sinistri, disegnava scenari e descriveva il moto d’impeto e ribellione degli altri club cadetti. Da febbraio in poi la Reggina e il campionato di B sarebbero saliti e discesi sulle montagne russe: prima 2 punti diventati poi 3 di penalizzazione, poi altri 4 e quindi in tutto 7, poi la Corte federale d’appello di Torsello ne toglieva 2 cristallizzando la penalità a 5. La classifica di B – mentre si giocavano le partite, mentre le squadre in lotta per playoff e playout ogni settimana costrette a far di conto con le vicende amaranto – ogni volta cambiata. Coi 5 punti di penalizzazione la Reggina è riuscita a centrare i playoff per la A pur non ottemperando a tutti gli adempimenti economici e finanziari prescritti e obbligatori per tutti gli altri 19 club di serie B. “Vogliamo pagare, ma è il tribunale di Reggio che ce lo impedisce”. La motivazione ha fatto il giro dello Stivale per mesi, affollando le aule della giustizia sportiva. Oberato dai debiti della precedente gestione (30 milioni di perdite in tre anni), il club era riuscito a iscriversi al campionato attuale e a evitare il fallimento grazie ad una nuova proprietà che poi a dicembre aveva presentato al tribunale di Reggio Calabria domanda per una speciale procedura concorsuale nella quale i debiti vengono “sterilizzati”, non possono cioè essere aggrediti. Un’operazione di ristrutturazione patrimoniale che deve essere autorizzata dal tribunale. Nel frattempo però tutto bloccato, nel frattempo tuoni e fulmini degli altri club che si sarebbero rivolti al presidente della Lega B Balata e questi al presidente Figc Gravina. Così il pallone ha continuato a rotolare tra i veleni, le accuse e i sospetti: il club a fine aprile ha definito il piano di ristrutturazione del debito seguendo la legge del 2019 sulla crisi d’impresa e l’ha depositato. Il Tribunale di Reggio Calabria deve aspettare trenta giorni per attendere le eventuali opposizioni dei creditori, poi deciderà se approvarlo. Nel documento è spiegato ai creditori che col piano riceverebbero una cifra più alta di quella che potrebbero ottenere in caso di fallimento della società. Nella proposta di stralcio per il debito (15,5 milioni di euro) con l’Agenzia delle entrate il club propone il pagamento del solo 5%: dunque 800mila euro circa. I debiti che complessivamente dovrebbe saldare la Reggina sono (sarebbero) così 7 rispetto ai 22 milioni, dei quali 2,2 relativi alle sette mensilità di stipendi che nel frattempo sono stati saldati, più altri verso i fornitori, chiudendo così l’esercizio addirittura con un significativo utile (4,9 milioni). Il piano, se approvato dal Tribunale, entro il 20 giugno dovrà però essere presentato (con le relative fideiussioni) alla Figc per l’iscrizione: ce la farà la Reggina? E cosa faranno gli altri club? Intanto veleni, sospetti e battibecchi continuano a effondersi in cadetteria.

Lettera al veleno, Balata e Gravina. Di queste ore è il botta e risposta tra il presidente del retrocesso Perugia Santopadre (aperta indagine della Procura federale per ipotesi illecito sportivo nella gara col Benevento) ed il club calabrese di proprietà di Felice Saladini noi abbiamo parlato di violazione – e clamorosa – delle regole dell’ordinamento sportivo e non delle leggi dello Stato», dice il club umbro). Le parole però che meglio racchiudono non solo la vicenda ma tutto il complesso e delicato mondo dei controlli e della giustizia Figc sono racchiuse in una lettera che un altro presidente di B aveva inviato ad alcuni colleghi il giorno prima del consiglio direttivo di B, tenutosi il 15 maggio. Ecco alcuni passaggi: “..il caso “Reggina oltre ad aver generato un precedente preoccupante, ha rappresentato per il torneo di B di questa stagione e per la nostra associazione un aspetto di grave ingiustizia e slealtà sportiva non punita adeguatamente dalla giustizia e dalle istituzioni sportive… nei giorni scorsi si è verificata una delle situazioni più imbarazzanti, forse vergognose, degli ultimi anni del nostro calcio. Una società, nel maggio scorso evita il fallimento con l’intervento di una proprietà che, anziché pagare i debiti, come tutti hanno fatto da sempre, sceglie di rivolgersi al locale tribunale per richiedere un piano di ristrutturazione dell’azienda che, nelle more dell’approvazione, mai inferiore a 10-12 mesi, consente innanzitutto di non pagare i fornitori senza esporsi a procedure esecutive e, dall’altro, di pagare esclusivamente quei debiti necessari per la continuità aziendale… Incredibile come, in un mondo in cui per un ritardo di un giorno nei pagamenti di una ritenuta Irpef di un collaboratore si rischiano penalizzazioni (e con la violazione protratta per due bimestri l’esclusione dal campionato), stavolta la società abbia dichiarato – e il tribunale preso atto senza nulla opporre – che erano necessari per la continuità aziendale solo i pagamenti della retribuzione netta dei calciatori in rosa… La sanzione di 5 punti, dopo i quali la società si affrettata a dichiarare che non avrebbe impugnato al Coni, quasi ringraziando, appare del tutto inappropriata per ciò che il caso ha significato: una grande beffa nei confronti del sistema dei controlli federali, delle federazioni che hanno poteri di controllo sulle società per garantire la regolarità del campionato, delle società che pagano tesserati, collaboratori, fornitori, oneri fiscali e previdenziali alle regolari scadenze… In un momento in cui la giustizia sportiva rivendica l’applicazione dell’articolo 4, del principio di lealtà, probità e correttezza, anche per disciplinare fattispecie non espressamente tipizzate, si assiste a una scelta – che non può considerarsi minimamente causa di forza maggiore visto che deriva da una scelta ben precisa di un club – che ha alterato palesemente i valori in campo, punita alla stregua di un buffetto che certamente non aumenta la credibilità del sistema agli occhi di appassionati ma anche di investitori che sempre meno si affacceranno al nostro mondo… Paradossalmente, questo caso ci ha insegnato che gestire una società senza debiti e pagare puntualmente fornitori, tasse e contributi non conviene… Mi chiedo anche come sia stato possibile che una società, in situazione di palese insolvenza a maggio, si sia potuta iscrivere a un campionato e, dopo pochi mesi, decidere in autonomia cosa pagare e cosa no, in barba alle norme federali che prevedono obblighi ben specifici. L’indulgenza con cui il caso è stato trattato, permettendo a una società di disputare una stagione in un’assurda condizione di privilegio economico e finanziario, rappresenta l’espressione più negativa del rispetto delle regole, dell’etica e del valore della lealtà sportiva. Mi chiedo come si possa considerare regolare il campionato di B e come il calcio italiano possa ancora attrarre investitori italiani ed esteri, come quelli che hanno dovuto subire un punto di penalizzazione per avere pagato tutto con qualche giorno di ritardo, mentre chi deliberatamente decide di non onorare debiti risalenti ormai a oltre un anno fa riceva una sanzione di poco più afflittiva”.

Il presidente in questione si chiede: è stato regolare il campionato di B, la Figc come utilizza questo articolo 4, che regole adotta, ma non fa figli e figliastri? Per la cronaca, il giorno dopo il consiglio direttivo della Lega B avrebbe approvato all’unanimità la decisione di rivolgersi al ministro Abodi chiedendo di inserire un emendamento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza “finalizzato a salvaguardare il superiore principio dell’equità e regolarità delle competizioni sportive“. Qualche giorno prima sulla questione del Codice d’impresa applicato alle società di calcio, s’era espresso anche Gravina. «Il decreto sul lavoro sportivo deve andare avanti ma abbiamo voluto meglio precisare la compatibilità per chiarire ed evitare forme di utilizzo deviato del codice della crisi d’impresa, con una norma che chiarisce appieno quali sono i confini del favor legislativo rispetto all’esigenza del mondo del calcio sancito dall’articolo 12 della Legge 91 che è quello della salvaguardia dei valori della competizione sportiva, quindi non consentire a società che sono in pieno stato di insolvenza di alterare la competizione sportiva». Così al termine del consiglio federale di aprile. Il 30 maggio c’è un nuovo consiglio federale mentre intanto la Figc è sotto tiro dell’Antitrust (Figc: «Nostra posizione corretta») per presunto abuso di posizione dominante e nelle ultime settimane spesso in via Allegri ha fatto capolino la Finanza: nella sala “Paolo Rossi” si discuterà d’iscrizioni e ripescaggi, di criteri, norme e adempimenti. Il 20 giugno è il limite massimo per i club per la presentazione delle domande di iscrizione.

Il Pordenone e l’istanza di fallimento. Il 20 giugno c’è pure un appuntamento in tribunale: a Pordenone si terrà l’udienza fallimentare che deciderà sulle sorti del Pordenone Calcio, l’indagine della procura nata dopo aver indagato il presidente Mauro Lovisa per omesso versamento Iva (anno d’imposta 2019, oltre 300mila euro) nel 2022. L’istanza fallimentare è stata presentata appena martedì scorso, a quattro giorni dall’esordio nei playoff della squadra friulana che ha terminato il suo girone di Lega Pro in seconda posizione e si prepara dunque a combattere per la serie B. Basterebbe la promozione a salvare il club? È stata salvaguardata la regolarità della competizione? Domande in attesa di risposte. Intanto il procuratore della Repubblica di Pordenone Raffaele Tito – che ha presentato l’istanza di insolvenza e chiesto l’avvio della procedura di liquidazione giudiziale – una risposta all’esterno l’ha data: «La situazione debitoria è tale che anche con l’ipotesi di una promozione in B le cose non cambierebbero». Delle vicende in fase d’iscrizione (di due anni fa) del Pordenone s’era scritto in un articolo (leggi qui). Intanto Il bilancio 2022, già approvato, registra una perdita di 6,75 milioni, cresciuta di 2,93 milioni rispetto al 2021, quando la squadra era in B. In particolare spicca un debito con l’Agenzia delle Entrate di 7,6 milioni, che però la società dovrebbe aver rateizzato a dicembre fino al 2027 grazie alla norma Salvacalcio. “Il Pordenone Calcio sta completando un piano di ristrutturazione che potrà consentirgli di superare una situazione di difficoltà temporanea e garantire, sia con il mantenimento della categoria che con la possibile promozione, la continuità di un progetto sportivo portato avanti in questi anni con impegno e sacrifici”: questo il commento del club mentre nelle stanze della politica si registra imbarazzo nel palazzo della Lega del presidente Fedriga, visto che il dg del Pordenone Lucia Buna è stata appena eletta come consigliere regionale. Sampdoria, Reggina, Pordenone: se ne parlerà nell’imminente consiglio federale?

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