La prima partita ufficiale di campionato la giocò nel 1919, ha vinto sei volte lo scudetto, l’ultimo nel 2009 in accoppiata con la Coppa di Lega. Per due volte ha partecipato alla Champions League, una volta in Uefa sculacciò sonoramente il Milan di Capello arrivando ad un passo dalla Coppa. Il giocatore bandiera è Alain Giresse, fantastico cervello della nazionale francese anni ‘80 in accoppiata a un altro colosso dei bleus e compagno di club, Jean Tigana. Anni dopo nel club sarebbero fioriti petali (Dugarry) e soprattutto una gemma, Zinedine Zidane.
Il club è il Bordeaux, anche noto come Les girondines, la città è sulle rive del fiume Garonna, si trova nel Sud-Ovest della Francia, in un angolo di terra famoso al mondo per vigne e vini pregiati, una regione a alta concentrazione di qualità quasi quanto quella dei club di Top-14, il campionato di rugby francese. Ed è in una gigantesca mischia che è finito il pallone blu e bianco, trasformatosi persino da rotondo quasi in ovale: è lì che corre da una parte all’altra, che sfugge di mano in mano senza trovare un appiglio e una meta, che salta e che sfugge così com’è, pieno di fango mentre il tempo frana sotto i piedi. È una storia significativa ed esemplare nella sua drammaticità, ha il marchio francese, la nazione pur sempre campione del mondo di calcio in carica. Eppure è una storia che pare comune in molti Paesi europei, non ultima l’Italia. È la storia di un pallone sgonfio, strizzato da interessi e intrecci: un pallone bucato, consumato dai debiti che sta soffocando, stritolando, sopprimendo la passione e la storia gloriosa di tante società calcistiche.
A Bordeaux il conto è alla rovescia è scattato due mesi fa. Dopo proroghe e proposte, dopo proteste e pubblicità gratuite, adesso la linea di confine si vede sempre più sottile e sfuggente, sempre più nera. L’orizzonte è fissato a domani: allora o mai più, martedì la vita oppure la morte per l’ultracentenaria società. Intanto le lancette continuano a scorrere, rintocchi inesorabili in una stanza del tribunale cittadino. Lì dove il club è stato messo “come cautela”, lì dove c’era arrivato due mesi fa. Così. Con un secco comunicato stampa diramato dal Bordeaux.
“Il contesto economico legato alla pandemia di Covid-19 e al ritiro di Mediapro ha provocato un calo dei ricavi senza precedenti per i club francesi. Questi eventi vanno ad aggiungersi alle conseguenze finanziarie che hanno già colpito duramente i club nella scorsa stagione, a causa della cessazione del campionato e della conseguente perdita di entrate. Con il Bordeaux pesantemente colpito, King Street, il suo azionista, dopo aver investito 46 milioni di euro nel club dal momento della sua acquisizione, ha fatto sapere che non desidera più sostenere il club e finanziare le sue esigenze attuali e future. Queste circostanze hanno portato il presidente a proteggere il club ponendolo sotto la protezione del Tribunale di Commercio di Bordeaux. È stato nominato un rappresentante ad hoc, incaricato di assistere il Bordeaux nella ricerca di una soluzione duratura”.
Era inizio primavera. Mentre il Bordeaux rincorreva una difficile salvezza sul campo, un’altra bandiera della società senza dribbling avrebbe così centrato la porta. «Sono molto dispiaciuto, anzi disgustato. La situazione è estremamente grave. Per me è un dolore, il Bordeaux è il mio club, lo è stato per 12 anni. Bisognerebbe fare attenzione quando si vende una squadra. Le società di calcio non sono imprese come le altre e quando vediamo che chi le compra non conosce questo sport figuriamoci se ne conosce i valori. Sono molto preoccupato per il Bordeaux, ma purtroppo quello che sta succedendo può succedere anche per altri club». Così Bixente Lizarazu in un’intervista a Le Parisien mentre nello stesso giorno L’Equipe titolava, a tutta prima pagina: “L’incubo americano”.
Già, gli americani. Le stelle e strisce che di calcio nulla hanno mai saputo. Il fondo dietro cui a volte si celano intenzioni e investitori particolari. Già, gli investimenti. Il progetto. Le garanzie. A fine 2018 l’indebitato Bordeaux, proprietà di una compagnia sussidiaria del gruppo televisivo francese M6, finiva in mano estera. Joseph DaGrosa lo rilevava alla guida di una cordata anomala. Anomala perché la sua società, la General American Capital Partners (GACP) possedeva solo il 13,6% delle quote del club: il socio, il fondo King Street (86,4%) avrebbe dunque fatto la voce grossa in termini di investimenti, decisioni, azioni. «Il nostro piano è di valorizzare il marchio – disse il presidente nel giorno del suo insediamento – possiamo farlo mantenendo una buona squadra, con un settore giovanile che aiuti a crescere i nostri talenti. Non intendiamo fare come il PSG: hanno un sacco di soldi e li buttano in giro, è un modello di business differente dal nostro». DaGrosa prendeva così la presidenza del club però prendeva anche il diritto di veto sulle decisioni dell’azionista di maggioranza.
Ma quale fine poteva mai avere questa storia? Il socio di minoranza che può bloccare le decisioni della maggioranza? Ma come è possibile? Niente, tutti in silenzio, tutti felici e contenti però: società, tifosi, città, vecchi e nuovi azionisti. L’idillio sarebbe però stato breve: pochi mesi ed ecco King Street subito ad accusare DaGrosa di aver sopravvalutato la portata di investimento e profitti. La delicatissima convivenza sarebbe poi finita a dicembre. Nemmeno due anni dopo. Due campionati deludenti, le proteste dei tifosi, le casse sempre più vuote, i debiti sempre più grandi. DaGrosa sbaraccava, cedeva il 13% delle azioni al fondo King Street strizzando l’occhio prima a Pallotta e poi al Newcastle mentre il fondo King Street due mesi dopo avrebbe definitivamente stracciato e strizzato tutto, dopo il naufragio di Media Pro: il broadcaster spagnolo con fondi cinesi che aveva avuto un trascorso burrascoso anche con la serie A, chiudeva i rubinetti, non versando le rate previste dei diritti tv alle società di Ligue 1. Via e adieu: vicenda finita in tribunale.
Via e goodbye avrebbero detto e fatto soprattutto gli azionisti americani del Bordeaux: noi ce ne andiamo. Anche qui vicenda e società in tribunale. Gli americani sono andati via portandosi via il pallone, lasciando debiti per quasi 100 milioni di euro (quanto più o meno prima del loro ingresso), senza nemmeno salutare una tifoseria sgomenta e la società sull’orlo del fallimento mentre la squadra rincorreva la salvezza sul campo. Due rincorse difficili, delicate, disperate. Le quote del club affidate al Tribunale Commerciale della città, l’incarico affidato alla banca d’affari Rothschild di trovare un nuovo proprietario. Sono passati due mesi.
Salvatosi sul campo, il Bordeaux resta su un piano sempre più inclinato, sempre più in discesa scivola verso il fallimento. A provare a salvarlo ci hanno pensato tanti, provato in pochi. Persino un miliardario di Francia, pronto a far appello ai produttori vinicoli in una delle regioni mondiali del vino. “Salviamo il Bordeaux”: così François Pinault, proprietario di Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga, patrimonio complessivo di oltre 50 miliardi di dollari e che possiede Château Latour, una delle aziende vinicole più prestigiose della zona, con sede a Nord-Ovest di Bordeaux. Nella lettera pubblicata dal quotidiano Sud Ouest, Pinault si diceva disposto a dare il suo contributo chiedendo però ai suoi colleghi vigneron di fare altrettanto. Però Pinault non poteva esporsi più di tanto: ha una partecipazione azionaria ingente nello Stade Rennais Football Club, un’altra squadra di Ligue 1.
All’appello avrebbe risposto qualche giorno dopo un altro imprenditore vinicolo. Bernand Magrez, disposto a sostenere finanziariamente il Bordeaux a patto che anche i suoi colleghi avessero fatto altrettanto. Un altro ancora, Romain Roux, avrebbe poi addirittura lanciato l’idea di un’asta: diecimila bottiglie del suo vino pregiato in vendita, il ricavato da girare alla nuova proprietà del Bordeaux per risanare una parte dei debiti. In una lettera pubblicata sul suo profilo Linkedin, Roux scrive che «i tredicimila imprenditori vinicoli della zona se lavorassero insieme, potrebbero risollevare le sorti del Bordeaux. Una squadra e una società che sono un patrimonio della nostra regione. Non è possibile che il Médoc abbia quattro club nella Top 14, il massimo campionato francese di rugby, e solo una squadra in Ligue 1 che tra l’altro rischia anche il fallimento». L’idea del vino però nel tempo è andata aceto. Sulla scena si sarebbero dati il testimone una serie d’imprenditori: proposte formulate senza troppe garanzie e altre solo annunciate a mezzo stampa. Una passerella infinita mentre la tifoseria del Bordeaux e il gruppo ultras (Ultramarines ’87) tappezzava i muri della città con striscioni di protesta e uno dei bersagli della protesta (Quillot), fattosi avanti con un fondo e accusato di essere un impostore avrebbe replicato alla stessa maniera, con altri striscioni in città. Roba da non crederci.
Da non crederci nemmeno le tre proposte ufficialmente presentate e poi respinte dalla banca Rothschild e dal rappresentante del tribunale che detiene in affidamento le quote della società. Dichiarazioni, interviste, cambi di alleanze, proposte annunciate a mezzo stampa ma rinnegate da chi avrebbe dovuto ricevere le carte. Il limite massimo era venerdì scorso, la proprietà e il tribunale a sentenziare: il tempo sta scadendo, ultima proroga a martedì. È il giorno fissato per l’avvio della procedura concorsuale. “Tenendo conto degli irriducibili ritardi insiti in una procedura di riordino e al fine di consentire al nuovo acquirente di presentare i propri conti provvisori alla DNCG prima dell’effettiva ripresa del Campionato (6-7-8 agosto), la dichiarazione di cessazione dei pagamenti deve essere depositato presso la cancelleria del Tribunale commerciale entro e non oltre martedì 22 giugno – hanno avvertito club, banca, creditori e tribunale di Bordeaux – si spera che i candidati possano utilizzare questo termine ultimo per finalizzare un’offerta e fornire le garanzie finanziarie necessarie evitare l’attuazione di tale procedura”. Non ci sono molte strade: amministrazione controllata, fallimento e ripartenza dai dilettanti oppure salvataggio in extremis. I conti stanno lì, impietosi. King Sreet chide(va) 100 milioni di euro, il suo maggiore creditore – un altro fondo statunitense, Fortress – ha crediti per 56 milioni più interessi che scadono tra unn anno, sono i soldi che ha prestato a King Street per acquisire il Bordeaux che ha un deficit di oltre 80 milioni di euro. È una pentola che bolle. I tre candidati (Rigo, Martin e Lopez) hanno allora deciso nel fine settimana di unire le forze, di fondere le proposte: si sono riuniti in una cordata. La corda che tiene ancora in vita il Bordeaux però sta per stringersi, pronta a soffocare storia e passione. La vita ultracentenaria di una società di calcio sta per finire, se non arriverà un miracolo: comunque vada, il risveglio è stato brusco. Il pallone americano era solo un pallone di carta.